Lc 6,39-45
"Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?”. Agli Apostoli, ai discepoli, alla folla a cui Gesù si rivolge, è affidata la missione di divenire luce per il mondo, sale della terra, lievito che fa fermentare tutta la pasta. Ma come avrebbero potuto portare la luce della fede e divenire guide del prossimo per condurlo al Regno di Dio, se essi per primi non ne conoscevano la via, le massime del Vangelo, le regole della morale e della perfezione cristiana? Chi non ha la luce in sé, come può donarla agli altri?
Sono parole indirizzate in primis agli Apostoli e ai loro successori che hanno ricevuto la missione di pascere il gregge di Dio, ma in diversa misura esse riguardano tutti i cristiani che, missionari in forza del Battesimo, sono chiamati a portare il Regno di Dio tra le anime.
“Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno che sia ben preparato, sarà come il suo maestro” Ai tempi di Gesù la scienza non era considerata come la ricerca di cose nuove di fare nuove scoperte ma riguardava l’apprendimento della sapienza degli antichi e delle loro tradizioni. La scienza era la trasmissione orale delle cose antiche, ed è evidente che per questo il discepolo non poteva superare il maestro. Nessuno può conoscere il passato più di quanto gli è stato trasmesso. Naturalmente, questo tipo di scienza vale soprattutto per la Rivelazione divina, e si applica in modo del tutto speciale alla conoscenza di Dio che Gesù, divino Maestro, ci ha portato. Gesù dirà: «Non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli». Per questo, quando chiamiamo “maestri” i pastori della Chiesa, lo diciamo nel senso che essi ci trasmettono gli insegnamenti di Gesù. Possono dirsi realmente maestri nella misura in cui trasmettono con fedeltà gli insegnamenti di Gesù, nella misura in cui Gesù parla, vive ed opera in loro. Dunque, il cristiano che vuole edificare il prossimo ed essere luce per esso deve attingere tutta la sua sapienza da Cristo sforzandosi di imitarlo.
“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Essere bravi nelle parole, ma trascurati nei fatti, a che serve? A che servirebbe mostrare grande zelo nel correggere i difetti del prossimo, se poi si è trascurati nel correggere i propri? Se la nostra vita contraddice ciò che noi predichiamo e insegniamo agli altri? Non sarebbe questa una stolta ipocrisia?
San Giuseppe da Leonessa, grande predicatore cappuccino, faceva questo paragone. Un tempo le finestre erano costruite in modo da risultare piccole all’esterno e molto più larghe all’interno, quasi a voler convogliare la luce verso la stanza interna. Diceva il Santo: «Vedete voi quella finestra sì come è più larga dentro che fuori? Così deve esser l’uomo, che deve dilatarsi dalla banda di dentro in considerare i difetti propri e la propria coscienza anzi che li difetti altrui». Cioè la luce deve essere convogliata all’interno, protesa verso la nostra anima per scorgervi i difetti, le mancanze, la polvere, le ragnatele che la macchiano, così da potervi mettere rimedio. Noi invece rischiamo talvolta di essere “finestre al contrario”: strette dentro e larghe fuori, disperdendo quel po’ di calore che vi è all’interno e lasciandovi il buio. Siamo intransigenti con gli altri e poco attenti ai nostri difetti. Applichiamo il Vangelo alla lettera sugli altri, e poco su noi stessi. Dovremmo invece imparare a far sì che la luce del Vangelo penetri prima di tutto in noi, per poterla donare poi agli altri.
“Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono”. Questa frase vuole essere legata alla precedente, e vuol dire che chi ha la trave nell’occhio e pretende di correggere il prossimo è come un albero cattivo: come potrà ottenere dei frutti buoni nel prossimo con la sua predicazione? Come potrà attrarre altri alla virtù? Come potrà ancor più ottenere il frutto della conversione del proprio prossimo con un tale atteggiamento ipocrita? Se la nostra vita è in dissonanza con ciò che si predica, chi verrà mai da noi a cogliere frutti di buoni pensieri, di buoni propositi, di buoni desideri di virtù? Chi si lascerà persuadere da un uomo di tal fatta che è in realtà tutto rovi e spine?
“Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo”.
Quali frutti produciamo? Frutti di dolcezza indicati dal fico, ossia di pazienza, modestia, sottomissione, edificazione? Produciamo frutti di forza indicati dall’uva, ossia di zelo, fermezza, costanza nel bene? Oppure produciamo solo spine e rovi che non si possono toccare senza pungersi e lacerarsi? Il nostro umore aspro, le nostre maniere ruvide, la nostra aria altera, le nostre parole offensive non sono forse tutte spine? Le nostre critiche, le nostre satire, le nostre maldicenze, i nostri discorsi poco edificanti e tanti altri nostri difetti che possiamo riconoscere non debbono forse farci temere di essere una spina nel campo del Signore, anziché una buona pianta, e che Egli sarà obbligato infine a svellere e gettar nel fuoco?
“L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. La similitudine ha lo stesso significato della precedente. Il tesoro di cui parla Gesù sono le opere, sono esse a formare il nostro tesoro. A seconda che le opere siano buone o cattive, noi possiamo dedurre di quale natura sia il nostro tesoro. Dobbiamo giudicarlo partendo dalle parole, perché la bocca parla dall’abbondanza del cuore. Tutto parte dal di dentro: dalla mente, dai pensieri, dai desideri: è lì che dobbiamo esaminarci. Quali sono i nostri pensieri, i nostri discorsi, su quale argomento vertono? Vi entra Gesù Cristo, il Regno di Dio, la nostra fede? Oppure il più delle volte i discorsi volgono ai difetti altrui, occupandoci solo di leggerezze e vanità, intrattenimenti frivoli, dissipazioni?
Tra poco inizierà il tempo santo della Quaresima. Un tempo di rinnovamento che il Vangelo di oggi potrà aiutarci a vivere in modo davvero fruttuoso per la nostra anima. Mettiamoci alla scuola di Gesù, nostro Maestro, e sforziamoci di mettere in pratica la sua parola, di seguire i suoi esempi, di assomigliare di più a Lui e così produrre buoni frutti a gloria di Dio e ad edificazione del nostro prossimo. La Madonna ci aiuti in tutto questo.
(P. Angelomaria Lozzer - Settimanale di P. Pio 2025, n. 9)
Cieco che guida altro cieco (S. Vranks, 1600)