(Lc 6,17.20-26)
Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto della chiamata di san Pietro dove, alla pesca infruttuosa realizzata con i mezzi umani, segue la pesca miracolosa compiuta in obbedienza alla parola di Gesù, miracolo per mezzo del quale il Signore insegnava agli Apostoli e a tutti noi come l’edificazione del Regno di Dio e della sua Chiesa non avviene nel mondo per mezzo della forza e dei mezzi umani, ma per mezzo della grazia e della potenza di Dio.
Il tema è ripreso dalla liturgia di oggi nella quale risuona la parola di Geremia: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno» (Ger 17,5). Il Profeta aveva annunciato poco prima i castighi che sarebbero stati inflitti al popolo per i suoi peccati. Il popolo, anziché ravvedersi, se ne era risentito: «Perché il Signore annuncia a noi tutto questo gran male, qual è la nostra iniquità?». Ahinoi! L’anima che è attaccata ai propri falli, quando è rimproverata si ripiega su se stessa, si giustifica e finisce per illudersi di essere innocente o meno rea di quello che è, avanzando sempre nuove scuse e nuovi pretesti per non emendarsi e cambiare vita. Il Profeta allora risponde a nome del Signore: “Il peccato di Giuda è scritto con stilo di ferro e impresso con punta di diamante sulla tavoletta del loro cuore e negli angoli dei loro altari” (cf Ger 17,1). Altro che giusti! Il loro peccato era così evidente da essere segnato in profondità nel loro cuore, nella loro vita, nelle loro azioni. Israele aveva innalzato ovunque altari sacrificando agli idoli, compiendo ogni genere di superstizioni, pensando di ottenere da questi prosperità e beni materiali, conservando la propria indipendenza da Jahvè, illudendosi di poter fare senza di Lui. Per questo Geremia annuncia al popolo che Dio avrebbe tolto loro le ricchezze in cui confidavano, lasciandoli in balia del saccheggio. Il popolo conoscerà l’umiliazione e sarà deportato, giacché non vi è altro modo con cui Dio possa far loro intendere l’errore e spingerli ad emendarsi e così ottener misericordia.
“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamarisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere” (cf Ger 17,5-6). L’uomo, senza Dio, infatti, s’illude di riuscire nella vita, s’illude di trovare la felicità e realizzare se stesso: in realtà non trova altro che miseria. Invano Dio farà piovere le sue grazie su un’anima di tal fatta, sarà come rovesciare acqua in mezzo al deserto dove la sabbia assorbe ogni liquido e il calore lo svapora, dove il nitro intristisce il terreno, lo brucia, rendendolo incoltivabile e sterile.
“Benedetto – invece – l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti” (cf Ger 17,7-8). Nulla può insterilire una pianta che affonda le sue radici nelle acque limpide della divina sapienza, che in Dio pone la sua fiducia, perché anche le prove più dolorose e le croci più strazianti della vita non faranno che fortificarla, purificarla e renderla ancora più accetta a Dio. Essa risplenderà maestosa nel suo Regno, carica di foglie e di frutti.
Il salmo responsoriale riprende lo stesso tema. Si tratta del salmo numero 1, un salmo antichissimo, definito da san Basilio “proemium breve” e da san Girolamo “prefatio Spiritus Sancti”, cioè una breve introduzione o la prefazione che lo Spirito Santo stesso ha voluto dare al libro dei salmi. D’altra parte, tutta la Scrittura è opera di Dio che ha guidato gli scrittori sacri con la grazia speciale dell’ispirazione divina, illuminando le loro libere facoltà perché scrivessero tutto e soltanto ciò che Egli voleva fosse scritto per nostra istruzione.
Ebbene, il Salmista mette il lettore davanti alla realtà di due strade, due vie, che gli sono poste innanzi e che deve scegliere: quella di Dio e quella degli empi. Tutte e due le strade hanno come scopo di portare alla felicità, ma solo una porta alla vera beatitudine. La via che porta alla vita è descritta sotto due aspetti: uno negativo, che consiste nella fuga dal male, e l’altro positivo, che consiste nel fare il bene.
Interessante da notare è che ogni volta che nell’Antico Testamento viene promulgata o rinnovata l’Alleanza tra Jahvè e il suo popolo, gli impegni dovuti vengano sempre sanciti con una ente davanti a sé la meta a cui le due strade conducono e gli venga offerta la possibilità di scegliere consapevolmente la via della vita e della salvezza!
Anche Gesù, venuto a stipulare la Nuova ed eterna Alleanza e a portare a compimento le promesse antiche, mette il popolo dinanzi a questa duplice scelta: la benedizione e la maledizione, le beatitudini e le sventure: lo abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi. Guai a coloro che pongono come loro meta il regno di quaggiù e la propria felicità nelle cose effimere di questo mondo! Il vero discepolo di Cristo cerca la sua beatitudine nel regno di lassù e pone la sua speranza in Cristo Gesù morto e risorto per noi; è lieto di seguire Gesù per la via dell’abnegazione e della rinuncia che la sua sequela comporta. Don Dolindo commentando questo brano evangelico afferma: «È un fatto storico che constatiamo noi stessi che le opere di vero apostolato soprannaturale e fecondo hanno costantemente questi caratteri: povertà, dolore, angustie e persecuzioni, ed è una grande gioia per chi le promuove il vedere in questi caratteri il suggello di Dio. Nella povertà l’apostolo si appoggia alla provvidenza, nel dolore si fonda sull’aiuto di Dio, nelle persecuzioni si purifica e confida in Lui solo; è così che alle povere attività dell’uomo subentrano quelle della grazia».
La riuscita spirituale della nostra anima, il giungere a quella felicità a cui tutti aspiriamo nel più profondo del cuore non sta nelle risorse umane, nella nostra forza o capacità, ma nella potenza di Dio e nel suo aiuto che non manca mai a coloro che pongono in Lui la propria speranza e da Lui si lasciano guidare e condurre.
(P. Angelomaria Lozzer - Settimanale di P. Pio 2025, n. 7)
Gesù e le Beatitudini