Omelia II Domenica di Pasqua - Anno B
Vivere la fede e la carità alla luce del Cristo Risorto
(Gv 20,19-31)
Domenica in Albis
La domenica dopo la Pasqua, viene chiamata «Domenica in albis»
Viene chiamata così perché nei primi secoli il battesimo si faceva solo durante la veglia pasquale. In quella notte santissima gli adulti, con i loro figli, ricevevano dal vescovo il battesimo e subito dopo venivano rivestiti di una veste bianca. Ancora oggi, al termine del rito del battesimo dei bambini, si impone una veste bianca, «segno della nuova dignità» di figli di Dio. È facile oggi lavare un vestitino bianco, basta metterlo in lavatrice e usare un po' di quei meravigliosi detersivi moderni. Ma al tempo dei romani, solo il vestito nuovo era veramente bianco! Per lavarlo si usava la soda presente nella cenere; venivano puliti, ma, lavaggio dopo lavaggio, risultavano anche un po' grigi. Era così possibile riconoscere subito un vestito nuovo, simile a questo che porta il sacerdote, il camice, proprio perché bianco. Quella veste bianca, nuova, consegnata il giorno del battesimo, veniva portata dal nuovo battezzato per una settimana; poi, la domenica successiva alla Pasqua, veniva deposta sull'altare, pubblicamente, a significare che cominciava la vita quotidiana. Perciò veniva chiamata «domenica in albis», cioè «domenica in bianco o bianca», dalla veste bianca che veniva messa sull'altare.
Il battesimo, pertanto, ci richiama alla nostra risurrezione, con quella di Cristo, alla nostra rinascita come figli di Dio, figli che devono vivere nella fede, nella speranza e nella carità. Per questo le letture di questa domenica ci richiamano a questo grande dono e a vivere le virtù teologali.
Le apparizioni di Gesù agli Apostoli
Nel Vangelo di Giovanni (20, 19-29) ci racconta le apparizione di Gesù agli Apostoli riuniti nel cenacolo, che aiuteranno la loro fede e carità. La sera della Risurrezione, Gesù, dopo aver affidato ai suoi la missione che ha ricevuta dal Padre - « Come il Padre ha mandato me, così io mando voi » -, dona ad essi lo Spirito Santo. « Alitò su di loro e disse: " Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti " ». Non si tratta del dono dello Spirito in forma visibile e pubblica come accadrà nella Pentecoste; tuttavia è quanto mai significativo che il giorno stesso della Risurrezione, Gesù abbia effuso sugli Apostoli il suo Spirito. Lo Spirito Santo appare così quale primo dono di Cristo risorto alla sua Chiesa nel momento in cui egli la costituisce e la invia a prolungare la sua missione nel mondo. E assieme all'effusione dello Spirito l'istituzione della penitenza che, con il battesimo e l'Eucaristia, è sacramento tipicamente pasquale, segno efficace della remissione dei peccati e della riconciliazione degli uomini con Dio effettuate dal sacrificio di Cristo.
Ma quella sera Tommaso era assente e quando ritorna si rifiuta di credere che Gesù sia risorto: « Se non vedo... e non metto il mio dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo ». Non soltanto vedere, ma addirittura introdurre la mano nelle ferite. Gesù lo prende in parola. « Otto giorni dopo » ritorna e gli dice: « Da' qui il tuo dito, e vedi le mie mani; da' qui la tua mano e mettila nel mio costato; e non voler essere incredulo, ma credente ». Il Signore ha compassione dell'ostinata diffidenza dell'apostolo e con infinita bontà gli offre le prove da lui pretese con tanta baldanza. Tommaso è vinto ela sua incredulità si scioglie in un grande atto di fede: « Signore mio e Dio mio! ».
E’ proprio in questo brano del Vangelo, in cui troviamo l’indiscussa affermazione che Gesù è Dio: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù è Dio. Si possono ancora dire molte altre cose, ma questa è veramente centrale nella nostra fede; due sono i pilastri della fede cattolica: umanità e divinità di Cristo, Unità e Trinità di Dio. Su questo poggia tutta la nostra fede, da questo nascono tutte le altre verità di fede. E’ anche un insegnamento prezioso che ci ammonisce a non meravigliarci dei dubbi e delle difficoltà altrui nel credere e a pregare per i dubbiosi e gli increduli. Di fronte alle difficoltà, alla fatica del credere, occorre ricordare le parole di Gesù per trovare in esse il sostegno di una fede fondata sulla parola di Dio. «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto! » (Gv 20, 29).
