II brano evangelico di questa domenica - come pure quello delle domeniche susseguenti, fino a Pentecoste - è tolto dal discorso tenuto da Gesù Cristo la sera del Giovedi Santo, poco prima di andare a patire e a morire per noi.
Disse Gesù ai suoi Apostoli: « Ancora un poco e non mi vedrete; un altro poco e mi vedrete »; voleva dire: ancora poche ore, e poi non mi vedrete più, poichè io dovrò morire; ma dopo poco tempo, voi mi rivedrete, risorto da morte, tra di voi.
Ed aggiunse, spiegandosi meglio: « Il mondo godrà immensamente allorché mi vedrà crocifisso, credendo di aver trionfato su di me e sulla mia dottrina: voi invece soffrirete immensamente allorchè mi vedrete in balia dei miei nemici dai quali sarò crocifisso: ma ben presto il vostro cuore sarà inondato di gaudio allorchè mi vedrete fra voi risuscitato ».
In queste parole, prese in senso tipologico, figurale, noi troviamo descritta al vivo la vita presente, secondo che è condotta dai seguaci del mondo o dai seguaci di Cristo. I seguaci del mondo (ossia del regno dell'errore e del peccato) godono: ma la loro gioia è tristezza; mentre i seguaci di Cristo soffrono, ma la loro sofferenza è letizia. Alla letizia triste dei seguaci del mondo, viene opposta la tristezza lieta dei seguaci di Cristo.
La letizia triste dei seguaci del mondo.
I seguaci del mondo godono, o meglio, s'illudono di godere, poichè il loro paradiso è un paradiso di cartone, illusorio. Sembra che abbiano tutto, mentre in realtà son privi di tutto, poichè privi di Dio, costretti quindi a sentire nell'anima un vuoto spaventevole, riempito soltanto dai rimorsi della coscienza che reclama i diritti di Dio. La gioia dei seguaci del mondo è una gioia che non sazia e non può saziare, poichè le passioni, questi dolci carnefici di cui sono in balia, non dicono mai basta: sono come sanguisughe - dice lo Spirito Santo - che gridano incessantemente: « affer! affer!» ... La passione assecondata, « ha natura sì malvagia e ria - che mai non empie la bramosa voglia - e dopo il pasto ha più fame che pria » (Inf.. 1, 97-99). Proprio così! L'avaro non è mai sazio di danaro; il voluttuoso non è mai sazio di fango; il superbo non è mai sazio di onori. « Ricchezze, onor piaceri - son beni menzogneri: - tormentano bramati - non saziano ottenuti, - desolano perduti ». Disse bene il Byron: « Il sorriso forma il solco di una lacrima futura ».
Poveri seguaci del mondo!... Quel po' di gioia superficiale che essi godono, mista a tanto dolore, è anche amareggiata dal pensiero della morte la quale porta via ogni cosa, e che trasformerà l'apparente letizia in eterna tristezza, strappando dall'anima illusa quel grido : « Noi insensati!... noi stolti! ». « Nos insensati! ».
La letizia dei seguaci del mondo non è altro che una letizia triste.
La tristezza dei seguaci di Cristo.
I seguaci di Cristo, al contrario, soffrono, o meglio, sembra che soffrano, mentre in realtà godono.
Soffrono! Ce l'ha detto chiaramente Gesù: « Plorabitis et flebitis vos! »; mentre il mondo (ossia il regno dell'errore e della colpa) godrà: « Mundus autem gaudebit ». Nessuna meraviglia! Poichè la vita, secondo il concetto cristiano, non è e non può essere soltanto una gita di piacere, ma è e deve essere per tutti un dovere. La vita - nel concetto cristiano - è una prova, una giornata di lavoro, una lotta, un viaggio.
La vita è uno prova, una prova più o meno lunga di fedeltà a Dio che ci sarà ricompensata con un premio eterno. E la prova ha sempre qualche cosa di duro e di penoso.
La vita è una giornala di lavoro che ci deve procurare, alla sera, ossia alla morte, una mercede infinita, il cielo. E il lavoro è di per sè faticoso, sfibrante...
La vita è una lotta: « militia est vita hominis super terra »: una lotta che ci deve fruttare non già una corona che marcisce, ma una corona incorruttibile. E la lotta è sempre qualche cosa di duro, e a volte sanguinoso.
La vita è un viaggio dall'esilio alla patria, attraverso sentieri spinosi, monti e valli. E il viaggio non può non causare disagio.
Nessuna meraviglia quindi se i seguaci di Cristo sono costretti a soffrire... « Per multas tribulationes oportet introire in regnum coelorum » : dobbiamo entrare nel regno dei cieli attraverso molte tribolazioni.
Ma questa inevitabile amarezza della vita presente viene mirabilmente addolcita dalla fede, dalla speranza, e sopratutto dall'amore. Viene addolcita dalla fede, la quale ci dice che tutto ci viene dalle mani di un Padre sapientissimo... ottimo... Viene addolcita dalla speranza la quale, in compenso di un momentaneo soffrire, mostra al nostro sguardo un eterno godere, lassù dove « il gioir s'insempra » (Par.. 10, 148), spingendoci ad esclamare col Serafico: « Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto ». Viene addolcita soprattutto dall'amore, ossia dalla soddisfazione di poter soffrire anche noi qualche cosa per amore di Colui che ha tanto solferto per amor nostro. « Ubi amatur, non laboratur….». E l'amore spinge fino ad esclamare con l'Apostolo: « Superabundo gaudio in omni tribulatione »: anche in mezzo alle tribolazioni il gaudio trabocca nel mio cuore.
Mentre quindi la letizia dei seguaci del mondo è una letizia triste; Ia tristezza dei seguaci di Cristo è una tristezza lieta. Ne abbiamo un esempio tipico, concreto, in S. Leonardo da Porto Maurizio e nel poeta tedesco Goethe. « Ho 72 anni - esclamava S. Leonardo - e non sono stato infelice neppure un'ora ». Eppure di croci, di tribolazioni ne ebbe a iosa, questo instancabile missionario. La sua era una tristezza lieta. Al contrario: « Ho 72 anni - esclamava Goethe - e non sono mai stato un 'ora felice! ». Eppure di gioie - quelle che sa dare il mondo ai suoi seguaci - n'ebbe tante! La sua era una letizia triste.
Miei Fratelli, a noi la scelta tra la letizia triste dei seguaci del mondo e la tristezza lieta dei seguaci di Cristo.
(Roschini G., Predicate il Vangelo, LICE, Torino 1943, pp. 75-77)
Gesù conforta gli Apostoli