DOMENICA NONA DOPO PENTECOSTE
Due grandi amori del Cuore di Gesù: La Patria e l'Altare.
(Lc. 19,41-47)
Nella tragica pagina evangelica di oggi, noi sentiamo palpitare fortemente due grandi affetti del Cuore di Gesù: quello verso la Patria e quello verso l'Altare, ossia, la casa di Dio. Sono due grandi affetti che noi dobbiamo coltivare con ogni cura e far crescere di continuo nei nostri cuori.
L'amore per la Patria
Pochi giorni prima della sua tremenda Passione e morte, e più precisamente durante il suo trionfale ingresso in Gerusalemme, Gesù giunto sul monte degli Olivi, non appena vide distesa sotto i suoi occhi la città di Gerusalemme, capitale della sua nazione, quasi dimentico degli «Osanna» festosi delle turbe, si mise a piangere : flevit super llam. Il verbo greco eclausen significa piangere ad alta voce, con singhiozzi.
Tre volte Gesù - secondo che riferisce la sacra Scrittura - fu visto piangere a Betania, sulla tomba dell'amico Lazzaro (Gv. 11,35); sulla Croce, mentre si immolava per la salvezza del genere umano (Ebr. 5, 7); e sulla città di Gerusalemme. Nelle lagrime sparse sulla tomba di Lazzaro noi vediamo riflesso e santificato l'amore per gli amici; nelle lagrime sparse sulla Croce noi vediamo riflesso il suo ineffabile amore per tutto il genere umano; nelle lagrime sparse su Gerusalemme noi vediamo vivamente riflesso e santificato il suo tenero affetto per la Patria. Ed infatti, nel considerare che ben presto, ossia in meno di 40 anni, la città di Gerusalemme, capitale della sua nazione, sarebbe stata completamente rasa al suolo a causa dei suoi peccati, e specialmente per aver respinto quel messaggio di pace che Egli era venuto a portare prima a lei e poi al mondo, Gesù non riuscì a trattenere i singhiozzi e le lagrime. Pianse. Segno forse di debolezza?… Tutt'altro! Le lagrime infatti, potranno essere segno di debolezza nei bambini e nelle donnicciole. Negli uomini, e specialmente negli uomini grandi, no! Le lagrime; in essi, son sempre segno di un grande dolore, fiorito sopra un grande amore contrastato, ferito. L'amore grande di Gesù per la sua patria terrena che, chiamata per prima ad accogliere il suo messaggio di pace, la grazia della redenzione, per prima - con un orrendo deicidio rifiutò un tale messaggio, strinse come una morsa tremenda il suo sensibilissimo cuore, e ne spremè quelle lagrime amare che S. Agostino, con linguaggio, eminentemente filosofico, chiamò « sangue del cuore ».
Che mirabile esempio di amore per la Patria! Esso è per tutti, ma specialmente per i cristiani, un dovere. Poiché la patria - come insegna S. Tommaso, II, Il, 80, 1 - non è altro che l'estensione della nostra famiglia. Essa, infatti, è quella madre che ci ha dato i natali, la sua aria, la sua luce; è quel padre che ci mantiene, che ci educa, che ci protegge. Essa è quel suolo benedetto che ha visto nascere, vivere e morire i nostri cari antenati. La parola Patria è una delle più eloquenti parole di ogni lingua, poiché raccoglie in se stessa le grandi memorie del passato, le glorie del presente, le speranze dell'avvenire. E' ben giusto dunque che noi diamo alla patria tutto il nostro fervido amore: un amore che non si esaurisca in vane e sterili declamazioni retoriche, in sentimenti belli ma sterili, ma un amore che ci spinga a godere con la patria che gode, a soffrire con la patria che soffre, un amore che ci spinga a lavorare per la patria, ad onorarla con la nostra condotta, sacrificare generosamente i nostri beni e la nostra stessa vita se essa è richiesta dalla sua difesa e della sua gloria. Diceva bene Silvio Pellico: « Per amare la Patria con vero, alto sentimento, dobbiamo cominciare col darle in noi medesimi tali cittadini, di cui non abbia ad arrossire, di cui abbia anzi ad onorarsi». Ed ancora : «Se un uomo vilipende gli altri, la santità coniugale, la sapienza, la probità e grida Patria! Patria! non credete! Egli è un ipocrita del patriottismo; egli è un pessimo cittadino ».
