(Gv 20,19-31)
La Liturgia considera le domeniche che vanno dal giorno della Risurrezione del Signore alla festa di Pentecoste, domeniche pasquali per cui oggi si celebra la seconda domenica di Pasqua.
I doni di misericordia e di salvezza, che Gesù ci ha offerto nella sua Morte e Risurrezione, rappresentano una realtà talmente grande e preziosa da non potersi racchiudere nella celebrazione di un giorno; era quindi necessario un periodo più lungo (i 50 giorni dalla Pasqua alla Pentecoste) per concentrare la nostra mente e il nostro cuore su Gesù, fonte di risurrezione e di vita.
Una volta la si chiamava domenica, “in albis” perché i novelli battezzati, dopo aver indossata per otto giorni la veste bianca ricevuta all'atto Battesimo, nel corso della solenne Veglia di Pasqua, la deponevano. La veste esterna veniva dismessa, ma rimaneva nel cuore dei credenti il programma spirituale sintetizzato nelle promesse battesimali; quel programma doveva continuare per tutta l'esistenza, affinché potesse meritare la qualifica di vita cristiana. San Paolo esortava i nuovi battezzati con le seguenti parole: “Comportatevi come figli della luce: il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 8-9). L’esortazione a vivere come figli della luce (luce del Cristo Risorto) e all’impegno delle buone opere la troviamo nelle vicende delle letture della liturgia odierna.
Nella prima lettura incontriamo gli Apostoli, fortificati dalla grazia della Pentecoste, tutti immersi nell'opera di evangelizzazione. Mentre prima di quella grazia i Dodici si comportavano da persone deboli, incerte e dubbiose, dopo avere ricevuto i doni dello Spirito Santo divennero robusti nella fede, coraggiosi annunciatori della Risurrezione di Cristo, missionari intrepidi dei Vangelo, testimoni di fedeltà e amore a Gesù fino al martirio. Nel nome del Signore risorto gli Apostoli compiono strepitosi miracoli per vincere le sofferenze dei malati e per sconfiggere l'azione devastante del demonio.
Noi siamo lontani dalla santità eroica de gli Apostoli e non pretendiamo il dono di fare miracoli: però speriamo di avere la grazia e la buona volontà di rendere testimonianza al nostro Salvatore - valorizzando i doni dello Spirito Santo con la solidarietà pronta e concreta verso i fratelli che soffrono dolori e privazioni, drammi ed emarginazioni. Non potremmo dirci alunni del Vangelo se non avessimo occhi limpidi per scorgere le situazioni di disagio, e se non avessimo cuore generoso per offrire ogni possibile aiuto ai sofferenti
La seconda lettura apre uno squarcio sulle persecuzioni che si abbattono sulla Chiesa nascente. Anche l'apostolo Giovanni ne resta investito con l'esilio a Patmos , “a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù». Ma il Signore non abbandona l'apostolo prediletto, lo consola con una speciale rivelazione e gli dice: “Non temere! Io sono il Primo e ]'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi”. Le parole di Gesù sono sorgente di conforto anche per noi pellegrini sulle strade difficili della storia. Nel corso della nostra esistenza incontreremo certamente delusioni e sofferenze; è necessario che prepariamo il nostro animo a percorrere la via stretta e ardua. Non saremo soli a portare la croce con le nostre deboli forze; sarà al nostro fianco Gesù, Risorto e Vivente, a sostenerci con le sue energie di amicizia e di speranza.
Nella pagina evangelica troviamo il Signore risorto che moltiplica i gesti della sua bontà per gli Apostoli e per la Chiesa. Gesù augura e dona la sua pace, quando incontra gli Apostoli nel Cenacolo. Si tratta della pace più necessaria: quella che libera le persone dal peso dei peccati. Nella pienezza dei poteri che sono propri del Risuscitato, il Cristo conferisce ai discepoli la sua autorità, articolata in tre doni: la missione, lo Spirito Santo e il potere di rimettere i peccati.
I doni di Cristo Risorto: la missione divina
Il primo dono: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20, 21). A fondamento della Chiesa che ha istituito, il Cristo Risorto, con la pienezza dei suoi poteri divini, pone una missione divina. Il contenuto stesso della missione apostolica è divino, poiché s'identifica con quella stessa che Gesù aveva ricevuto dal Padre, e che egli aveva attuato nella sua esistenza, dall'incarnazione, attraverso tutta la sua vita, fino alla morte e alla risurrezione: l'annuncio del Regno di Dio e la salvezza dell'umanità. Così, la Chiesa è istituita dal Cristo per continuare la sua stessa missione personale. La Chiesa - come ha definito il Concilio Vaticano II nella Costituzione Lumen gentium (n. 1) - è stata costituita «in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano», sacramento di salvezza, e noi tutti cristiani siamo chiamati a continuare l’opera di salvezza di Cristo nel mondo attraverso la preghiera, l'immolazione e l'apostolato.
Il dono dello Spirito Santo
L'origine divina della Chiesa e della sua missione (mai riducibile a semplice istituzione storica e umana) è confermata dal secondo dono che Gesù Risorto attua in questa prima apparizione nel Cenacolo, la sera di Pasqua: «Alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"» (Gv 20, 22). Il dono dello Spirito è simboleggiato dal soffio di Gesù: «Alitò su di loro». Questo gesto realizza la creazione nuova dei tempi messianici, inaugurati con la morte e la risurrezione del Cristo. Ma il soffio di Gesù richiama volutamente quello della prima creazione, quando «il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente» (Gn 2, 7). In forza del soffio vitale di Dio, l'Adam (uomo), fatto di argilla, divenne «essere vivente», creato a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 26-27). Col gesto di Gesù si dà inizio a una creazione nuova e a una nuova umanità, vivificata dal dono dello Spirito Creatore (Spiritus Creator). Il nuovo uomo nasce forgiato dallo Spirito di Gesù Risorto e commisurato a lui, che è l'Uomo nuovo, l'uomo vero. Il primo frutto che il dono dello Spirito Santo opera nel cuore degli apostoli e nella Chiesa è quello di suscitare la fede in Gesù, morto e risorto: lo Spirito suscita la fede pasquale. Con essa, da semplici seguaci di Gesù di Nazaret, gli apostoli diventano veri credenti nel mistero del Cristo, Figlio di Dio, morto e risuscitato; vengono costituiti testimoni della Pasqua e annunciatori del Vangelo.
