(Lc 10,25-37)
La legge di Dio è il perno intorno al quale si aggira la Liturgia del giorno. « Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osserverai i suoi comandamenti e i suoi precetti » (Dt 30, 10). Dio non è rimasto estraneo alla vita dell'uomo, ma si è chinato su di lui, ha pattuito con lui un'alleanza e gli ha manifestato il suo volere nella legge. Non una legge astratta, imposta unicamente dall'esterno, ma iscritta. nel cuore dell'uomo fin dal primo momento della creazione; una legge quindi consona alla sua natura, rispondente alle sue esigenze essenziali, atta a condurlo alla piena realizzazione di sé secondo il fine che Dio gli ha assegnato, cioè al raggiungimento del Paradiso, la vita eterna. «Questo comandamento che oggi ti ordino - dice il sacro testo - non è troppo alto per te, né troppo lontano da te... Anzi, questa parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica » (ivi 11.14).
Questa Parola si è fatta poi ineffabilmente vicina all'uomo quando la Parola eterna di Dio, il suo Verbo si è fatto carne ed è venuto a piantare la sua tenda in mezzo agli uomini, rivelando ad essi nel modo più pieno la volontà divina espressa nei comandamenti e insegnando a praticarli con perfezione.
La stupenda pagina di Luca raffigura in modo plastico un aspetto di questa vicinanza di Dio a noi. In Gesù, Dio è diventato il compagno di viaggio per ogni uomo e per ogni donna nel cammino della propria esistenza. Infatti, Gesù è il buon samaritano che si fa incontro all'uomo bisognoso, per curarne le ferite, lenirne il dolore e dargli conforto, pace, speranza e vita. Gesù è il primo e vero prossimo di ogni uomo.
L'occasione di questa parabola, esclusiva del Vangelo di Luca, è data dall'interrogatorio pressante a cui Gesù è sottoposto, come tante altre volte nella sua vita. Anche oggi, a porgli delle domande difficili e sottili, è un «dottore della legge», cioè un esperto nelle Scritture, una persona dotta. «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» (Lc 10, 25). Domanda soprattutto « per metterlo alla prova», per mettere in imbarazzo Gesù, a coglierlo in fallo e, possibilmente, per poterlo screditare davanti ai suoi uditori e davanti ai discepoli.
Gesù sollecita lo scriba a dare egli stesso, secondo la sua competenza, la risposta giusta: Gesù, da interrogato, si fa interrogante; la risposta del dottore della Legge riceve l'approvazione di Gesù, poiché essa coglie l'essenza della Legge e dell'Alleanza: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (v. 27; cfr Lc 18, 5).
Già all'epoca del Cristo, il giudaismo era arrivato a comprendere abbastanza bene che il cuore della legge di Mosè e di tutto l'Antico Testamento stava in questi due precetti. Essi costituivano il primo e fondamentale comandamento. Tutto il resto si riduceva o trovava senso nell'osservanza del precetto fondamentale: «Amare Dio e amare il prossimo». Le diverse espressioni: «con tutto il tuo cuore», «con tutta la tua anima», «con tutte le tue forze», indicano che bisogna amare Dio col coinvolgimento di tutta la persona, cioè con la totalità dell'uomo.
Chi è il mio prossimo?
Ma restava ancora un punto oscuro a questo esperto giurista. Egli chiede allora chiarimento a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» (Lc 10, 29). La sua domanda è capziosa.
«Chi è il mio prossimo?». Gesù non gli risponde con una definizione astratta, ma con la storia di un poveretto incappato nei briganti, derubato e lasciato mezzo morto per la strada. Due individui gli passano accanto - un sacerdote e un levita -, lo vedono, ma va oltre senza curarsi di lui; soltanto un samaritano s'impietosisce, si ferma e lo soccorre. Il samaritano «gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui» (v. 34). La sua preoccupazione per quest'uomo che non conosceva, ma che ha incontrato casualmente lungo la strada, è talmente premurosa, che si prolunga anche durante la sua assenza. Quando deve partire, per continuare il suo viaggio di affari, lascia una caparra per le prime cure e per le necessità più urgenti del ferito, impegnandosi a rifondere il resto al suo ritorno.