La lode del Signore riecheggia nella voce di Pietro commosso per la fede viva dei primi cristiani, i quali credevano in Gesù come se l'avessero conosciuto personalmente: « lui... sebbene non visto l’amate; [ ... in lui] ora, pur senza vederlo, credete ed esultate di gioia ineffabile e gloriosa » (1 Pt 1, 8). Ecco la beatitudine della fede proclamata dal Signore, e che deve essere la beatitudine dei credenti di ogni tempo, la nostra beatitudine.
Fede e carità
Fede che si traduce nella carità: la prima lettura degli Atti degli Apostoli, ci narra la vita quotidiana della prima comunità dei cristiani a Gerusalemme, una vita contrassegnata da vera fede e carità. Una comunità in cui si cercava di vivere il Vangelo, cioè la «buona notizia» della risurrezione mettendola in pratica. La fede in Cristo era la forza coesiva che riuniva i primi credenti in una compagine compatta, basata su una profonda comunione di sentimenti e di vita. « E la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede, aveva un cuor solo e un'anima sola » (At 4, 32). Fede tanto forte che portava a rinunciare spontaneamente ai propri beni per metterli in comune a favore dei più bisognosi, considerati veri fratelli in Cristo. E’ una fede, quindi, concreta e operosa da dare un'impronta totalmente nuova alla vita dei credenti, non solo nel settore dei rapporti con Dio e della preghiera, ma anche nei rapporti col prossimo e perfino nel campo degli interessi di cui l'uomo è tremendamente geloso. San Luca ci dice che «Nessuno tra loro era bisognoso, con una giusta distribuzione dei beni, segno di una carità incarnata, concreta, possibile. Una carità che nasce dalla fede, che riconosce l'uomo Gesù come Dio; che lo sa vedere presente nel volto dei nostri fratelli, soprattutto di quelli più bisognosi.
La festa della Divina Misericordia
Oggi ricorre anche la festa della Divina Misericordia, festa voluta da Gesù, secondo le rivelazioni private a Santa Faustina Kowaska, e istituita dal Papa Giovanni Paolo II; una festa impreziosita del dono dell’indulgenza plenaria (confessione, comunione, preghiera secondo intenzione del Papa – Credo, Pater e pia invocazione a Gesù Misericordioso).
«La misericordia divina è così grande - ha scritto san Giovanni Crisostomo - che nessuna parola può esprimerla e nessun pensiero concepirla... ». Misericordia che sperimentiamo nei Sacramenti (specialmente nella Confessione e dell’Eucarestia) e nella Madre della Misericordia, Maria Santissima.
Perciò sant’Isidoro ha potuto affermare con sicurezza: «Non vi è delitto così grande, che non possa essere perdonato nella Confessione». Nella vita di sant’Antonio di Padova si racconta che un giorno un grande peccatore andò a confessarsi dal Santo, dopo avere ascoltato una sua predica. Il pentimento del peccatore era così vivo che gli impedì di parlare per i continui singhiozzi. Sant’Antonio allora gli disse: «Va’, figlio, scrivi i tuoi peccati poi ritorna». Il penitente andò, scrisse i peccati su un foglio, tornò dal Santo e gli lesse la lista delle colpe. Quale non fu la sorpresa, però, quando alla fine della lettura si accorse che il foglio era tornato bianco, senza più traccia di scrittura! Ecco il simbolo dell’anima che torna pura nella Confessione.
Nell’Eucarestia troviamo tutto Gesù Misericordioso, Amore, presente sotto le specie del pane e del vino, col Corpo, Sangue, Anima e Divinità, che diventa nostro Cibo e nutrimento per le nostre anime.
Maria Santissima è Madre di Misericordia, come recitiamo nella Salve Regina, perché il Signore ha fatto confluire in Lei, l’abbondanza della sua misericordia e sa compatire, come nessuna persona umana, le nostra miserie e soccorrendoci in ogni necessità.
Oggi, infine, vogliamo servirci delle parole di S. Tommaso per professare la nostra fede e amore in Gesù Eucaristico: possiamo dirle al momento della consacrazione o quando riceviamo la comunione o quando l’adoriamo nell’ostensorio o nei tabernacoli. «Mio Signore e mio Dio!».
Commento al Vangelo Gv. 20,19-31 secondo i Padri della Chiesa
Gesù Risorto con Apostoli e S. Tommaso