Il dono del sacramento della riconciliazione
Al dono dello Spirito è strettamente collegato il terzo dono della missione pasquale alla Chiesa: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 23). Con divina delicatezza Gesù anticipò agli Apostoli la facoltà di rimettere i peccati proprio nel momento nel quale essi si sentivano maggiormente peccatori, rendendoli giudici quando essi si aspettavano di essere giudicati. Egli volle rialzarli dall'umiliazione, e nel medesimo tempo volle dare loro i tesori della misericordia quando essi maggiormente si sentivano poveri e peccatori, affinché avessero compatito le miserie altrui.
Il contenuto di questa missione è divino, poiché solo Dio può perdonare il peccato dell'uomo (cfr Mc 2, 7). Come Dio Padre, anche il Figlio Gesù ha questo potere divino, originario, di giudicare l'uomo peccatore (cfr Gv 5, 22 ss). Ora, Gesù Risorto trasmette ai discepoli e ai successori (i sacerdoti) il suo stesso potere salvifico di perdonare i peccati degli uomini. Quindi, Gesù diede la potestà giudiziale di rimettere i peccati nel Sacramento della Penitenza, com'è chiarissimo dal Testo, e come dichiarò esplicitamente il Concilio di Trento (Sess. XIV, can. 3).
Tutti i peccati, anche i più gravi, possono essere rimessi, ma debbono essere sottoposti al giudizio del Sacerdote con la confessione, perché il rimetterli o ritenerli non è un atto di capriccio, ma è una sentenza ragionevole che dipende da un giusto giudizio; tale giudizio non può farsi se il peccatore non confessa i suoi peccati, e se confessandoli non mostra le disposizioni interiori che lo animano. La Confessione dei peccati non è un'imposizione umiliante e penosa benché a primo aspetto sembri che sia così, e benché a volte abbia quasi questo sapore; è una concessione di misericordia, fonte di pace e di gioia grande per il povero peccatore. Sottoporre i propri peccati a chi rappresenta Dio significa mutare l'immondizia in concime, il concime in pianta, in fiore, in frutto di eterna vita. Confessarsi significa espandere l'anima propria, piangendo, nelle braccia amorose di Dio, ed assicurarsi del suo perdono che è dolcissima gioia, pienezza di vita che fa sentire leggeri, leggeri, liberi dalle catene, tesi al volo verso le eterne ricchezze.
Proprio oggi ricorre la festa della Divina Misericordia, voluta da Gesù secondo le rivelazioni private di Santa Faustina Kowaska e istituita dal Papa Giovanni Paolo II, festa in cui Gesù, come nel Vangelo ci comunica la pace e la misericordia col dono dell’indulgenza plenaria (confessione, comunione, preghiera secondo intenzione del Papa – Credo, Pater e pia invocazione a Gesù Misericordioso).
Il cammino della fede: «diventare credenti»
Un quarto elemento domina la liturgia della Parola di questa domenica: il cammino della fede verso Cristo Risorto. L'apostolo Tommaso, come appare dalla seconda parte del Vangelo odierno, impersona questo «cammino» con le sue ombre e le sue luci, un itinerario costellato da dubbi e incertezze, dalla pretesa di una prova sfolgorante e finalmente contrassegnato dalla confessione della fede pasquale: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28). Gesù conclude il dialogo con Tommaso con questo ammaestramento: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto credono” (ivi, 29). Il Signore vuole insegnarci che la fede del cristiano non deve essere come quella imperfetta e iniziale di Tommaso che ha bisogno di vedere segni esterni e straordinari per credere, ma deve essere più perfetta e matura, ossia una fede che permette al cristiano di avere una visione soprannaturale nel giudicare e conoscere il valore delle cose, nel vedere Gesù in ogni uomo e accettare gli avvenimenti della vita come volontà divina. E’ la nuova “Beatitudine” proclamata dal Risorto per i credenti di tutti i tempi. Questa è stata la fede che ha contraddistinto i primi cristiani. Ma è proprio questa fede che manca oggi in gran parte dei seguaci di Cristo. Anche per noi non mancano momenti in cui la nostra fede, di fronte alle difficoltà, vacilla e, come Tommaso, andiamo in cerca di miracoli e segni straordinari per credere.
Oggi sono molti i credenti che hanno una fede debole e vacillante, una fede che non ha alcuna incidenza sulla loro vita, né converte il mondo. La fede è un dono di Dio. Occorre, perciò, implorarne incessantemente da Lui la grazia e la crescita. Se abbiamo peccato di incredulità o se ci accorgiamo che vacilla, fissiamo lo sguardo sul Maestro, presente soprattutto nella sacra Eucaristia e facciamo prorompere dall’anima il grido dell’apostolo Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Queste parole possono aiutare anche noi a rinnovare la nostra fede in Cristo risorto.
Ricorriamo sovente alla Regina degli Apostoli, nostro modello insuperabile di fede, perché ci ottengano la grazia di una fede così profonda da trasformarci in ferventi apostoli della Risurrezione di Gesù.
Audio Omelia
Gesù risorto con gli Apostoli e S. Tommaso