(Gv 2,13-25)
Annuncio pasquale
Siamo alla terza domenica di Quaresima e abbiamo sentito l’annuncio della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù (annuncio pasquale). Infatti, dopo aver scacciato dal Tempio i venditori ambulanti, ai Giudei che lo interrogavano Gesù disse: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Gesù intendeva parlare del tempio del suo Corpo, che è il vero tempio della divinità, di cui la costruzione di pietra era solo una immagine. Gesù viene a salvarci attraverso la sua Passione e Morte: morendo sulla croce (scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani) distrugge il peccato; e risorgendo ci dona la vita divina, soprannaturale (la grazia). La risurrezione è la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Da Cristo quindi siamo salvati e riceviamo la vita divina che dobbiamo sempre conservare, custodire per raggiungere il premio finale, eterno del Paradiso attraverso l’osservanza dei voleri di Dio, i Comandamenti. Per avere la vita eterna bisogna osservare i Comandamenti.
Il dono dei Comandamenti per la vita eterna
Il popolo d’Israele, figura del nuovo popolo di Dio che è la Chiesa, poco dopo la “pasqua”, ossia il passaggio liberatore dall’Egitto al deserto attraverso il quale doveva giungere alla terra promessa, stipulò con Dio un’Alleanza che si concretizzò nel ricevere da Dio il dono del Decalogo e impegnò ad osservarlo. Il decalogo non si presenta come una fredda legge morale imposta dall'alto per pura autorità, ma come una legge sgorgante dall'amore di Dio il quale, dopo aver liberato il suo popolo dalla schiavitù materiale dell'Egitto, vuol liberarlo da ogni schiavitù morale delle passioni e del peccato per legarlo a sé in un'amicizia che da parte sua si esprime con una bontà onnipotente e soccorritrice e da parte dell'uomo con la fedeltà al volere divino. Del resto il decalogo non fa che esplicitare quella legge dell'amore - verso Dio e verso il prossimo - che fin dalla creazione Dio ha impresso nel cuore (legge naturale). S. Ireneo affermava, infatti, “fin dalle origini, Dio aveva radicato, impresso nel cuore degli uomini i precetti della legge naturale; poi si limitò a richiamarli alla loro mente: fu il Decalogo”. Quindi, tutti noi, anche le persone che sono nella giungla, che non hanno mai sentito il Vangelo, abbiamo scolpito nell’anima la legge divina che ci fa conoscere prima di ogni altra ciò che è bene e ciò che è male. E S. Bonaventura precisa che, quantunque accessibili alla sola ragione, i precetti del Decalogo sono stati rivelati, a causa della condizione dell’umanità peccatrice, perché la luce della mente si era ottenebrata e la volontà sviata.
Riguardo alla obbligatorietà dei precetti del Decalogo, non si può avanzare alcun dubbio, dal momento che Dio stesso, nostro Creatore e supremo Signore, ce li ha imposti, e che d’altronde essi non sono altro che l’esplicitazione della legge stessa di natura. Tutti gli uomini di ogni tempo, di ogni nazione ed anche di ogni religione, sono obbligati ad osservarli nella loro sostanza, perché tutti gli uomini sono soggetti alla stessa legge di natura. Dio stesso non potrebbe dispensarli, perché Egli allora dovrebbe rinunciare alla sua santità, e perché nella confusione che ne verrebbe tra il bene e il male, Dio cesserebbe di essere Dio, e l’uomo cessare di essere ragionevole (cfr. attualmente chi vorrebbe permettere l’adulterio!). Quindi i comandamenti sono sostanzialmente immutabili e obbligano tutti gli uomini, sempre e dappertutto.