Ma io credo cosa quasi inutile spendere parole per raccomandare l'amore verso la patria, quando questa patria risponde al nome glorioso - superbamente glorioso - di Italia. Come è possibile non amare fino all'estremo limite del sacrificio l'Italia, questa nostra sacra terra, resa ormai - come si esprime il poeta - « una d'arme, di lingua, d'altar, di memorie, di sangue, di cor »?... Come è possibile non amare con vera passione questo suolo benedetto, questa terra di santi e di martiri, di genì e di eroi, questa terra in cui Dio ha impresso il più vivo riflesso della bellezza del cielo, in cui ha eretto il trono del suo Vicario in terra, e il cui nome è sintesi meravigliosa di tutto ciò che nel mondo ha di più bello, di più buono, di più grande?.. Oh! se è colpa per tutti non amare generosamente la patria, per gli Italiani è colpa molto più grave. Se è indegno del nome di uomo chi non ama la sua patria, assai più indegno ne è come cantava egregiamente il Pellico « chi - aperti gli occhi sotto itala aurora - a patria di magnanimi cotanta non sacrasse altamente opra e desio ». Oggi specialmente, in cui la patria ci chiede grandi sacrifizi, si distinguono chiaramente i veri dai falsi amanti della patria: poiché amare è dare, è soffrire, e non già ricevere e godere.
L'amore per la casa di Dio
Oltre a darci un esempio luminoso di amore verso la Patria, Gesù ci dà un esempio non meno luminoso di amore per la casa di Dio, per il Tempio e l'altare. Entrato infatti nel Tempio, vedendolo profanato dallo strozzinaggio dei cambiavalute, diede di piglio ad una fune e ne scacciò con santa ira i profanatori dicendo « la mia casa è casa di orazione ». Si avverava così quel che era stato di Lui predetto nei Salmi: « Lo zelo per la tua casa mi ha divorato » (Ps., 68, 10).
I profanatori del Tempio, questa gente perversa, non è mai mancata e non manca neppure oggi. Sono profanatori del Tempio tutti coloro quali entrano in chiesa per sola abitudine, distratti, svogliati, e vi rimangono li impalati, come tante colonne, senza il minimo sentimento di devozione? Sono profanatori del Tempio tutti coloro che vi entrano per curiosare, per parlare o per essere veduti, per ammirare o per essere più o meno ammirati. Sono profanatori del Tempio tutti coloro che vi entrano per fini più o meno perversi o anche semplicemente vani. Sono profanatori, o meglio, profanatrici del Tempio quelle donne che vi entrano indecentemente vestite, o piuttosto indecentemente svestite, suscitando - forse anche non volendo immaginazioni o sentimenti bassi proprio in quel luogo che è destinato a suscitare nell'anima sentimenti elevati. Oh se anche ai nostri giorni, Gesù uscisse di tanto in tanto dal suo tabernacolo e desse di piglio a qualche fune nodosa, quali sferzate a sangue non darebbe su tante spalle, su tante gambe, su tante braccia procacemente nudate!...
Ricordiamoci che la chiesa non è un luogo di divertimento o di svago, ma un luogo di orazione : « domus mea, domus orationis est ». In chiesa ci si viene per pregare Iddio, e non per altro. Ci si viene, quindi, per adorarlo, riconoscendo la sua maestà infinita e la nostra nullità e continua dipendenza da Lui; ci si viene per placarlo delle innumerevoli offese e dei disgusti che noi abbiamo arrecato al suo cuore paterno ci si viene per ringraziarlo degli innumerevoli e grandi, benefici che Egli ci ha generosamente impartiti; ci si viene per implorare nuovi benefizi, e specialmente il benefizio supremo: la nostra eterna salvezza.
(P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 119-121)