Letture: Giosuè 5, 9a.70-12; 2 Corinti 5, 17-21; Luca 15, 1-3.11-32.
La domenica odierna è intonata alla gioia: è un preludio e un pregustamento della gioia pasquale. E’ la domenica “Laetare”, “Rallegrati”, dall’antifona di inizio della Messa.
La liberazione dal peccato nei testi biblici.
La prima lettura ci parla della gioia del Popolo di Dio dell'antica Gerusalemme che, entrato nella terra promessa sotto la guida di Giosuè, celebra la Pasqua presso Gerico. Per gli Ebrei la Pasqua ricordava l'uscita dall'Egitto che li teneva schiavi e li dovette lasciar liberi sotto i colpi dell'Angelo sterminatore. L'Angelo risparmiò le case degli Ebrei segnate dal sangue dell'Agnello. Pasqua come liberazione dalla schiavitù. È tutto un rito simbolico della nostra Pasqua che celebra la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato, mediante il sangue di Gesù che ci purifica e celebra pure il nostro ingresso nella Chiesa, nella famiglia di Dio, quali amici e figli di Dio stesso stesso, destinati alla sua eredità celeste. Appena gli Ebrei entrarono nella Terra promessa ed uscirono dal deserto, poterono mangiare dei cibi della regione e perciò cessò la manna, quel cibo misterioso, che ogn giorno cadeva dal cielo e li nutriva nel deserto.
Noi invece abbiamo ogni giorno disponibile la manna spirituale, che è l’Eucarestia.
S. Paolo nella seconda lettura ci ricorda il mistero pasquale celebrato da Gesù, nuova Pasqua, nel suo sangue che ci purifica dal peccato, ci rivolge la grande esortazione pasquale: riconciliatevi con Dio. Siamo nel cuore della Quaresima che è il tempo propizio della conversione e la Chiesa ci propone oggi una catechesi sul sacramento della riconciliazione; vuole farci giungere purificati a Pasqua e ci indica la via privilegiata per questa purificazione. È l'invito pressante, tempestivo, che S. Paolo rivolge anche oggi e di cui il sacerdote si farà eco incessante in queste Domeniche per vivere santamente la Pasqua, con il precetto pasquale (confessione e comunione pasquale obbligo per tutti i cristiani) ed avere così la gioia del perdono, come quella che abbiamo ascoltato nella lettura evangelica.
Infatti, la lettura evangelica, ci presenta la più bella delle parabole “la parabola del figlio prodigo”, noi possiamo ascoltarla proprio alla luce seconda lettura, e cioè dell'invito accorato dell'Apostolo che dice: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciate vi riconciliare con Dio”. Nella parabola è al Padre che il peccatore dice direttamente: Ho peccato!; ma già S. Paolo, nella seconda lettura, introduce in questo quadro la mediazione storica di Cristo e quella sacramentale della Chiesa: Tutto questo - dice - viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi (cioè agli apostoli, alla Chiesa) il ministero della riconciliazione. Letta in questa luce, la parabola del figlio prodigo ci appare come un sacramento della Penitenza in azione, con al centro la confessione (« Padre, ho peccato! ») e al termine l'assoluzione («Questo figlio è tornato in vita»). Per comprendere e conoscere il nostro Dio, ricco di misericordia, dobbiamo rileggere la parabola e porre attenzione ai gesti, alle parole, ai verbi che il padre compie in questa parabola.
Dio Padre ci lascia liberi, libertà che però non significa liberi di fare il male.
All'inizio del racconto vi è la premessa causa il tutto: la pretesa del figlio più giovane di entrare in possesso dei beni paterni. Il padre che fa? Incomprensibilmente accondiscende, senza fare domande, senza porsi interrogativi, senza reagire negativamente e senza porre resistenza.
Ecco il primo grande insegnamento su chi è veramente Dio Padre: il Signore ci lascia liberi, una libertà, dono prezioso, che però dobbiamo cercare di utilizzare nel fare il bene ed evitare il male.
Il figlio minore, come sappiamo, lascia la casa e sappiamo bene cosa fa del patrimonio paterno, sperpera i propri beni, (i beni della grazia, la figliolanza divina). I verbi che racchiudono la scena del figlio che si allontana e va verso un paese lontano sono: partire e tornare. Il partire vuol significare la distanza dal padre, la distanza da tutto ciò che, apparentemente, non ci lascia liberi, il sottrarsi dall'influenza paterna e da tutte quelle leggi o norme che ci vanno un po' strette...
