(Mt 1, 18-21)
« Nemo.... ut loseph »
Tutta la morale grandezza di S. Giuseppe noi la troviamo espressa in quella celebre frase del Vangelo di oggi: « loseph autem, vir eius,cum esset iustus » : Giuseppe, sposo di Maria, uomo giusto.
La sua singolarissima qualità di Sposo di Maria, e, conseguentemente, di uomo giusto, ossia santo per antonomasia, lo eleva smisuratamente al di sopra di tutti gli altri uomini, di tutti gli altri Santi, lo
rende un Santo impareggiabile. A Lui quindi può benissimo applicarsi quel sintetico ma altissimo elogio che vien tributato dalla Scrittura a Giuseppe, Figlio di Giacobbe, e figura del nostro S. Giuseppe: « Nemo inventus est in terra ut loseph » (Eccli., 49, 16-17): « Non si è trovato nessuno sopra la terra simile a Giuseppe ». Si, nemo... ut loseph.
Molti, infatti, son coloro che son vissuti santamente ed han menato sulla terra una vita di cielo, nella pratica fedele di tutte le virtù: Eppure nessuno, durante la sua vita, è giunto mai a quel grado di virtù, a quel fastigio di santità a cui è giunto S. Giuseppe.
Molti sono stati coloro che coronarono la loro vita con una morte veramente preziosa al cospetto di Dio: la loro, anzichè morte, dovrebbe dirsi vita, anziché umiliazione dovrebbe dirsi trionfo. Eppure, nessuno ha mai avuto una morte che si avvicini a quella di S. Giuseppe.
Molti sono quelli che, sulla terra e nel cielo, han conseguito un grado di gloria che non si può celebrare con umane parole. Eppure nessuno ha mai uguagliato o uguaglierà mai la gloria di S. Giuseppe.
Eccettuata la Vergine SS. sua sposa, nessuno, assolutamente nessuno è stato simile a S. Giuseppe. Nemo ut loseph. Nessuno simile a Lui nella santità della vita; nessuno simile a Lui nella preziosità della morte: nessuno simile a Lui nel fulgore della gloria. Ecco le tre strofe dell'inno che oggi cielo e terra innalzano al S. Patriarca Giuseppe. Nemo, nemo.... ut loseph.
Nessuno come S. Giuseppe nella santità della vita.
La santità della vita è il risultato di due forze mirabilmente combinate: l'azione della grazia di Dio, e la cooperazione dell'uomo. Dalla maggiore o minore abbondanza della grazia divina e dalla maggiore o minore fedeltà umana, dipende la maggiore o minore santità di una persona. Orbene, in S. Giuseppe noi riscontriamo un'abbondanza di grazia veramente eccezionale, ed una fedeltà singolare alla medesima, incomparabilmente superiore alla grazia ed alla fedeltà di qualsiasi altro Santo.
Abbondanza eccezionale di grazia, innanzitutto. Ed è logico: quantunque Iddio sia sommamente libero nel distribuire la sua grazia agli uomini, pure - come insegna l'Angelico - Egli è solito dare la sua grazia agli uomini in proporzione dell'ufficio al quale li elegge. Conseguentemente, quanto è più alto l'ufficio al quale uno è chiamato dalla Provvidenza divina, e tanto più abbondante è la grazia che egli riceve. Orbene, l'ufficio al quale la Provvidenza divina aveva destinato San Giuseppe era indubbiamente il più alto che si possa giammai immaginare. Egli doveva essere vero Sposo di Maria SS. e Padre putativo e custode di Gesù: vero sposo di Maria, vale a dire, sposo di Colei che Iddio stesso avrebbe innalzato alla dignità più sublime che si possa giammai immaginare sulla terra, alla dignità di Madre sua; Padre putativo e custode di Gesù, vale a dire del Verbo Incarnato. Si può forse immaginare un ufficio più alto, più nobile di questo?... Ed infatti, come sposo di Maria, S. Giuseppe avrebbe dovuto convivere sempre con Lei, essere il suo capo, il suo confidente, il suo sostegno, il suo aiuto. Come Padre putativo e custode di Gesù, Egli avrebbe dovuto prendersi cura di Lui, come se fosse stato suo figlio, nutrendo col sudore della sua fronte quel pane vivo disceso dal Cielo, proteggendolo, difendendolo. Se tanto sublime fu l'ufficio affidato da Dio a S. Giuseppe, quanto abbondante non dovette essere la grazia ch'Egli diffuse nell'anima sua! Come il suo ufficio sorpassava di gran lunga quello di qualsiasi altro Santo, così la sua grazia dovette sorpassare quella di qualsiasi altro. Nemo... ut loseph!
