DOMENICA QUATTORDICESIMA DOPO PENTECOSTE
L'atteggiamento del cristiano dinanzi ai beni terreni.
(Mt. 6, 24-34)
Nella splendida pagina ora letta, presa dal celebre discorso della Montagna, Gesù ci illumina intorno ad uno dei punti più fondamentali della nostra vita cristiana, stabilendo qual'è e quale deve essere l'atteggiamento del cristiano dinanzi ai beni terreni.
Dinanzi ai beni della terra, rappresentati in sintesi dalla parola denaro (Mammona), il cristiano deve avere un duplice atteggiamento, vale dire:
non deve attaccarsi soverchiamente ad essi;
non deve avere soverchia sollecitudine per essi.
Due cose sono dunque da evitarsi: soverchio attaccamento e la soverchia sollecitudine.
Il cristiano non deve attaccarsi soverchiamente ai beni terreni.
Nessuno - dice Gesù - può servire, ossia, può dedicare tutte le sue energie, simultaneamente, a due padroni; poiché, pel fatto stesso ch'egli dedica tutte le sue energie all'uno, non può dedicarle, simultaneamente, all'altro. Nel caso poi che questi due padroni comandino cose contrarie, è impossibile obbedire a tutti e due, e conseguentemente se accontenterà uno disgusterà l'altro.
Come, dunque, non si può servire ossia dedicare tutte le proprie energie, simultaneamente, a due padroni, cosi non si può servire simultaneamente a Dio e Mammona (voce ebraica ed aramaica matmon = ricchezza, denaro), ossia il Dio uno e Trino e... il dio quattrino. Tanto più che questi due padroni che si contendono il dominio sopra i cuori degli uomini (Dio legittimamente e il denaro illegittimamente) sono avversari irriconciliabili che muovono gli uomini verso opposte direzioni : se dà retta al dio quattrino, non si può dar retta a Dio Uno e Trino.
Si noti bene, però, che Gesù come osserva giustamente S. Girolamo, non dice: nessuno può avere ricchezze e servire a Dio; ma dice: nessuno può servire, nel medesimo tempo, a Dio. Altro, infatti è avere ricchezze ed altro essere schiavi delle ricchezze. Si possono, infatti, avere delle ricchezze e non essere servi; ossia schiavi di esse, e quindi servire Iddio. Gesù condanna soltanto che si diventi schiavi delle ricchezze, che il denaro diventi nostro padrone, assorbendo tutti pensieri, affetti ed azioni. Il denaro infatti - come diceva giustamente Pio XI è un buon servo (poiché con esso si possono compiere tante opere buone) ma è un cattivo padrone.
Eppure quanti si lasciano padroneggiare dal denaro, ossia servono il denaro, invece di lasciarsi padroneggiare da Dio!... Tali sono gli avari, ossia coloro che sono tutti intenti, anima e corpo, ad accumulare denari, magari a costo di una vita insonne, piena di privazioni e di stenti: loro cuore non è nel petto ma nella borsa, nella cassa forte, dove si trova il loro tesoro. Tali sono gli usurai, ossia coloro che speculano crudelmente" sull'altrui miserie e necessità per trarne iniqui proventi, di modo che più si allarga la borsa e più si restringe il loro cuore. Tali sono tutti coloro che cercano arricchirsi per via di frodi e di rapine.
Tutti costoro, unicamente intenti a servire con tutte le forze il dio quattrino, vivono completamente dimentichi di Dio Uno e Trino, loro supremo Padrone: non trovano mai un po' di tempo per attendere ai loro doveri religiosi, per ascoltare la S. Messa nei giorni festivi, lavorano nei giorni proibiti ecc.
Essi confermano luminosamente col loro modo di agire la verità di quelle parole di Cristo: « Non potete servire a Dio ed a Mammona ».
Il cristiano non deve avere soverchia sollecitudine per i beni terreni.