E il nostro atteggiamento di quando cadiamo nel peccato, di quando non osserviamo i 10 comandamenti, di quando ci dimentichiamo di Dio la domenica, di quando non amiamo abbastanza i fratelli. Il ritornare è il riconoscimento del proprio errore, del proprio sbaglio, con lucidità e senza compromessi. Nello stesso tempo è la consapevolezza e la volontà di ritornare non come prima (trattami come uno dei tuoi garzoni).
Ma Dio è sempre là, sull’uscio della porta, ad aspettarci. Ce lo immaginiamo con la mano sulla fronte, per scrutare l'orizzonte, notte e giorno sperare nel ravvedimento del figlio... e quando lo vede... (facciamo parlare il testo evangelico che in poche parole racchiude una scena commovente): «il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò».
Non gli lascia nemmeno terminare il discorso preparato e chissà quante volte ripetuto nella mente durante il viaggio di ritorno. Il padre risponde con una quantità di gesti e ordini che valgono assai più delle parole. Tutti gesti che ci fanno comprendere che il figlio partito e ritornato è restato sempre figlio.
Questo è il secondo grande insegnamento della parabola: siamo sempre amati come figli di Dio, anche quando disgraziatamente ci allontaniamo da lui... siamo sempre considerati come suoi figli: «questo figlio ... ». Questa situazione avviene per noi quando andiamo a confessarci dal confessore. Sotto l’impeto dei castighi si rientra in se stesso e si ha un primo movimento di ritorno a Dio: si considera la brevità e la nullità delle sue false gioie, considera la pace e la felicità di chi opera il bene, si vergogna di sé e decide di ritornare al Padre Celeste, andando da chi in terra lo rappresenta.
Padre ho peccato, ecco l’umile confessione che il peccatore fa a Dio ai piedi del confessore. Dio è infinita misericordia ed accoglie subito al suo cuore chi si pente sinceramente; ordina ai suoi servi, cioè ai Sacerdoti, di mettergli con l’assoluzione,la veste della grazia; non gliela pone Lui direttamente , ma chiama i suoi servi, e da essi gli fa porre al dito l’anello di nuove grazie ed ai piedi i sandali della libertà, ordinando poi al banchetto dell’amore, perché si sazi di beni (il banchetto eucaristico)
Dio vuole comunità sempre unite.
Alla commozione del padre, felice e contento che il figlio minore sia tornato nella sua casa, si contrappone l'ira e l'orgoglio del figlio maggiore. Il padre gli và incontro come era andato incontro al primo. Le proteste del maggiore sono dure e concrete con la sottolineatura: «questo tuo figlio». Il padre lo ascolta, e la prima parola che gli dice è: «figlio», facendo capire che la famiglia è una comunione di persone e che la vera festa ci sarà solo quando il maggiore riconoscerà ed accetterà l'altro come «mio fratello» ed entrerà per festeggiare.
Le nostre famiglie, le nostre parrocchie, la nostra Chiesa, il nostro oratorio, il nostro gruppo... devono essere sempre più comunione di persone, che accettano tutti e ciascuno con i propri difetti, le proprie mancanze, i propri limiti... Solo così le nostre assemblee eucaristiche, le nostre riunioni, i nostri momenti di preghiera, le nostre azioni pastorali, le nostre attività e la nostre azioni caritative saranno veramente luoghi di incontro tra il padre e i suoi figli e, soprattutto, tra i fratelli. Dobbiamo essere felici di vedere i nostri fratelli che rientrano nella Casa del Padre, pentiti, umiliati e riabbracciati dal Padre. Per questo dobbiamo pregare, fare sacrifici.
Fratelli il Signore ci invita a Lui, se abbiamo peccato andiamo fiduciosi e con confidenza, sicuri che Egli ci accoglierà, ci abbraccerà e ci perdonerà.
La Madonna, Madre e mediatrice di riconciliazione e di perdono, ci aiuti a tornare a Dio.
Estratto dal film 'Gesù di Nazareth' di R- Zeffirelli (1977)
Audio Omelia
Il ritorno del figliol prodigo