(Lc 17, 11-19)
Il messaggio della Liturgia odierna non è solo un’esortazione al dovere morale della riconoscenza, ma alla fede che si traduce in riconoscenza.
Tante volte non ringraziamo chi ci fa del bene, non diciamo neanche grazie (l’ingratitudine umana è uno degli atteggiamenti più brutti dell’uomo) e tante volte non ringraziamo neanche Dio, che ci dona continuamente tanti doni nell’ordine della natura e della grazia, della vita soprannaturale. Forse perché abituati a ricevere tutto dalla società, si dà per scontato che anche Dio debba esaudirci e compiere miracoli, quasi fosse appunto un nostro diritto. Al contrario, attraverso la luce della fede, intuiamo che tutto viene da Dio, tutto è grazia, tutto è dono del suo amore e da questa percezione, deve nascere naturale dal cuore di noi credenti il desiderio di lodare e di ringraziare il Signore.
I due miracoli raccontati dalle letture di oggi mirano, appunto, a farci comprendere che la lode e la gratitudine verso Dio sono l’espressione naturale della fede, cioè la fede porta necessariamente al ringraziamento.
La prima lettura racconta il commovente episodio della guarigione di Naaman il Siro, capo dell’esercito del re di Damasco. Ammalato di lebbra, Naaman segue il consiglio di una ragazza ebrea di andare in Israele dove c’è un uomo di Dio, capace di guarirlo: Eliseo. E seguendo l’ordine di Eliseo di bagnarsi sette volte nelle acque del fiume Giordano, si ritrova perfettamente guarito. In quel momento gli occhi del pagano si aprono alla fede nel vero Dio, e pieno di gioia esclama a gran voce: “Ebbene, ora so che non c’è Dio in tutta la terra se non in Israele” (2Re 5,15). La fede gli fa germogliare nel cuore la riconoscenza più grande verso il Signore, al quale offrirà un sacrificio di ringraziamento, e verso il profeta.
Anche nella lettura evangelica ci troviamo dinanzi alla guarigione di dieci lebbrosi da parte di Gesù, durante il suo ultimo viaggio verso, Gerusalemme e di questi dieci lebbrosi nove uno solo, uno straniero, ripeterà il gesto riconoscente di Naaman e insieme alla salute fisica riceverà il dono della salvezza (Lc 17, 11-19; Vangelo).
Costretti a vivere fuori dell’abitato, i lebbrosi di allora si riunivano in piccole comunità che la sventura accomunava senza alcuna distinzione di classe, di nazionalità o di religione. I dieci menzionati dal Vangelo si avvicinano in gruppo verso il luogo dove stava per passare Gesù e, a una certa distanza, cominciano a gridare: “Gesù Maestro, abbi pietà di noi!” (Lc 17,13). E’ un grido di fiducia in Gesù, nel quale ripongono tutta la loro speranza. Quel grido tocca il Cuore compassionevole di Cristo e viene esaudito. Tuttavia il Signore, per provare la loro fede, prima ancora di guarirli, ordina loro di presentarsi ai sacerdoti, ciò che invece si faceva solo a guarigione avvenuta, come prescriveva la Legge. I lebbrosi obbedirono e “mentre essi andavano, furono sanati” (ivi, 14). Inspiegabilmente, però, dei dieci guariti, solo uno, e per di più un samaritano, ossia lo straniero, sente il dovere di tornare indietro per ringraziare. Al vederlo Gesù constata con amarezza: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono” (ivi, 17). Gli altri nove non sentono il bisogno di ritornare a ringraziare; forse proprio perché appartenenti al popolo eletto ritengono i doni di Dio come cosa ad essi spettante, oppure perché non hanno una fede matura, capace di far loro scoprire il grande dono che hanno ricevuto e da chi viene il dono. Invece il samaritano, straniero, non osa accampare diritti e ritenendosi indegno del favore di Dio lo accoglie con cuore umile e grato. Questo atteggiamento di umiltà, di riconoscenza lo dispone al favore più grande, quello della salvezza: « Alzati e va' - gli dice Gesù - la tua fede ti ha salvato! » (ivi 19).