E chiaro che davanti a queste tre categorie di persone, lo scriba, che aveva tentato Gesù, deve ammettere che proprio il samaritano - e non i giudei: né il sacerdote, né il levita - è stato il vero prossimo verso questo disgraziato. Non ci sono distinzioni da fare, né di religione, né di nazionalità, né di amici o nemici; qualsiasi uomo bisognoso di aiuto è « prossimo » e deve essere amato come ognuno ama se stesso. C'è di più: la parabola obbliga il dottore della legge a riconoscere che la legge stessa è stata adempita non da uomini particolarmente istruiti su di essa - come il sacerdote e il levita - ma da un samaritano, ritenuto dai Giudei incredulo e peccatore, persona da tenere lontana; e proprio questi viene proposto come modello a chi, con mentalità farisaica, si ritiene giusto, impeccabile osservante della legge. Poco importa infatti conoscere la morale a perfezione, discutere e filosofare intorno ad essa, quando non si sanno adempiere i doveri più elementari in casi così chiari e urgenti come quello proposto dalla parabola. Chi ha il cuore duro, chi è egoista troverà sempre mille scuse per esimersi dal soccorrere il prossimo, soprattutto quando il farlo è scomodo ed esige sacrificio.
Gesù «il buon samaritano» di ogni uomo
L'indicazione, con la quale Gesù conchiude il racconto, è un invito pressante a tutti noi, affinché diventiamo «buon samaritano» verso il prossimo: «Va' e anche tu fa' lo stesso» (v. 17b) e guardare a Lui come il primo e vero buon samaritano dell'uomo. Nessuno come lui si è fatto prossimo per l'altro, verso il bisognoso. Gesù, infatti, è il Buon Samaritano! Egli è l'Emmanuele, il Dio-con-noi, il prossimo più prossimo dell'uomo. In particolare, Gesù è compagno di viaggio di ogni essere umano, proprio perché egli soltanto è la «via» (Gv 14, 6) di salvezza, di redenzione e di liberazione. L’uomo, dopo il peccato, è rimasto a terra, incapace di rialzarsi. Gesù ha dato tale esempio di vicinanza all'uomo, fino a offrire la sua esistenza e il proprio sangue, per il riscatto dei nostri peccati. Nessuno mai ha tanto amato gli altri come il Cristo, che ci ha amato «fino all'estremo» di sé (Gv 13, 1), fino alla donazione suprema di se stesso. E ha lasciato la Chiesa per curare l'uomo, attraverso la grazia dei sacramenti e la cura spirituale dei Pastori.
Come Chiesa, quindi noi cristiani, dobbiamo seguire l'esempio di Cristo, nell'aiutare il prossimo nei suoi bisogni corporali e spirituali.
Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Salvifici doloris (1984), affermava: «buon samaritano è ogni uomo che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo», che è «sensibile alla sofferenza altrui», che «porta aiuto nella sofferenza» (cfr. le opere di volontariato, o nella consacrazione totale, vedi l'esempio di Madre Teresa di Calcutta):
Il Buon Samaritano è colui che si sacrifica per la salvezza delle anime, pregando, offrendo sacrifici, impegnandosi nell’apostolato (cfr. i Santi: S. Pio, i Santi Francesco e Giacinta, S. Massimiliano, S. Veronica ecc.).
Guardiamo l'esempio di Maria SS. che amato Dio con tutto il cuore, compiendo sempre la Sua volontà, e il prossimo, noi tutti, tutta l’umanità: con il suo Si all’annunciazione e sul Calvario ci ha concepiti nella gioia e generati nel dolore, diventando la nostra Madre e riaprendoci le porte del Paradiso. La Madonna è anche la nostra mediatrice che ci ottiene le grazie della santificazione e soprattutto le grazie per amore Dio e il prossimo, con il suo Cuore e il Cuore divino di Gesù. Chiediamo proprio a Lei, Madre del divino amore, l’amore grande a Dio e al prossimo
Il richiamo e dovere all'amore totale verso Dio e il prossimo è importantissimo! Chiediamo alla Madonna la grazia di poter sempre corrispondere.
Audio Omelia
Il Buon Samaritano