DOMENICA DICIANNOVESIMA DOPO PENTECOSTE
Le nozze reali e la veste nuziale.
(Mt 22, 1-14).
Le due parti della parabola.
La parabola ora letta, recitata da Gesù in Gerusalemme, nell’atrio o sotto i portici del Tempio, nell'ultima settimana della sua vita si divide logicamente in due parti: la prima riguarda i Giudei i quali vengono riprovati; la seconda invece riguarda i Gentili i quali, in loro vece vengono eletti, ossia invitati al banchetto nuziale.
La riprovazione dei Giudei.
Il Re il quale imbandisce il banchetto nuziale è Dio Padre: Il figlio è Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, la cui unione con la Chiesa vien paragonata ad uno sposalizio (Ef 5, 23 ss.). I primi ad essere invitati a questo convito nuziale ossia ad entrare nella Chiesa, furono Giudei, il popolo eletto. I primi servi che Egli mandò ad invitare gli Ebrei simboleggiano i profeti, il Battista, Gesù stesso. Gli altri servi mandati in séguito al primo rifiuto, simboleggiano gli Apostoli i quali, dopo che Gesù era disceso dal Cielo, non solo invitarono i Giudei ad entrare nella Chiesa, ma rivolsero loro anche quelle parole pressanti: « Il desinare è già in ordine: si sono ammazzati i miei tori e gli animali grassi, e tutto è pronto», vale a dire: l'Agnello divino è già stato immolato, i Sacramenti sono stati istituiti, i doni dello Spirito Santo sono già stati comunicati: tutto è pronto, venite!..
Ma i Giudei, in maggioranza, come avevano respinto l'invito dei Profeti, cosi respinsero quello degli Apostoli. Al convito celeste, loro preparato, ossia agli interessi celesti, preferirono gli interessi terreni. Alcuni, anzi, mossero persecuzioni violente agli Apostoli che li avevano invitati trattandoli in modo bestiale, ed uccidendoli.
Nessuna meraviglia dunque se il Re, ossia Dio Padre, mando le sue milizie ossia le armate romane le quali, guidate dall'imperatore Tito, fecero strage dei Giudei, ridussero Gerusalemme ed il Tempio ad un cumulo di rovine e distrussero per sempre la loro nazione. Questi primi invitati, ossia i Giudei, non furon degni, nella loro maggioranza, di es sere ammessi al banchetto nuziale ossia alla Chiesa, sia militante che trionfante. Ad essi, quindi, vennero sostituiti altri, ossia i Gentili, quelli che non appartenevano al popolo eletto.
Che lezione tremenda ci da questa riprovazione dei Giudei !…
Quando un popolo respinge la luce del Vangelo, e se ne rende indegno, Dio la dà ad altri popoli; parimenti, quando un'anima respinge la grazia divina, Dio la dà a qualche altra anima affinché l'accolga e la faccia fruttificare. Così in luogo di Giuda fu eletto Mattia. Che la medesima sorte non tocchi anche a noi !…
La elezione dei Gentili.
Riprovati gli Ebrei per la loro incorrispondenza all'invito, Gesù ordinò agli Apostoli di portare la luce del Vangelo ai Gentili (Atti 13,46; Rom.11, 11). Il Vangelo, infatti, per volere divino, è stato ed è continuamente predicato a tutti, buoni e cattivi, di modo che nessuno è escluso dalla salvezza. V'è però una cosa che dev'essere ben considerata e che è messa in molto rilievo dalla parabola. E' questa: per essere ammessi alle nozze eterne dell'Agnello nel cielo, ossia alla Chiesa trionfante, non basta il fatto di avere appartenuto alla Chiesa militante, ossia aver creduto al Vangelo ed essere stato col battesimo incorporato a Cristo. E' necessario essere rivestiti della veste nuziale della grazia santificante. Diversamente saremo esclusi dal banchetto celeste, come quel tale che fu trovato senza la veste nuziale. Grande, bella, preziosa è la grazia santificante ! E' la più grande, la più bella, la più preziosa fra tutte le cose! Essa infatti ci rende partecipi della natura divina: « divinae consortes naturae » (2 Pt 1, 4). In forza di essa l’uomo, pur conservando la sua natura di uomo, diventa deiforme, ossia simile a Dio, come il ferro messo nel fuoco, pur conservando la sua natura di ferro, diventa arroventato, igniforme, ossia di fuoco, simile al fuoco, partecipe della natura del fuoco. In forza della grazia l'uomo diventa come uno specchio vivente della divinità, uno specchio il quale riflette vivamente in se stesso la sua perfezione e bellezza. Come un tersissimo globo di cristallo, investito dai raggi del sole, risplende talmente da sembrare un piccolo sole, cosi l'anima adorna della grazia santificante rifulge talmente di luce divina da sembrare un Dio... Se noi potessimo vedere la bellezza di un 'anima adorna della veste nuziale della grazia di Dio, essa ci riempirebbe di meraviglia e ci rapirebbe fuori di noi stessi in un' estasi deliziosa. Avendo una volta Iddio rivelato a S. Caterina da Siena una tale bellezza, la Santa ne rimase talmente sorpresa che baciava poi le orme di coloro che si affaticavano a ricondurre i peccatori in grazia di Dio. Fuori di sé dalla meraviglia, diceva al suo Confessore: « O Padre mio, se aveste veduto la bellezza di un'anima ornata della grazia, sareste certamente pronto ad andare mille volte incontro alla morte per un'anima sola !... ». Gesù stesso disse un giorno a S. Brigida che, se essa avesse potuto mirare una tale bellezza, ne sarebbe restata talmente accecata e sopraffatta da cadere per terra priva dei sensi.
L'anima rivestita della veste nuziale della grazia santificante è veramente direbbe 1'Alighieri i la creatura bella - biancovestita e nella faccia quale - par tremolando matutina stella » (Par. 12I, 88-90).
In forza della grazia santificante Iddio, ossia tutta la Trinità, abita nell'anima in un modo specialissimo, come oggetto conosciuto ed amato soprannaturalmente, ossia, com'è in se stesso, imperfettamente (ossia attraverso i velami della fede) in questa vita, e perfettamente (ossia at-traverso la visione intuitiva) nell'altra. Per la grazia, infatti, l'uomo diventa figlio adottivo di Dio, e quindi erede della vita eterna, per cui l'uomo rivolto a Dio può gridare con amore: Padre nostro che sei nei cieli!
Meritamente quindi S. Tommaso scriveva: « Bonum gratiae unius (hominis) maius est quam bonum naturae totius universi » (S. Th., 1a, 2a, q. 109, a 9, ad 2) : « La grazia di un solo uomo supera tutti i beni naturali dell'universo». Ripetiamo quindi spesso quella bella preghiera dell'Imitazione di Cristo: « O Signore, dammi la grazia e mi basta: di tutto il resto non m'importa ! » (1. 3, 4). Ripetiamola questa preghiera in quei momenti specialmente nei quali il mondo, il demonio e la carne, con le loro lusinghe ci stimolano a gettare lungi da noi questa bella e preziosa veste nuziale, esponendoci così al pericolo di rimanere per sempre esclusi dal celeste convito, dal cielo. Siamo pronti; in quei momenti, a ripetere con S. Domenico Savio: « La morte, ma non peccato! ».
(P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 151-153)
Le nozze reali e la veste nuziale