Queste guarigioni miracolose ci fanno pensare alle numerose guarigioni spirituali che avvengono nelle nostre anime. Siamo veramente lebbrosi quando pecchiamo e l’anima è tutta piaghe che la consumano. Pensiamo in modo particolare al sacramento del Battesimo, che ci purifica dalla lebbra del peccato originale a contatto dell’acqua salutare, e per virtù divina, attraverso le parole del sacerdote. (Naaman nel fiume Giordano). Come i dieci lebbrosi, gridiamo a Dio di aver misericordia per i nostri peccati, ma andiamo ai sacerdoti per conseguirla. Quando siamo veramente pentiti per profonda convinzione del male fatto e per aver offeso Dio, allora conviene anche a noi che mentre andiamo al Sacerdote siamo mondati, perché la contrizione perfetta cancella subito il peccato, però è necessario che andiamo sempre dal sacerdote, perché questa è la condizione posta da Gesù al perdono e perché non possiamo essere certi della nostra perfetta contrizione. Non facciamo come i protestanti che dicono di confessarsi direttamente con Dio. Anche i lebbrosi avevano il dovere di andare al Tempio perché fosse ufficialmente e legalmente riconosciuta la loro guarigione.
Infine, abbiamo ascoltato il lamento di Gesù per quei nove lebbrosi ingrati, che non ritornano a Lui per ringraziarlo.
Il dovere di ringraziare
Bisogna confessare che anche noi siamo ingrati al Signore, pur vivendo in mezzo ai suoi continui doni spirituali e corporali. Noi non possiamo ponderarli, tanto essi sono innumerevoli. Se riflettessimo solo ai principali, cioè alla vita dell'anima ed a quella del corpo, ai pericoli dai quali siamo liberati, alle bellezze soprannaturali e naturali che ci circondano, dovremmo vivere con la faccia prostrata nella polvere, pieni di riconoscenza.
Non ringraziamo del dono della vita (preghiera del mattino e della sera), del cibo (neanche il segno della croce o la preghiera prima dei pasti) e dei doni spirituali e tante volte, non solo siamo ingrati, ma ci lamentiamo proprio dei doni più belli di Dio: della vita, delle purificazioni della vita per le Croci, e di tutte le delicatezze amorose con le quali Egli ci libera dal male e ci orienta all'eternità.
Abbiamo a nostra disposizione il Sacramento della Penitenza, dove la nostra lebbra spirituale viene mondata e non solo non ringraziamo Dio, ma tante volte lo riguardiamo come un peso. Abbiamo la S. Messa, dove Gesù è presente rinnovando il dono di sé al Padre e a noi, rendendo presente il suo sacrificio redentore e comunicandosi a noi nella S. Messa, e facciamo difficoltà a partecipare la domenica e nelle feste comandate, e di ricevere la comunione. (Se la gente comprendesse il valore della S. Messa ci vorrebbero i carabinieri per mantenere l’ordine – P. Pio). Abbiamo la presenza costante di Gesù nell'Eucarestia, dono dei doni, e viviamo tanto freddamente innanzi al Tabernacolo, da mostrarcene annoiati. Abbiamo mille ricchezze nella Chiesa e viviamo sempre poveri, sprezzando quasi la vita che da Lei riceviamo, ed attaccandoci miseramente alle vanità del mondo! Quanti dolori diamo a Gesù con la nostra ingratitudine!
Esempi
Dobbiamo imitare i primi cristiani che solevano salutarsi con queste dolci parole “Deo Gratias”, ringraziando Dio di essersi riveduti e di essere redenti da Gesù Cristo.
Ringraziamo anche la Madonna, che sul Calvario ci ha partorito alla vita soprannaturale, di grazia.
Per questo l’animo nostro deve avere sempre una fede riconoscente con l’accogliere la salvezza e proponendoci di vivere come veri figli di Dio e di Maria.
Chiediamo alla Madonna di aiutarci e sul suo esempio, trasformi tutta la nostra vita in un inno perenne di lode e di ringraziamento a Dio, cantando con Lei il Magnificat, l’inno di ringraziamento che elevò al Signore alla visita a S. Elisabetta.
Audio Omelia
Gesù guarisce 10 lebbrosi