La luce del Vangelo per i ricchi e per i poveri
Siamo anche oggi per grazia di Dio attorno all'altare del Signore per prendere 1'orientamento giusto della nostra vita e indirizzarla a Dio nostro principio e nostro fine
Dio è nostro principio: da lui veniamo, in lui, e per il suo aiuto, la sua grazia, viviamo, ci moviamo e siamo.
Dio è nostro fine: a lui andiamo, al suo regno, alla sua felicita, che solo può saziare le aspirazioni del nostro cuore, fatto per lui ed inquieto finché non si riposa in lui.
L’orientamento opposto invece è credere, almeno in pratica, che noi viviamo, stiamo bene, operiamo per causa dei beni materiali: perché abbiamo molte provviste di alimenti, di bevande, di case, di terreni, di fabbriche, di officine, di automobili, di denaro, di ricchezze materiali, di vestiti e che le ricchezze sono parimenti il nostro fine, la ragione della nostra felicità presente e futura.
Questo è falsissimo. Per convincerci di questa falsità basta aprire gli occhi ed essere un po' realisti. Basta una goccia di sangue coagulato, un collasso cardiaco, un infarto, uno scontro automobilistico per perdere non solo tutti i guadagni accumulati, ma anche la vita e presentarci al tribunale di Dio solo con il corredo delle nostre opere buone o cattive, che decidono della nostra sorte eterna, felice o infelice.
Noi vediamo, ogni giorno, famiglie dove non c'è la ricchezza, il lusso, ma dove c'è la salute, la gioia, la pace, perché tutti sono contenti del necessario e lavorano con gioia e buona armonia per procurarsi quello che è necessario.
Vediamo invece individui e famiglie in cui, nonostante la ricchezza, non c'è la gioia, ma l'avidità insaziabile di possedere di più, sacrificando la salute, i doveri religiosi, la pace in casa, la grazia di Dio.
Vediamo anche delle persone che si sono arricchite con mezzi leciti, con l'onesto lavoro e guadagno e si servono delle loro ricchezze per la gloria di Dio, sostenendo le opere e istituzioni religiose e caritative e per promuovere il benessere economico e morale dei loro dipendenti. Le ricchezze quindi sono un bene, purché siano mezzo per promuovere il vero bene della persona, della famiglia e della società.
Il Signore perciò non condanna le ricchezze, ma solo il loro cattivo uso, per cui, per causa loro, si offende il Signore, si danneggia il prossimo, si compromettono i veri interessi propri, temporali ed eterni. Per camminare su una via sicura, lontana dalle esagerazioni e dagli estremismi, vediamo dunque di capire l'insegnamento che oggi ci dà il Signore, maestro infallibile, per poterlo con la sua grazia mettere in pratica.
Nella prima lettura è il profeta Amos che a nome di Dio riprova e condanna la spensieratezza e la cecità dei ricchi del suo tempo e del suo paese, cioè del regno di Israele sia al Nord che al Sud. A quell'epoca non c'era molto da divertirsi, ma i ricchi disonesti sapevano industriarsi per procurarsi mobili, vini prelibati, pranzi, unguenti, canti e suoni.Tutto questo, mentre fuori della porta di casa la gente povera si ammazzava di fatica per procurarsi un pezzo di pane e non tutti ci riuscivano e un po' più in là, verso Oriente, si sentiva rumore di armi per l'approssimarsi degli eserciti assiro-babilonesi.
I ricchi, che allora correvano dietro a tante delicatezze, sarebbero stati i primi ad essere deportati in esilio, a servire da schiavi, più maltrattati degli altri per la loro provenienza sociale. Erano quindi ricchi e ciechi: non vedevano né vicino né lontano, solo preoccupati di star bene.
Nella seconda lettura il contesto è diverso ma è analogo il vizio S. Paolo raccomanda a Timoteo di fuggire le persone e le cose che ha nominato nel versetto precedente: «gli uomini che si sono riempiti di fumo, non comprendono nulla ..., uomini corrotti e privati della verità, i quali stimano che la pietà (il culto di Dio, la predicazione, l'apostolato) sia una fonte di guadagno» e conclude: «Radice di tutti i mali è l'amore al denaro, raggiunto il quale taluni hanno deviato dalla fede e si trafissero con molti dolori » (v. 10).
Quelli che vogliono arricchire trafficando le cose sacre, oppure attraverso il ministero sacerdotale, la predicazione del Vangelo, sono « falsi apostoli - sentenzia S. Paolo -, mestieranti, fraudolenti, camuffati da apostoli di Cristo » (2 Cor 11, 13) non veri apostoli, non cercatori di anime, ma di denaro.
Nella lezione evangelica Gesù racconta la parabola de ricco epulone (è nemmeno nominato) e del povero Lazzaro (ha il nome, perché la povertà accettata merita l'attenzione di Dio). Gesù ha di mira i farisei, uomini ricchi e religiosi. Del ricco epulone non si dice molto. Vestiva con lusso e banchettava ogni giorno da gran signore. Il suo torto era quel Lazzaro, che sedeva alla porta di casa e che il ricco non faceva buttare in mezzo alla strada, ma al quale non mandava neppure un piatto di minestra. Semplicemente non lo vedeva, lo trascurava, lo lasciava morire di fame.
Dopo la morte la situazione è diametralmente opposta: il ricco soffre, il povero gode. Perché? Che cosa ha fatto di male il ricco da essere nell'inferno? E’ stato cieco e cieco volontario. Non vedeva perché non voleva vedere, non gli faceva comodo. « Andate nel fuoco eterno - dirà Gesù – perché ebbi fame e non mi deste da mangiare » (Mt 25, 42). Il ladro, che ruba, sarà condannato; ma insieme al ladro sarà condannato anche chi non ha dato, potendo dare. Sono due tipi di peccato; il ladro pecca con le opere, l'avaro ricco pecca con le omissioni.
Questi due peccati portano alla stessa conseguenza: far morire di fame, sottraendo il pane col furto o non dando il pane per avarizia e ingiustizia. Gettare uno giù da un ponte nel fiume, o non buttare il salvagente a chi affoga, potendolo fare, portano allo stesso peccato di omicidio. E che cosa ha fatto di bene il povero Lazzaro per essere salvo? Non ha bestemmiato né contro Dio, né contro gli uomini, ha avuto la pazienza, ha sopportato con serenità le sue piaghe. Ci vuole più forza a sopportare una malattia fastidiosi che a compiere qualsiasi altra impresa. La parabola continua nell'altro mondo. Il ricco riconosce Lazzaro e questa volta si interessa di lui, ma sempre per avere per sé, non per dare agli altri. Vorrebbe un piccolo intervento di Lazzaro in suo favore. Nulla da fare! Un abisso separa i buoni dai cattivi nell'altra vita. Il ricco invoca lo stesso intervento a bene dei fratelli: uguale risposta negativa. Chi non ascolta il Dio di Mosè o di Gesù o della Chiesa non ascolta nemmeno un morto redivivo che gli appaia per ammonirlo. Nemmeno un miracolo lo commuove.
Ecco la conclusione del discorso: i ricchi non sono condannati in quanto ricchi, ma perché ricchi e ciechi, ricchi e avari, ricchi e voluttuosi.
« Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio » (Le 12, 21), dice Gesù.
La conclusione vale per ognuno di noi: per mezzo delle ricchezze materiali dobbiamo procurarci delle ricchezze spirituali: meriti, opere buone, beneficenza, pratica della giustizia e della carità, pace del cuore, gioia, morte santa, vita eterna.