Ma si potrebbe obiettare : «Il denaro è necessario per procurarsi vitto, il vestito: non si può dunque rimanere indifferenti dinanzi al medesimo ». Gesù previene questa obiezione e la scioglie dicendo : « Non vi angustiate per il vostro vitto e per il vostro vestito ». Notate bene le parole di Cristo. Non dice: « Non datevi alcun pensiero del vitto e del vestito o di ciò che vi è necessario! ». No. Dice soltanto : «Non vi angustiate, ossia non abbiate una soverchia sollecitudine pel vitto e pel vestito». Non ci vieta quindi di occuparci di quanto ci è necessario o conveniente alla vita, ma condanna soltanto quella preoccupazione affannosa, che nasce appunto dalla mancanza di fiducia nella Provvidenza divina, propria della « gente di poca fede ». Provvidenza non significa pigrizia. Bisogna quindi industriarsi come se tutto dipendesse da noi, ma con tale calma e serenità come se tutto dipendesse da Dio.
La ragione suprema di questa nostra calma e serenità ci viene indicata dà Gesù in quelle auree parole: « Scit enim pater vester quia his omnibus indigetis »: Il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. In queste poche parole sono indicati i tre grandi attributi sui quali si fonda la nostra fiducia nella Provvidenza divina: la sapienza, per cui Egli sa di che cosa noi abbiamo bisogno: scit; la bontà, per cui Egli vuole darci ciò di cui abbiamo bisogno, essendo nostro Padre : Pater vester; la potenza, per cui Egli può darci tutto ciò che ci abbisogna, essendo un Padre celeste, ben più potente del nostro padre terreno. In breve: Egli sa, Egli può, Egli vuole soccorrerci. Egli ci ha dato il più, ossia il corpo; ci darà anche il meno, ossia il vitto e il vestito.
Per animarci poi a questa fiducia Egli porta due preziosi paragoni: quello degli uccelli dell'aria ai quali Dio provvede il vitto, e quello dei gigli del campo ai quali provvede il vestito, ancor più elegante di quello di Salomone. E argomenta, a minori ad maius, dal meno al più: Se Iddio provvede il vitto e il vestito a questi esseri inferiori, dei quali non è Padre ma soltanto Padrone, con più ragione lo provvederà a voi di cui non solo è Padrone ma è anche Padre. Può forse un padre non pensare a provvedere tutto ciò che abbisogna ai suoi figli?.. Abbiate dunque fiducia in Lui!... Tanto più che l'affannarsi è inutile; poiché come fa osservare: Gesù - con tutto il nostro affannarci non si riesce a prolungare la -nostra vita oltre quel termine che è già stato fissato da Dio. Si potrebbero immaginare accenti più persuasivi di questi?... Giustamente, quindi, Gesù conclude : « Cercate dunque in primo luogo regno di Dio (ossia i beni celesti, il cielo, la vostra méta) e la sua giustizia (ossia la santità della vita, che è il mezzo indispensabile per raggiungere la méta) : e avrete di soprappiù tutte queste cose, poiché seguiranno come l'accessorio segue il principale. Ecco dunque quale deve essere la prima, la più grande, anzi l'unica nostra preoccupazione : cielo, e il mezzo per giungervi, ossia la santità della vita. Questo fine e questo mezzo vanno ricercati per primi, ossia prima, al disopra e più di tutte le altre cose. Quanti, invece, seguono l'ordine inverso!...
Una luminosa conferma di questa consolante promessa di Cristo l'abbiamo nella vita dei Santi, e in modo tutto particolare nella vita diS. Giuseppe Cottolengo. I diecimila ricoverati della « Piccola Casa della Divina Provvidenza» da più di un secolo, vivono così, giorno per giorno, senza nessuna capitalizzazione nel passato, senza nessun risparmio pel futuro. Il Padre celeste non ha mai fatto mancare a nessuno il necessario vitto e vestito. E' un miracolo perenne, capace di convincere anche più scettici. E' la più efficace prova di fatto di quel detto di Cristo:« Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia: il resto vi sarà dato per soprappiù ».
(P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 135-137)