E non basta osservarne una parte sola di questi precetti: bisogna osservarli tutti, dal primo all’ultimo. Il Decalogo costituisce un tutto indissociabile, ogni “parola” rimanda a ciascuna delle altre e a tutte, esse si condizionano reciprocamente; le due Tavole si illuminano a vicenda, nell’amore a Dio e ai fratelli. Trasgredire un comandamento è infrangere tutti gli altri, e come dice il Catechismo di San Pio X, basta trasgredirne uno solo per meritare l’inferno. Ce l’attesta anche l’apostolo Giacomo: “chi non avrà osservata tutta la legge e avrà inciampato in una cosa sola è divenuto reo di tutto” (Gc 2,10)
Circa la possibilità di osservare i comandamenti è possibile perché Dio non comanda mai cose impossibili. E’ vero che l’uomo è inclinato al peccato ed agitato da mille passioni, ma il Signore dà la grazia a tutti per osservare i comandamenti, concedendo la grazia soprattutto attraverso la preghiera, la penitenza, i sacramenti, la devozione alla Madonna. Così anche per la difficile virtù della castità, S. Alfonso dice che “nessuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere ancora le verità della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella si congiura con l’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L’unica difesa contro questa tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: L’orazione è il presidio della pudicizia (De or. Dom. I.). E lo disse prima Salomone: ‘Subito ch’io seppi come non poteva essere continente se Dio non mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai" (Sap 8,21). La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se Dio non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi la domanda certamente l’otterrà” (Del gran mezzo della preghiera, cap. I, tit. II). Ancora S. Alfonso, parlando dell’importanza della preghiera, diceva che “chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle”. (Del gran mezzo della preghiera, cap. I, tit. III) E rimanendo uniti a Gesù porteremo frutti di santità; infatti dice Gesù :“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5)
Il Tempio di Dio
Circa i modi, i rapporti con Dio, come quelli con il prossimo, devono essere estremamente retti, sinceri; può accadere che nel culto divino o nell'osservanza di qualsiasi punto del decalogo si badi più al lato esteriore, legalistico che a quello interiore e allora si può diventare, in poco o in molto, profanatori del tempio, della religione, della legge di Dio. Giovanni nota che Gesù ha purificato il tempio liberandolo dai venditori e dalle loro merci in prossimità della «Pasqua dei Giudei » (ivi 13). Era necessario che Gesù venisse a restaurare la legge antica, a completarla, a perfezionarla soprattutto nel senso dell'amore e dell'interiorità. Il gesto ardito di Cristo che scaccia i profanatori del tempio può essere considerato in questa luce. Dio deve essere servito e adorato con purezza d'intenzione; la religione non può servire da sgabello ai propri interessi, a mire egoistiche o ambiziose. «Portate via di qua queste cose e non fate della casa del Padre mio una casa di commercio» (Gv 2, 16). E la Chiesa in prossimità della « Pasqua dei cristiani » sembra ripeterne il gesto, invitando i credenti a purificare il tempio del proprio cuore perché da esso salga a Dio un culto più puro. La Quaresima, così, è il tempo adatto per penetrare anche noi in questa interiorità, per scrollarci di dosso la nostra superficialità nel culto divino. Il nostro culto esteriore, le nostre preghiere, la penitenza e i digiuni devono essere un'espressione d'amore, altrimenti varranno ben poco. Queste pratiche dovranno essere accompagnate dalla misericordia verso il nostro prossimo. Se con la preghiera chiediamo, sarà sempre con la misericordia che otterremo. Le più grandi penitenze non serviranno a nulla se saremo dominati dalla durezza del cuore.
Comunque, il gesto di Gesù è di grande insegnamento anche per il rispetto esteriore che dobbiamo avere per la Casa di Dio. Per questo motivo valgono le severe parole di Gesù: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!» (Gv 2,16). Anche noi rischiamo di rendere la chiesa non solo un mercato, ma addirittura un teatro, un luogo di chiacchiericci o di divertimento, profanato spesso da mode indecenti e scandalose.
Gesù stesso, un giorno, si lamentò con santa Gemma Galgani in questo modo: «Il mio Cuore è sempre contristato, me ne rimango quasi sempre solo nelle chiese e se molti si radunano hanno ben altri motivi e devo soffrire di vedere la mia chiesa, la mia casa ridotta in un teatro di divertimento...».
E a santa Margherita Maria, così diceva: «Io ho una sete ardente d'essere onorato dagli uomini nel Santissimo Sacramento e non trovo quasi nessuno che, secondo il mio desiderio, si sforzi di dissetarmi, usando verso di me qualche contraccambio».
Infine, Gesù si lamentò una volta con S. Pio per il comportamento indegno di tanti sacerdoti, per il modo con il quale lo trattavano, tanto da apostrofarli con l’appellativo “macellai”.
In questa Quaresima dobbiamo fare un proposito molto importante: di amare molto Gesù sacramentato, oltre nel partecipare alla S. Messa domenicale e possibilmente anche quotidianamente, visitarlo spesso nei nostri tabernacoli, ove spesso rimane solo. Sarà il tempo meglio speso, e il Signore ci ricolmerà delle sue benedizioni. La Madonna ci aiuti in questi santi propositi e nell’osservanza perfetta dei comandamenti divini.
Commento a Gv. 2,13-25 secondo i Padri della Chiesa
Gesù caccia i venditori dal Tempio