Omelia della IV domenica di Quaresima - Anno A
«Io sono la luce del mondo » - Gesù guarisce il cieco nato
La liturgia di questa domenica caratterizzata dal «laetare», cioè «rallegrati», e si apre con un forte invito alla gioia: «Esultate e gioite voi che eravate nella tristezza» (Antifona d'inizio) perché ormai vicina la celebrazione del mistero della nostra Redenzione, la Pasqua, e che occorre prepararsi «con fede viva e generoso impegno » (Colletta). Anche le vesti liturgiche possono esprimere tale gioia, giacché si usano quelle di colore rosaceo al posto di quelle violacei, un colore festoso proprio ad indicare quale dovrebbeessere lo stato d'animo dei cristiani.
L'invito alla gioia è dato questa domenica anche dal fatto che Gesù si presenta a noi come la luce del mondo, ci richiama al suo prossimo passaggio dalla morte alla luce della risurrezione; ed è luce che illumina la nostra vita, che rischiara le nostre tenebre fisiche e soprattutto spirituali; lasciandoci toccare e guarire dal raggio della sua Gloria ci fa passare dalle tenebre del peccato alla luce della grazia di Dio, e noi, come suoi discepoli, conseguentemente, siamo chiamati a vivere come “figli della luce.
La luce, come l'acqua, il vento, l'aria che respiriamo, è un elemento naturale. La luce è elemento indispensabile per la vita dell'uomo e della natura, per il rifiorire della terra. Anzi, la luce s'identifica con la vita stessa: «venire alla luce» e «aprire gli occhi alla luce» equivale a nascere; «dare alla luce» significa dar vita a un figlio; così pure, l'espressione: «chiudere gli occhi alla luce» corrisponde a morire.Un mondo senza luce sarebbe morto, così come un cielo privo di stelle incomberebbe freddo e minaccioso sull'umanità.
Tutta la rivelazione biblica è pervasa dal tema della luce, così tersa e trasparente nel Medio Oriente! La storia della salvezza si apre con un atto creatore di Dio, che separa la luce dalle tenebre: "Sia la luce!". E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e la separò dalle tenebre» (Gn 1, 3-4). La stessa luce, nella sua realtà materiale di fulgore, di trasparenza e di vitalità, è come un riflesso o irradiazione della luce totalmente luminosa che è Dio (cfr Sap 7, 27.29 s). Canta il salmista nel salmo 104: «Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come un manto» (Sal 104, 1.2). Al termine del lungo cammino della storia della salvezza, nella creazione nuova della «Gerusalemme celeste», Dio stesso sarà la luce dei salvati: allora, «la città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello» (Ap 21, 23), il Cristo risuscitato sorgente di luce e datore della salvezza a tutta l'umanità.
Nella pagina sublime del Vangelo di Giovanni, del miracolo di Gesù al cieco nato, proprio nel segno della luce, noi incontriamo oggi una duplice realtà: la realtà naturale e materiale della luce quale vista, cioè, vita dell'uomo, e la luce come segno o simbolo di una realtà superiore, ma altrettanto vera e concreta: la luce della fede. Gesù guarisce la cecità naturale e la cecità spirituale dell’anima. Infatti il cieco nato riesce a vedere cogli fisici la realtà che lo circonda e riesce a vedere gradatamente, cogli occhi dell’anima, con la fede Gesù, credendo in Lui, il Figlio di Dio, il Messia.
E dal racconto del Vangelo si evince che l’uomo guarito incontrò forti opposizioni e contrasti, da parte dei farisei. Anche nel cammino di conversione non mancano difficoltà e contrasti: quando un uomo si converte, non sempre il mondo, gli amici e, a volte, perfino i familiari, si mostrano benevoli, anzi, spesso, lo perseguitano.
Il cieco nato ha il coraggio di testimoniare la verità su quanto gli era accaduto: “Mi ha posto del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo” (Gv 9,15), e le sue esplicite dichiarazioni riguardo a Colui che lo aveva guarito, gli attirano le ire e le vendette dei farisei: l’uomo viene insultato, escluso dalla sinagoga, scomunicato e abbandonato perfino dai genitori. Rimasto solo, ha la grazia di ritrovarsi, subito dopo, a faccia a faccia con Gesù che, con commovente tenerezza, gli rivela il mistero della sua identità divina: “colui che parla con te è proprio lui” (ivi, 37). L’uomo guarito ha perso tutto e tutti, ma ha trovato in Gesù Colui che non solo gli ha guarito la cecità del corpo, ma gli ha aperto soprattutto gli occhi dell’anima, col dono ancora più mirabile della fede.
Di fronte alla luce evidente del miracolo, e alla fede del cieco nato, meraviglia che i farisei si chiudano sempre più nella loro incredulità. Non tutti accettano il chiarore della sua luce. Ricordiamo il Prologo di S. Giovanni: la luce venne nel mondo e le tenebre non l’hanno accolta. La chiusura di fronte alla luce, è il pericolo più grave dell’uomo d’oggi, dell’uomo sicuro di sé, orgoglioso della propria intelligenza, ma incapace di cogliere i segni provenienti da Dio. Ci sono dei ciechi spirituali che neppure Dio può guarire, perché si rifiutano di aprire gli occhi alla luce della verità. E’ una cecità colpevole, dal momento che non ammettono di essere ciechi e pretendono di vedere pur chiudendo gli occhi alla luce.
Il dramma anche della nostra incredulità e della cecità, riguarda anche noi. Ciechi lo siamo un po’ tutti. Le forme della nostra cecità spirituale sono tante quanti sono i nostri vizi. Siamo ciechi quando seguiamogli istinti sfrenati delle nostre passioni, quando volutamente prendiamo strade diverse da quelle tracciate dal Signore o quando dissipiamo i beni immensi dello spirito e del corpo, vivendo lontani dai comandamenti di Dio. Oggi san Paolo, nel passo riportato dalla seconda lettura, ricorda ai cristiani, a noi il grande dono di essere stati trasferiti dalle tenebre del peccato nella luce di Cristo, e ci richiama al grave dovere di vivere come figli di Dio: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce” (Ef 5,8). Al battezzato non si addicono più le opere delle tenebre. Particolarmente nel mondo di oggi, in cui l’uomo si allontana sempre più dalla luce di Cristo, siamo chiamati a testimoniare con coraggio le opere della luce e a produrre frutti “di bontà, giustizia e verità” (ivi, 9).
Anche noi dobbiamo vivere sempre vicino a Cristo e illuminati da Lui. Quaresima tempo propizio. Sacramento della Confessione. Come Gesù comandò al cieco di lavarsi alle acqua della piscina di Siloe, oggi, dopo averci illuminato con la sua Parola e la sua Presenza, ci comanda di andarci a lavare nel sangue del sacramento della confessione. Infatti, i Padre della Chiesa, richiamavano la piscina di Siloe quale immagine del Sacramento del Battesimo e della Confessione.
Chiediamo alla Madonna di farci comprendere sempre di più questi insegnamenti del Signore, di accogliere la sua luce e soprattutto testimoniare questa luce, vivendo come veri figli della luce.