Ma per essere Santi e gran Santi, non basta ricevere da Dio l'abbondanza della grazia divina; è anche necessario corrispondere fedelmente alla medesima. E' necessario poter ripetere con l'Apostolo : « gratia Eius in me vacua non fuit » : la grazia di Dio in me non fu vana, Orbene, come ha corrisposto S. Giuseppe a tutto quell'eccezionale tesoro di grazia ricevuto dalla mano divina?.. Per rispondere a questa domanda noi non dobbiamo fare lunghe indagini. Basta aprire semplicemente il Vangelo. Noi troviamo in esso una frase divinamente scultorea: « Giuseppe era giusto » : Cum esset iustus. Giusto! Una sola parola; ma una parola che dice assai più di un volume. Sempre così il linguaggio divino: semplice insieme e sublime! Noi, povere, limitate intelligenze, per elogiare degnamente qualcuno siamo costretti ad affogarci in un mare di parole. Iddio no! Egli, intelligenza infinita, ispirando l'Evangelista S. Matteo, dice di S. Giuseppe: « Era giusto »: Cum esset iustus. Ne si potrebbe aggiungere alcunché. Poichè, come commenta S. Girolamo, questo nome « giusto » significa possessore di tutte le virtù: « propter omnium virtutum perfectam possessionem ». La giustizia, infatti, come insegna l'Angelico, secondo il linguaggio biblico non è una sola speciale virtù che consiste nel dare a ciascuno ciò che gli spetta « unicuique suum », ma è una rettitudine generale dello spirito che compendia ogni altra virtù. S. Giuseppe, quindi, è chiamato giusto, non per una sola virtù, ma per molte virtù, ma per tutte le virtù: per le virtù teologali: fede, speranza e carità; e per le virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. La sua vita fu un Vangelo vissuto, e vissuto nel modo più perfetto possibile, poichè tra il Vangelo e la vita dei Santi - osserva S. Francesco di Sales - non vi è altro divario da quello che v'è tra il vedere la musica scritta e l'udirla cantata.
La vita di S. Giuseppe fu tutta un canto melodioso e perenne all’Altissimo.
Quanta fede nel suo modo di pensare e d'agire! Egli fermamente credette che, per divina potenza, la maternità più feconda non era incompatibile con la verginità più pura: e che in Maria si era avverato questo prodigio. Egli credette fermamente che quel povero Bambino nato in una stalla, tutto tremante pel freddo, era il Re dei Re il Creatore dell'universo, la gioia degli Angeli, il terrore dei demoni.
Qual ferma speranza in S. Giuseppe! Egli sperò, e tanto sperò che le contrarietà della vita, specialmente allorchè dovette fuggire in Egitto, anzichè indebolire la sua speranza, la irrobustirono.
Ma sopratutto, quale ardento carità in S. Giuseppe! Oh come doveva sentirsi liquefare il cuore nel petto ogniqualvolta stringeva al suo seno Gesù, ricoprendo le rubiconde sue gote di fervidi baci!... E da quelle dolcezze ineffabili oh come doveva sentirsi spronato a compiere con la massima gioia tutti quei sacrifizi ch'egli doveva sostenere per Lui!
