DOMENICA DODICESIMA DOPO PENTECOSTE
Il più grande ira tutti i problemi
(Lc 10, 23-37)
Abbiamo qui la pagina più fondamentale e… sarei quasi per dire più evangelica di tutto il Vangelo. In essa infatti viene impostato il più grande fra tutti i problemi dell'esistenza quello della nostra eterna salvezza. E ne viene data la soluzione pratica, concretizzata nell’amore di Dio e del prossimo. E' una pagina, quindi, che dobbiamo scolpire profondamente nel cuore e nella vita, facendone l'oggetto della nostra assidua meditazione.
Il problema dei problemi: la vita eterna.
Un anonimo Dottore della legge, prendendo occasione da alcune parole rivolte da Gesù ai suoi Apostoli, si avvicinò a Lui e con aria da tentatore, quasi per prenderlo in trappola, facendolo apparire innovatore, gli chiese: «Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna?..»Domanda sapientissima, che dovremmo tutti, di tanto in tanto rivolgerci. Il problema infatti della nostra eterna salvezza è il più importante, il più necessario, il più personale di tutti i problemi. E il problema dei problemi. A che giova, infatti, assicurarci la felicità del fuggevole oggi, per esporci all'infelicita dell'eterno domani?…
Ma non basta proporci il grande problema. E' necessario risolverlo risolverlo bene, praticamente. Questa grande soluzione ce l'ha data il nostro Divino Maestro, e l'ha sintetizzata nell'amore di Dio e nell’amore del prossimo.
La soluzione del grande problema: amare Dio ed il prossimo.
Rivolto infatti al Dottore della Legge, gli chiese: «Nella Legge che cosa sta scritto? Come vi leggi?». E quegli rispose che vi stava scritto di amare Iddio sopra ogni cosa, con tutte le forze, ed il prossimo come se stesso. E Gesù conchiuse: «Hai risposto molto bene! Fa dunque questo e vivrai, ossia, avrai la vita eterna! ».
Ecco dunque che cosa dobbiamo fare per avere la vita eterna: amare! Amare Dio con tutte le forze, poiché Egli è l'essere infinitamente bello, infinitamente buono, infinitamente amabile, e quindi infinitamente degno di essere amato. Egli è il nostro grande benefattore, poiché tutto ciò che siamo, tutto ciò che abbiamo, noi l'abbiamo ricevuto da Lui. E' ben giusto, dunque, che noi l'amiamo con tutte le forze. Il meno che noi possiamo dare a Dio è dargli tutto. E la misura per amarlo è quella di amarlo senza misura, essendo Egli infinitamente amabile.
Amare Iddio con tutte le forze! Non basta. Per avere la vita eterna necessario anche amare il prossimo nostro come noi stessi. L’amore del prossimo, infatti, è una estensione necessaria dell'amore di Dio. Chi ama sinceramente Dio, ama sinceramente anche il prossimo, ossia i nostri simili, per Iddio, poiché anch'essi appartengono a Dio, creati come noi, a sua immagine e somiglianza, destinati, come noi, alla medesima eredità paterna, il cielo, essendo tutti figli del medesimo padre celeste.
Amare prima Dio e poi il prossimo per Iddio: ecco dunque l’unico mezzo per ottenere la vita eterna. Un celebre Vescovo inglese argutamente diceva: «Noi abbiamo imparato a dire: prima persona, io, seconda persona, tu; terza persona, egli. Questa grammatica non è cristiana. Un vero cristiano deve imparare a dire: prima persona, egli, ossia, Dio; seconda persona, tu, ossia, il prossimo; terza persona, io ». Quanti cristiani invece, amano l'io ossia se stessi al disopra di Dio, con più forte ragione, al disopra del prossimo!...
E' necessario, innanzitutto, amare Dio con tutte le forze, sacrificando generosamente tutto ciò che in qualche modo si oppone all'amore divino, ossia all'amore disordinato delle ricchezze, dei piaceri e degli onori. «Chi non ama Dio - diceva il grande Bossuet - non ama che se stesso. Per amare il prossimo come se stessi, è necessario essere prima usciti da se stessi e amare Dio più che se stessi. Allorché l’amore giunto ad unirsi a questa sorgente, si spande con uguaglianza sul prossimo».
Ma… chi è il nostro prossimo?… Così chiese l'anonimo Dottore della Legge, per giustificare la sua domanda, ossia per dare a divedere che non inutilmente gli aveva proposto una questione che sembrava in apparenza si facile. Molto si disputava, infatti, dagli Scribi e dai Farisei, su che cosa dovesse intendersi per prossimo: E Gesù, con la mirabile parabola del buon Samaritano, volle insegnare che per prossimo non si debbono intendere soltanto gli amici, i giusti, o tutto al più i propri connazionali come ritenevano gli Scribi e i Farisei ma tutti gli uomini, senza eccezione, parenti, estranei, connazionali, forestieri, amici o nemici, tutti, poiché siamo « tutti fatti a sembianza di un solo», tutti siamo figli del nostro padre celeste e quindi veri fratelli. E' commovente, a questo proposito, l'episodio che si legge nella vita di Pio IX. Mentre un giorno egli passava in carrozza per una via di Roma, un povero uomo cadde tramortito a terra, dinanzi ai cavalli. Il grande Pontefice comanda che venga tosto adagiato sulla sua vettura e portato all'ospedale. « Santità - gli fa osservare un signore - quest'uomo è un ebreo!…Non sta bene vicino al Capo supremo della Chiesa Cattolica! ». Fu vista allora l'anima grande del Santo Pontefice lampeggiare dagli occhi, e furono udite queste gravi parole: « La carità di Gesù Cristo è una carità universale. Ponete, ponete qui, vicino a me, il mio caro ebreo!. ..». Così fu fatto. E cosi dovrebbe farsi sempre!
Fa questo, e vivrai!
Ecco, in poche parole, come si risolve praticamente, il grande, importantissimo problema della nostra eterna salvezza: amando Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come noi stessi.
Poiché in questi due. comandamenti, o meglio, in queste due parti in questi due aspetti di un medesimo comandamento, è sintetizzata tutta la legge cristiana. A tutti quindi ed a ciascuno di noi, Gesù ripete continuamente, come al Dottore della Legge: « Fa questo, ossia, ama!vivrai, ossia, avrai la vita eterna, il cielo! ».
(P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 129-131)