DOMENICA QUINTA DOPO PENTECOSTE
Santità farisaica e santità cristiana
(Mt,5 20-25)
La santità farisaica: esterna, incoerente, orgogliosa.
Abbiamo qui uno dei tratti più fondamentali del Vangelo, che costituisce una parte del celebre Discorso della montagna.
Diceva Gesù ai suoi uditori: « Se la vostra giustizia non sarà maggiore di quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli ».
Che cosa significa la parola giustizia?...Chi erano gli Scribi e i Farisei?..
La parola giustizia, non significa qui quella virtù particolare che ci spinge a dare a ciascuno ciò che gli spetta, « unicuique suum », ma significa - come commenta l'Angelico - una rettitudine generale dello spirito che abbraccia tutta la vita; ossia, quella giustizia che - secondo Aristotele - è, « la risultante di tutte le virtù». Significa, in una parola, la santità.
Gli Scribi erano, per eccellenza, gli uomini della legge; coloro che insegnavano, ossia predicavano ma non praticavano la legge; coloro che smentivano coi fatti ciò che insegnavano con le parole, seguaci fedeli di una doppia morale: quella che si predica (ad uso degli altri) e quella che si pratica (a proprio uso e consumo).
I Farisei poi erano gli ipocriti osservatori della legge. Tutta la loro santità era esterna, apparente, orgogliosa.
Era esterna, poichè si preoccupavano soltanto dell'esterno, senza il minimo pensiero dell'interno. Esterno correttissimo ed interno corrottissimo.
Alle pratiche esterne della legge, univano pensieri e sentimenti contrari alla legge; agli atti esterni di umiltà, univano pensieri e sentimenti di orgoglio; agli atti esterni di temperanza (digiuni, astinenze) univano pensieri e desideri sensuali; agli atti esterni di elemosina, di beneficenza, univano pensieri e sentimenti di rapina. Li fotografò mirabilmente Gesù allorchè li chiamò sepolcri imbiancati, belli di fuori, pieni di immondezza al di dentro.
La santità dei Farisei, oltre ad essere puramente esterna, era anche incoerente. Mentre davano grande importanza a ciò che è accidentale, trascuravano completamente ciò che è essenziale, ossia la fuga del male e la pratica del bene. Mentre si mostravano scrupolosissimi delle più piccole osservanze, non avevano il minimo scrupolo di calpestare ciò che costituisce il cuore, l'anima di tutta la legge: l'amore di Dio e l'amore del prossimo.
La santità dei Farisei, infine, era orgogliosa: facevano infatti tutte le loro cose - come disse Gesù - per essere veduti, stimati, applauditi dagli uomini. Tutte le loro opere esterne, apparentemente buone, internamente marcie, erano ordinariamente ordinate non già alla gloria di Dio, ma alla gloria dell'io, ossia, alla soddisfazione delle loro proprie passioni, e specialmente dell'orgoglio.
Tale, in breve, la santità farisaica. Aveva dunque ben ragione Gesù di proclamare altamente: « Se la vostra onestà, santità non sarà maggiore di quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete in cielo! ».
La santità cristiana: interna, coerente, umile.
La giustizia, ossia la santità cristiana quale ci è stata insegnata da Gesù, è tutto il rovescio della giustizia e santità farisaica. E' e dev'essere interna, coerente, umile.
La santità cristiana è interna, vale a dire, ad un esterno corretto deve corrispondere sempre un interno corretto, ben aggiustato. Si richiede quindi purezza, umiltà, carità non soltanto all'esterno, ossia, nelle parole e nelle opere, ma anche e sopratutto all'interno, ossia nei pensieri e nei sentimenti.
La santità cristiana, inoltre, è coerente, ossia, senza trascurare le piccole osservanze, dà maggior importanza a ciò che costituisce l'anima stessa della santità, ossia all'amore verso Dio e verso il prossimo.
La santità cristiana, infine, è umile, ossia spinge l'uomo a vivere e ad operare unicamente per Iddio e per la sua maggior gloria, onde riceverne un giorno il premio nel cielo.