Ma non basta. Prescelto alla più sublime e delicata fra tutte le missioni, Egli dovette possedere in sommo grado anche le quattro virtù cardinali. Un episodio solo della sua vita, riferito dal Vangelo, è più che sufficiente a dimostrarcelo. Per impulso celeste, Egli si era unito in matrimonio a Maria, con la quale, rapito dall'ideale di una verginale purezza, aveva stabilito di menare sulla terra la vita che menano gli Angeli in Cielo: simili a due gigli che si intrecciano, dinanzi all'altare dell'Altissimo per rendere più intenso il loro delicato profumo. Maria
SS., nella sua profonda umiltà, non aveva osato svelare al suo Sposo il grande mistero compiutosi in Lei, nè S. Giuseppe era uomo talmente curioso ed indiscreto da osare di interrogarla in proposito. Ma non tardò ad accorgersi dell'ineffabile mistero della maternità di Maria. Non pensò male, no, non dubitò punto il sant'uomo dell'innocenza della sua Sposa, poiché in tal caso - come osserva acutamente S. Girolamo - avrebbe dovuto denunziarla al Sinedrio, com'era prescritto dalla legge; ed Egli che era giusto, non avrebbe certamente voluto rendersi reo di una simile colpa. Egli conosceva troppo bene la virtù, la singolare purezza di quella creatura che sembra « discesa dal cielo in terra a miracol mostrare » (DANTE), e quindi era ben lungi dal giudicarla in qualche modo colpevole. Pensò quindi, logicamente, a seppellire nel silenzio ciò di cui Egli non riusciva a rendersi conto, licenziandola occultamente: « voluit occulte dimittere eam ».
Quanta prudenza, quanta giustizia, quanta temperanza ed insieme quanta fortezza in questa decisione!...
La temperanza gli impedi di domandare schiarimenti in proposito.
La giustizia lo spinse a non venir meno alla legge.
La prudenza lo spinse ad osservare la legge nel modo più ragionevole e delicato.
La fortezza gli diede il coraggio di decidersi a separarsi per sempre da ciò che Egli aveva di più caro sopra la terra.
In tale penosa situazione è facile immaginare che momento felice dovette essere per Lui quello in cui l'Angelo del Signore venne a dirgli : «Giuseppe, figlio di David, non temere di prendere Maria per tua sposa, poichè ciò che è avvenuto in Essa è opera dello Spirito Santo. Darà alla luce un Figlio, e tu gli imporrai il nome di Gesù ». Rimani dunque, o Giuseppe, rimani al fanco della Madre di Dio! Continua ad essere lo sposo illibato alla più pura fra tutte le vergini, poichè tu ne sei veramente degno, Essa ha bisogno di un uomo prudente che, quale candidissimo velo, la nasconda a tutti gli sguardi profani; Essa ha bisogno di un uomo giusto per edificarsi nella sua convivenza, nella sua santa conversazione: Essa ha bisogno di un uomo forte che la sostenga col suo braccio nelle avversità della vita; Essa ha bisogno, soprattutto, di un uomo temperante e casto che la ami con un amore ardentissimo e insieme candidissimo. E tu, tu o Giuseppe, sei precisamente costui. Poichè - dirò anch'io col Poeta - « li raggi delle quattro luci sante », ossia della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza, « fregian si la tua faccia di lume » (Purg. 1, 37-38), che dopo Maria, Sposa tua, non vi è stato e non vi sarà mai nessuno che ti assomigli nel perfetto possesso di esse, e quindi nella santità della vita: « Nemo..ut loseph ».
