(Lc 18,9-14)
Gli insegnamenti che ci vengono dalle letture bibliche della Messa odierna continuano quelli della scorsa domenica, che ci richiamavano sulla necessità di pregare sempre. Oggi la Liturgia, infatti, ci richiama ad un altro aspetto importante: come pregare, ossia, come porsi in dialogo di fronte a Dio, e cioè umilmente e con il cuore contrito, della efficacia della preghiera ben fatta e per che cosa dobbiamo pregare.
Nella prima lettura già troviamo chiaramente espresso le condizioni e ci parla dell’efficacia della preghiera. L’autore sacro, infatti, ammonisce gli ascoltatori a non lasciarsi ingannare: Dio è giudice giusto e imparziale e non si lascia corrompere da nessuno. Il Signore rifiuta la preghiera di coloro che gli offrono un culto solo esterno di sacrifici e accetta, invece, quella del povero, dell’indifeso, dell’orfano e dell’umile. Con incisiva immagine, l’autore afferma che “la preghiera dell’umile penetra le nubi, finché non sia arrivata” (Sir 35,17); la preghiera umile, quindi, è onnipotente presso Dio, perciò ottiene grazia e giustizia.
Dalla seconda lettura possiamo attingere anche l'oggetto, il fine della preghiera: la perseveranza nel bene, nella buona battaglia della vita cristiana, la corona della giustizia e del premio per noi e per i nostri cari; la liberazione dai mali presenti; il conforto nelle pene e soprattutto la salvezza della nostra e altrui anima.
L’insegnamento di Gesù sul come pregare ci viene offerto dal Vangelo odierno per mezzo di una parabola molto significativa, incentrata su due personaggi completamente diversi, anzi opposti: un fariseo e un pubblicano. I due uomini – dice la parabola - “ salirono al tempio a pregare” (Lc 18,10). Il fariseo, in piedi, a testa alta, con le braccia sollevate verso il cielo, si sente nella posizione giusta per pregare, e inizia con la preghiera più bella, quella del rendimento di grazie a Dio. Ma tale è solo in apparenza. In realtà, è un pretesto per lodare se stesso: si compiace delle buone opere che compie, di essere giusto, di non essere come gli altri. Al contrario, il pubblicano “fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore” (ivi, 13). In queste brevi parole è racchiuso tutto l’insegnamento di Gesù sul modo giusto di pregare. Dal racconto della parabola ci rendiamo conto che, benché ambedue siano saliti al tempio a pregare, uno di loro, il fariseo, in realtà non ha pregato. La sua preghiera non è stato un dialogo di amore con Dio, ma con se stesso. Nella sua preghiera non c’é stata umiltà, ma solo soddisfazione e compiacenza di se stesso: egli si ritiene un giusto. La preghiera sale da un cuore egoistico e superbo e non dallo Spirito Santo, perciò è respinta.
Completamente diversa, invece, è la preghiera del pubblicano. Questi è consapevole della sua miseria morale, si riconosce peccatore e perfino indegno di stare alla presenza di Dio. Non osa neppure alzare gli occhi al cielo e, pentito delle sue colpe, chiede di essere perdonato. Ed ecco la conclusione sconcertante di Gesù: “Vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro” (ivi, 14). La preghiera del pubblicano invece sgorga da un cuore umiliato, docile all'ispirazione divina, perciò è esaudita. E’ questo un grande insegnamento che Gesù oggi ci offre, nel pregare e pregare umilmente. La preghiera del pubblicano piacque al Signore, proprio perché scaturita da un cuore umile e pentito.
Il nostro atteggiamento nella preghiera
Di conseguenza, l’atteggiamento che dobbiamo tenere dinanzi a Dio, più che pensare che non facciamo nulla di male o vantarci dei nostri meriti, è di riconoscere la nostra miseria e di ricorrere a Lui come figli sempre bisognosi del suo perdono. La preghiera presuntuosa dei superbi, è respinta da Dio. Nessuno può dichiararsi giusto. Solo Dio ci rende giusti col dono della sua Grazia, anche se è necessaria la nostra corrispondenza. Tutti abbiamo continuamente bisogno del suo perdono. I Santi sono i primi a considerarsi i più grandi peccatori. Con la preghiera ci stabilisce quindi il debito rapporto tra Dio e noi: in tal modo si prega sempre se manteniamo continuamente questo rapporto di filiale dipendenza e confidenza con Dio.
Inoltre spesso recitiamo delle preghiere, ma non ci si incontra con Dio, perché ci fermiamo solo alle formule e non entriamo in dialogo personale con Lui; anzitutto per riconciliarci con Lui, chiedendo il perdono del Padre e poi per lodarlo, glorificarlo e chiedergli anche l'aiuto paterno. Dobbiamo concepire la preghiera, quindi, non solo come un dovere da compiere, ma soprattutto come un bisogno del nostro incontro filiale con il Padre nelle varie situazioni quotidiane, senza mai perdere il contatto con Dio. In tal modo si inculca anche l'amore della preghiera, che specialmente oggi, agli uomini moderni, ingenera noia e avversione, perché la concepiscono come meccanica e magica ripetizione di formule inintelleggibili a cui sono legati effetti portentosi. La preghiera è invece l'incontro col Padre, è una conversazione con Dio. È quindi la cosa più familiare, spontanea e gradita.
Un aiuto di come dobbiamo pregare l’abbiamo nelle preghiere liturgiche che sono un saggio di preghiera viva e gradita a Dio, umile, di pentimento e di confidenza. Soprattutto la S. Messa «Confesso a Dio onnipotente», «Signore pietà », «Signore, non son degno» esprimono con sincerità l'umiltà e il pentimento del celebrante e dei fedeli nella Messa. C'è pure la lode e il ringraziamento: «Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa ». « È cosa buona e giusta rendere grazie a Te, Signore, Padre santo». C'è soprattutto l'unione con Gesù orante, che dà valore alla nostra preghiera ed esprime il senso di tutta la nostra vita: «Per Lui, con Lui e in Lui ricevi, o Dio, Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria». La S. Comunione ci porta all’unione intima e personale con Lui.
Così l’Adorazione Eucaristica, la recita del S. Rosario quotidiano ...
Audio omelia
Il fariseo e il pubblicano nel Tempio