Una domanda: la nostra giustizia o santità, si assomiglia più a quella farisaica o a quella cristiana?.
La razza dei farisei, infatti, è tutt'altro che spenta!..
Quanto fariseismo non vi è fra i cristiani!… Quanti, correttissimi all'esterno, sono poi corrottissimi nell'interno: il loro cuore è pieno di Gesù putridume. Quanti, si fanno scrupolo, magari, di lasciare la preghiera a S. Antonio o a S. Rita, o altre divozioncelle supererogatorie, e poi non si fanno il minimo scrupolo di lasciare la S. Messa la Domenica!...Quanti non sanno pensare che di se stessi; non sanno parlare che di se stessi; non sanno agire che per se stessi e per la loro maggior gloria.
E per Iddio ?… Nulla: nessun pensiero, nessuna parola, nessuna azione.
Se invece di chiamarli cristiani li chiamassimo farisei, sbaglieremmo forse?…
Un esempio pratico: « Non ammazzare! ».
Scendendo più al particolare, Gesù fa osservare come gli Scribi e i Farisei mancavano specialmente alla carità verso il prossimo, conseguentemente anche alla carità verso Dio.
Il precetto divino: « Non ammazzare! » veniva da loro limitato all'azione esterna di uccidere, mentre esso si estende anche ai sentimenti interni ed alle parole. Gesù condanna non solo chi uccide materialmente, ma anche chi uccide moralmente, coi sentimenti d'ira ossia di odio e di vendetta, con le parole di disprezzo e più ancora con le parole di oltraggio. Uccide quindi moralmente il proprio fratelio chi si adira contro di lui, ossia chi non reprime i sentimenti di odio e di vendetta che predispongono all'omicidio, al disprezzo e all'oltraggio: costui dice Gesù - sarà condannato nel giudizio, ossia nel tribunale giudaico ordinario, composto di 23 giudici, che risiedeva in ogni città e giudicava le cause di secondaria importanza. Uccide moralmente il proprio fratello colui il quale lo disonora con parole di disprezzo, chiamandolo per esempio, raca (dalla parola aramaica réqã, che significa « vuoto » di testa), ossia scemo: costui - dice Gesù - sarà condannato nel Sinedrio, tribunale supremo della nazione giudaica, composto di 70 membri più un presidente. Un insulto è come un pugno morale che atterra una persona. Uccide moralmente il proprio fratello colui che l'oltraggia chiamandolo stolto in senso morale, ossia empio, scellerato: Costui - dice Gesù -sarà condannato al fuoco della Gehenna, la quale era una valle (la Valle di Hinnon) posta a sud di Gerusalemme, e poiché serviva a scarico delle immondezze, vi ardevano sempre, a scopo igienico, grandi fuochi, simbolo dell'inferno. E' necessario, quindi - conclude Gesù - vivere in pace col prossimo usando con lui sentimenti e parole benevole. Se poi fosse accaduta qualche cosa che avesse rotto una tale pace, è necessario restaurarla quanto prima, riconciliandosi. Dio ama tanto questa pace, questa riconciliazione, da preferirla allo stesso sacrificio, che è l'atto più solenne della religione: preferisce infatti che si interrompa il sacrificio perchè si ricongiungano i cuori. Egli gradisce assai più i nostri cuori che i nostri doni. Domiamo quindi i nostri sentimenti di ira, ed evitiamo di parlare quando ci sentiamo agitati!
« Tra la mia lingua e me - diceva S. Francesco di Sales - abbiamo fatto un patto e abbiamo convenuto che nel tempo in cui il cuore si trova agitato, la lingua debba tacere ». « Se vi sentite adirato - diceva il filosofo Atenodoro - non dite nulla prima di avere recitato l'alfabeto ».
Approfittiamo di queste grandi e sublimi lezioni, se vogliamo che la nostra virtù sia superiore a quella dei Farisei. Poichè a questa condizione soltanto otterremo il regno dei cieli.
(P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 107-110)
“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.” (Mt 5,20)