Il fatto stesso, del resto, della elezione di S. Giuseppe a sposo della Regina dei Santi suppone e ci rivela il più ampio corredo di virtù, di meriti, di qualità eccezionali. Egli doveva essere, nella virtù, molto simile alla sua SS.Sposa. Osserva giustamente S. Roberto Bellarmino (Omelia I super Missus est) che « se negli altri matrimoni l'umana sapienza cerca prima di tutto che lo sposo e la sposa siano, per quanto è possibile, pari in ricchezze, nobiltà, età, ed in tutte le altre prerogative, quanto maggiormente si deve credere che Iddio, autore del matrimonio di Maria SS. con S. Giuseppe, abbia voluto che quegli che doveva essere eletto a sposo della Madre sua, fosse ad Essa sommamente rassomigliante non solo per età e nobiltà, ma ben anche per santità di costumi e probità di vita? Adunque, come Maria discendeva dalla regia stirpe di David, cosi anche Giuseppe; come Maria fu vergine, così anche Giuseppe; come Maria fu adornatissima di sapienza e prudenza spirituale, così Giuseppe ».
Nessuno come S. Giuseppe nella preziosità della morte.
Si suol dire - e giustamente • che la morte è l'eco della vita. Quale la vita, tale la morte: « Qualis vita, finis ita ». Orbene, se non vi fu nessuno simile a S. Giuseppe nella santità della vita, noi dobbiamo logicamente concludere che non vi lu nessuno simile a Lui anche nella preziosità della morte: « Nemo... ut loseph! ».
Di Mosè narra la S. Scrittura che mori nel bacio del Signore. Ma quanta maggior ragione noi possiamo ripetere ciò di S. Giuseppe! Poichè Egli spirò realmente Ira gli amplessi e i più teneri baci di Gesù e di Maria, tutti palpitanti del più tenero amore. A me sembra vederlo questo santo Patriarca disteso là sul suo povero giaciglio, con le mani giunte, con gli occhi rivolti al cielo. Da una parte del suo giaciglio ecco Gesù che lo consola con la sua divina presenza, che gli va suggerendo sentimenti di perfetta rassegnazione al temporaneo distacco, non già dalle misere cose terrene, alle quali non era mai stato minimamente attaccato, ma da Lui stesso e dalla sua dilettissima Sposa, assicurandolo che breve sarebbe stata una tale separazione ed eterna l'unione nel regno della gloria; e mentre pronunzia tali parole, gli rende tutti quei servizi che il più tenero ed affettuoso dei figli può rendere al più amante dei padri. Dall'altra parte ecco Maria che, col suo amorosissimo sguardo di sposa, cerca di indovinare ogni suo desiderio, studiandosi di lenirne i dolori; e con la sua mano delicata, ora gli asciuga le gocce di sudore che gli irrigano il volto, ora gli bagna le riarse labbra, ora gli appresta tutte quelle cure che il suo cuore di sposa le va suggerendo.
Ma tutte queste squisite attenzioni, tutte queste finezze d'amore da parte di Gesù e di Maria, non fanno che aumentare nel Santo la fiamma dell'affetto verso cosi santi e divini personaggi, indebolendo sempre più le sue forze fisiche, finchè l'anima sua candidissima, non più trattenuta dallo sfinito suo corpo, accolta da legioni di Angeli, spicca il volo per l'eternità, Morte veramente preziosa, smisuratamente più desiderabile della vita!... Morte talmente preziosa da non potersi assomigliare a nessun'altra. Anche in essa, nessuno fu come Giuseppe: « Nemo....ut loseph! ».
Nessuno come S. Giuseppe nella sublimità della gloria.
Impareggiabile nella santità della vita, impareggiabile nella preziosità della morte, impareggiabile dovette essere S. Giuseppe anche nella sublimità della gloria e nel suo potere presso il trono di Dio. Sì! Anche nella sublimità della gloria e nel potere non vi è nessuno che possa paragonarsi a S. Giuseppe: « Nemo... ut Ioseph! ».
La gloria, infatti, è proporzionata alla grazia ed alla fedele corrispondenza alla medesima. Ma la grazia di S. Giuseppe e la sua fedele corrispondenza alla medesima superò smisuratamente - come abbiamo detto - la grazia e la corrispondenza di qualsiasi altro Santo. Anche la sua gloria, quindi, dovette superare smisuratamente quella di ogni altro.
