(Gv 12,20-33)
Nel Vangelo di questa domenica, la quinta di Quaresima, Gesù annunzia ai suoi discepoli che ormai è giunta la sua ora. Di quale ora si tratta?
Di quella di essere glorificato per mezzo della sua morte in Croce e della sua Risurrezione. Gesù, nella sua umanità, avverte tutta l'angoscia di questo momento. Nel Getsemani Egli pregherà il Padre che si allontani, se possibile, questo calice amaro della sofferenza; tuttavia, sia fatta la volontà del Padre. Ai suoi discepoli dice: «Adesso la mia anima è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora!» (Gv 12,27).
Gesù avverte questa angoscia, ma aderisce pienamente alla volontà del Padre e va incontro alla morte con il desiderio di donarci la vita. E così, per insegnare ai suoi discepoli la necessità di questa morte, Gesù usa il bel paragone del chicco di grano che morendo porta molto frutto: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
Con questo paragone Gesù ci insegna la grande legge dell'amore che è quella del dono di sé: solo donando la nostra vita noi saremo felici. Per imprimere nel cuore e nella mente dei suoi discepoli questa verità, Gesù adopera delle parole molto forti, che devono essere rettamente intese. Egli dice: «Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25).
Amare in modo giusto, cioè facendo il bene e detestando l’iniquità.
S. Agostino commenta questo versetto dicendo che si può amare la propria vita, la propria anima in modo sbagliato, e la parola di Dio intende correggere appunto questo modo: non chiede che si abbia in odio la propria vita, la propria anima ma che la si ami nel modo giusto, perché quelli che la amano malamente, la perdono e, come per un capovolgimento, ottengono proprio il contrario di quello che vorrebbero. Amando in modo sbagliato la propria anima, la si perde; odiandola nel modo giusto, la si salva. Si può dunque amare in modo sbagliato e odiare in modo giusto: il modo sbagliato nasce da un odio, il modo giusto da amore.
Si ama malamente la propria vita, anima, quando si vive nell'iniquità; e il Signore c'insegna che questo amore sbagliato nasce da un odio: Chi ama il male detesta la sua anima e la sua vita. Ma proseguendo dice anche: Chi odia la sua vita in questo mondo - qui allude al giusto odio che viene dall'amore -, la conserverà per la vita eterna. Sta infatti molto a cuore quello che si desidera conservare per la vita eterna. Che cosa può mai valere, in confronto, un bene che si può amare per breve tempo? O vieni strappato via tu da esso, o esso viene strappato a te: nel primo caso non c'è più chi lo ami, nel secondo viene a mancare l'oggetto stesso dell'amore; in entrambi i casi dunque non vale la pena di amare. Dobbiamo invece volgere il nostro amore a quello che può durare in eterno. Se vuoi avere salva la tua anima per l'eternità, devi averla temporaneamente in odio. Dunque l'odio giusto è dettato da amore, mentre l'amore perverso è dettato da odio.
Amore sacrificale
E amare significa sapersi sacrificare. Così ha fatto Gesù e così hanno fatto i suoi fedeli discepoli. Con queste parole il nostro Maestro Divino non vuole solamente insegnarci quella che è stata la sua vita, ma ci vuole indicare come deve essere la vita di tutti quelli che vogliono essere cristiani e desiderano seguire la sua via. Per questo Egli afferma: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,26). Se realmente vogliamo essere cristiani, dobbiamo seguire Gesù fin sul Calvario, e anche noi un giorno saremo glorificati.
Per esprimere ancora la fecondità della sua morte in Croce, Gesù pronuncia questa frase: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Il significato di queste parole è chiaro: quando sarà innalzato in Croce, Gesù donerà la vita al mondo intero e diverrà «causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9), come dice la seconda lettura di oggi.
(PENSIAMO AL VALORE DELLA S. MESSA che RIATTUALIZZA IL SACRIFICIO DEL CALVARIO, L'IMPORTANZA NEL PARTECIPARE)
Infine, anche per noi giungerà un giorno "l'ora del dolore" che sarà l'ora della suprema testimonianza d'amore. Forse per qualcuno di noi quest'ora è già suonata e dura da molto tempo. Dobbiamo però sapere una cosa: Gesù non ci abbandonerà in questa ora così difficile; non ci toglierà la croce, ma ci aiuterà a portarla, facendoci comprendere che sarà proprio per mezzo di questa croce che noi saremo come quel chicco di grano che morendo porta molto frutto. I Martiri hanno guardato a quest'ora come all'ora suprema della loro glorificazione.
Esempio
Tra tutte, è molto bella la testimonianza di sant'Ignazio di Antiochia, che era un vescovo dei primi secoli. Egli fu condannato ad essere sbranato dalle belve feroci, e si paragonò a del buon grano che doveva essere macinato dai denti di quelle fiere per poter divenire pane di vita. Così egli scrisse ai cristiani di Roma che cercavano in tutti i modi di salvarlo: «Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore». In quell'ora suprema del martirio, sant'Ignazio sentiva la vicinanza di Gesù e andava fiducioso incontro alla difficile prova.
Chiediamo alla Madonna di amare in modo giusto e comprendere sempre di più il valore della sofferenza e dei sacrifici, sapendoli sempre accettare per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Importanza dell’offerta dei propri dolori e sacrifici (cfr. Il messaggio della Madonna a Fatima).
Commento a Gv. 12,20-33 secondo i Padri della Chiesa