DOMENICA QUINDICESIMA DOPO PENTECOSTE
La risurrezione del figlio della vedova di Naim
(Lc. 7, 11-16)
Tre sono i morti - dei quali parla il Vangelo - risuscitati da Gesù: una bambina appena spirata; un uomo, Lazzaro di Betania, morto da quattro giorni e già sepolto; ed un giovanetto che veniva portato alla sepoltura, figlio di una vedova di Naim.
Quest'ultimo miracolo - di cui parla il Vangelo di oggi - avvenne nel secondo anno della predicazione di Cristo, mentre Egli andava da Cafarnao a Gerusalemme per la festa della Pentecoste, seguito dai suoi discepoli e da una grande moltitudine. E' uno spettacolo di morte e di vita quello che si offre al nostro sguardo. Da esso noi possiamo raccogliere due grandi lezioni, vale a dire: che si muore anche da giovani, in ogni momento; e che grande, ineffabile è la tenerezza del Cuore di Gesù.
Si muore anche da giovani.
La morte - è stato detto - è cieca, sorda, senza cuore; cieca, poiché non guarda in faccia a nessuno, non distingue tra giovani e vecchi sani o infermi, ricchi o poveri; è sorda, poiché non ode neppure i gemiti che escono dal cuore di una madre desolata; è senza cuore, poiché non si commuove dinanzi allo strazio di un cuore materno. Il giovane figlio della vedova di Naim, e innumerevoli altri che si son trovati, si trovano e si troveranno nelle sue stesse condizioni, lo provano fino alla evidenza. Essi ci dicono che si muore anche da giovani, che la morte, in qualsiasi istante del giorno o della notte, può venire a picchiare alla nostra porta e a ripetere: Basta! E ora! Finis venit.
Orbene, se si può morire ad ogni istante - e sarebbe follia il solo dubitarlo - è da saggi vivere continuamente preparati alla morte. E da saggi fare ogni cosa come se fosse l'ultima della vita, e quindi farla come si vorrebbe averla fatta in quel momento tremendo. E' da saggi distaccarci adesso volontariamente col cuore da tutte quelle cose dalle quali, da un momento all'altro, verrà a distaccarci forzatamente la morte.
E' da saggi compiere adesso, che ne abbiamo il tempo, tutte quelle cose che vorremmo aver compiuto nel momento della nostra morte, allorché non avremo più tempo: «tempus non erit amplius». E' da saggi evitare con ogni cura tutte quelle cose che vorremmo aver evitate in punto di morte, specialmente tutto ciò che disgusta in qualsiasi modo quel Giudice supremo al quale dovremo presentarci. E' da saggi ascoltare e mettere fedelmente in pratica le grandi lezioni della morte, quale ci illumina sulla vanità di tutte le ricchezze, di tutti gli onori, di tutti i piaceri della terra « Vanitas vanitatum! ». Essa ci grida continuamente all'orecchio: « Memento, homo! » : Ricordati, o uomo, che sei pellegrino su questa terra, non ti attaccare dunque alla medesima, ma guarda e passa!…Ricordati che sei un misero pugno di cenere; non ti lasciare, dunque, dominare dalla superbia: « Quid superbis, pulvis et cinis?». Ricordati che sei un ammasso di putredine: non ti lasciare dunque dominare dai bassi istinti della carne!…
Si presentò un giorno a S. Filippo Neri un giovane dissoluto; s'inginocchiò e gemendo gli disse: « Padre, vorrei convertirmi, ma non vi riesco: le tentazioni sono più forti di me ». S. Filippo lo solleva e abbracciatolo paternamente gli dice: « Coraggio! Tutti i giorni dirai la Salve Regina, e penserai alla morte: immaginerai il tuo corpo sotterra, i tuoi occhi putridi, la tua carne marcia, la tua bocca verminosa, e dirai ecco per che cosa ho perduto il Paradiso!». Il giovane accetta il consiglio del Santo, si allontana e lo mette in esecuzione. Sotto l’influsso di quel tremendo pensiero, riesce a mantenersi puro per una volta, per due, per sempre...
Quanti, specialmente i giovani, potrebbero imitare questo giovane!
Tenerezze del Cuore di Gesù.
Ma nella risurrezione del figlio della vedova di Naim, rifulge vivamente la ineffabile tenerezza del Cuore di Cristo.
Quanto fosse pietoso il caso dinanzi al quale venne a trovarsi Cuore di Gesù, vien significato più che sufficientemente con quelle parole: « Si portava a seppellire un figlio unico della madre sua, e questa era vedova». Il morto era un figlio, vale a dire un essere legato nel modo più intimo alla madre. Era un figlio unico, e quindi tutto l’amore di quella madre si era concentrato in lui, non potendo essere condiviso da altri figli. Era un figlio unico di madre vedova, e quindi era l’unico oggetto dell'amore, l'unica speranza, l'unico appoggio di quella povera madre. Il dolore di lei dovette essere semplicemente indicibile. E il Cuore di Gesù, così sensibile a tutte le nostre sofferenze, lo misurò tutto quel dolore, e ne rimase profondamente commosso. «Fu tocco di compassione » dice il Vangelo. E senza esserne pregato da alcuno, mosso unicamente dall'impulso del suo sensibilissimo Cuore, si appressò a quella povera vedova, e le disse: « Non piangere! ». « Queste due parole - osserva giustamente l’illustre scrittore Ricciotti nella ‘Vita di Gesù Cristo’-erano state certamente ripetute centinaia o migliaia di volte, in quella giornata, alla povera donna, ma rimanevano soltanto parole. Gesù andò oltre alle parole». Si avvicinò infatti alla bara, la toccò e disse: « Giovanetto, dico a te, alzati! ». E' la Vita che comanda alla morte. E la morte immediatamente si ritira, il giovanetto si alza a sedere, comincia a parlare. E Gesù lo consegna pieno di vita alla mamma sua. Quanta bontà, quanta tenerezza!..
Nelle nostre angoscie, nella morte dei nostri cari, ricorriamo fiduciosi al Cuore adorabile di Gesù, sicuri di essere compresi e consolati. Ricorrano fidenti al Cuore di Cristo specialmente quelle madri che piangono straziate dalla morte spirituale di qualche loro figliuolo. Gesù si muoverà a compassione di loro, ripeterà la grande parola, e consegnerà loro il proprio figliuolo risuscitato alla vita della grazia divina.
(P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 138-140)