Singolare, senza dubbio, sarà lo spettacolo che si offrirà allo sguardo di tutta l'umanità il di del giudizio universale. Allorché il Giudice divino - come osserva genialmente il P. Segneri - si rivolgerà agli eletti e dirà loro: « Venite, o benedetti del Padre mio, possedete quel regno che vi è stato preparato fin dalla creazione del mondo. Poiché io ebbi fame e mi avete sfamato; ebbi sete e mi avete dissetato; ero pellegrino e mi avete alloggiato; ero nudo e mi avete rivestito »; gli eletti si rivolgeranno tutti a Lui e gli diranno: « Ma quando, o Signore, vi abbiamo noi veduto affamato, assetato, pellegrino, nudo?...». E Gesù, per salvare la verità del suo detto, sarà costretto a rispondere: « Ciò che avete voi fatto al più piccolo dei miei, l'avete fatto a me ». Ma per
S. Giuseppe e solo per Lui, non sarà necessario ricorrere ad una tale risposta, A Lui ed a Lui solo potrà dire Gesù nel senso più vero e più proprio dell'espressione: « Ebbi fame e mi desti da mangiare; ebbi sete e mi desti da bere, ero pellegrino e mi ospitasti, ero nudo e mi ricopristi ». S. Giuseppe sarà l'unico, dunque, in quel giorno, che non si unirà al coro degli eletti per ripetere: « Ma quando, o Signore, ti ho io reso tutte queste cose?... ». Orbene, se grande sarà la mercede ossia la gloria eterna che riceveranno coloro i quali hanno soccorso Gesù Cristo nella persona dei poveri, quanto smisuratamente più grande sarà la mercede e la gloria di colui che lo soccorse nella sua stessa reale persona? In Paradiso, dunque, S. Giuseppe siede al di sopra di tutte le schiere degli Angeli e dei Santi, vicino a Gesù ed a Maria. In tal modo quel sogno misterioso nel quale all'antico Giuseppe parve di vedere il sole, la luna e le stelle inchinarsi davanti a lui, si è avverato nel nuovo Giuseppe, di cui il vecchio era pallida figura: Gesù, sole di giustizia, Maria, luna immacolata, gli Angeli, i Santi e tutte le altre stelle del Cielo, l'onorano e lo esaltano.
E come in cielo, cosi sulla terra. Poichè la gloria di S. Giuseppe fu come un sole che è andato sempre crescendo fino al suo pieno meriggio, ossia fino a che il Sommo Pontefice Pio IX, il 7 luglio 1871, lo dichiarò solennemente Patrono della Chiesa Cattolica. Indubbiamente, dunque, anche nella sublimità della gloria e nel suo potere presso Dio, non vi è stato e non vi sarà mai nessuno come Giuseppe: «Nemo... ut loseph! ».
Ite ad loseph!..
Racconta la S. Scrittura che il Re Faraone, dopo aver costituito l'antico Giuseppe, figlio di Giacobbe, vicerê dell'Egitto, ai sudditi che per le proprie necessità ricorrevano a lui, rispondeva: « Ite ad loseph »: Andate da Giuseppe!
Altrettanto ripete, specialmente oggi, la Chiesa a tutti i suoi figli: «Ite ad loseph! »: Andate da S. Giuseppe! Andate da S. Giuseppe, ed imparerete da Lui a vivere santamente. Andate da S. Giuseppe, ed otterrete il più valido aiuto in quel momento supremo dal quale dipende tutta l'eternità, il momento della morte. Andate da S. Giuseppe in tutte le vostre necessità, spirituali e temporali; andatevi con la più grande, illimitata fiducia, e toccherete con mano come non vi sia stato nessuno simile a Lui non solo nella santità della vita, non solo nella preziosità della morte, ma anche, e sopratutto nella sublimità della sua gloria e nella potenza sul cuore di Dio: « Nemo, nemo... ut loseph! ».
P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 180-186)
S. Giuseppe con Gesù Bambino