(II omelia)
Ogni anno, nella seconda domenica di Quaresima, la Liturgia propone alla nostra meditazione l’episodio della Trasfigurazione di Gesù che ci aiuta a penetrare meglio il senso profondo della Quaresima in preparazione alla Pasqua. Infatti la luce abbagliante del corpo trasfigurato di Gesù, mentre è in cammino verso la sua passione e morte, oltre a rivelare la sua divinità, richiama in anticipo l’immagine di quella glorificazione che egli conseguirà nella sua risurrezione e nel suo ritorno al Padre.
E’ sul monte Tabor che Gesù si presenta trasfigurato. Solo i tre discepoli più intimi - Pietro, Giacomo e Giovanni - ne sono i testimoni privilegiati, quelli stessi che un giorno dovranno assistere all'agonia del Getsemani, quasi a dire che gloria e passione sono due aspetti inscindibili dell'unico mistero di Cristo. E si trasfigurò davanti a loro: “Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” Questa trasfigurazione impressionò molto i tre, specialmente di Pietro, che ne parlerà in seguito in una sua lettera. Essi che lo hanno sempre visto, nel suo aspetto esterno, uomo come gli altri uomini, ora ne contemplano la divinità, ne scoprono il volto luminoso di Figlio di Dio: «Dio da Dio, Luce da Luce» (Credo). Intanto dal cielo la voce divina si fa garante della visione: «Questo è il mio Figlio diletto: ascoltatelo!» (ivi 7); gli uomini devono ascoltarlo per vivere secondo i suoi insegnamenti; e Dio stesso lo ascolta perché in vista del suo sacrificio salverà gli uomini. Ma il divino supera talmente l'umano che rivelandosi alla creatura la sopraffà e la sgomenta; i tre discepoli sono presi dalla paura e Pietro, senza sapere quello che dice, propone di costruire lì tre tende: «una per te, una per Mosè, una per Elia» (ivi 5), rappresentanti della A. T., la legge ei profeti. Non sapeva che quella visione era soltanto un incoraggiamento per la loro fede e che prima di arrivare alla visione eterna bisognava discendere dal monte con Gesù, sentirlo ancora parlare di passione e seguirlo portando con lui la croce. Ciò significa vivere il mistero pasquale di Cristo
La nostra trasfigurazione
L’episodio della Trasfigurazione si può collegare alla nostra vita personale, e cioè alla nostra trasfigurazione in Cristo e a raggiungere il nostro fine ultimo della nostra vita. Il racconto delle tentazioni, nella prima domenica, ci ha richiamato al pericolo concreto di fare diventare fine della vita ciò che può essere solo mezzo. Le cose, i comportamenti, infatti, sono unicamente strumenti da usare con equilibrio e saggezza: il denaro, i coinvolgimenti nella vita (famiglia, lavoro, responsabilità sociali), il desiderio di emergere. C'è il pericolo di perdere di vista l'orizzonte a cui di continuo fare riferimento, per non smarrire la bussola.
Ed ecco che, nel percorso verso la Pasqua, S. Paolo, infatti, ci ricorda nella seconda lettura che la nostra vera patria è nei cieli, che per arrivare alla gloria noi dobbiamo passare attraverso la sofferenza, la croce e che Gesù Cristo un giorno trasfigurerà anche il nostro corpo mortale per conformarlo al suo corpo glorioso. L'Apostolo ci fa scoprire, tutti presenti alla Trasfigurazione, tutti parte in causa. Riguarda non solo Gesù o, al massimo, i tre apostoli che erano con lui sul monte; ma riguarda anche noi, in quanto suoi discepoli, battezzati, per ciò che sarà di noi un giorno nella «nostra patria». Ciò che ha fatto il Capo deve completarsi nel corpo: non solo la passione, ma anche la Trasfigurazione.
Guardare il cielo, nostra meta, come nostra patria, nonostante le prove, le croci, le sofferenze. E’ l’invito del Signore. «Guarda in cielo e conta le stelle» E’ l’invito che fece anche ad Abramo, nostro padre nella fede, come abbiamo sentito nella prima lettura e dove gli promette, sigillato da un patto, la terra promessa e una grande discendenza. Abramo con umile confidenza gli domanda un pegno di tali promesse. Il Signore accondiscende benevolmente e fa con lui un contratto secondo l'uso dei nomadi di quei tempi; Abramo prepara un sacrificio di animali sul quale di notte Dio scende sotto forma di fuoco concludendo l'alleanza: « alla tua discendenza io do questo paese... » (ivi 18). Il rito che viene celebrato con animali squartati, messi per metà da una parte e per metà dall'altra, per la celebrazione di patti di alleanza. Quando un re stipulava un'alleanza con un suo vassallo, la nuova amicizia e il legame stretto che nascevano venivano suggellati con un rito particolare: si prendevano degli animali, li si squartava per metà, ponendoli allineati da una parte e dall'altra, e i contraenti del patto passavano in mezzo. Questo «passaggio» significava che, se uno dei contraenti non fosse in futuro fedele al patto e all'impegno assunti, gli sarebbe accaduta la stessa cosa che essi avevano fatto agli animali: Dio ci «spacchi in due» (Ger 34, 18). La differenza fondamentale è che il patto di Dio con Abramo non è bilaterale, ma unilaterale. È Dio che s'impegna in modo assoluto con Abramo, e, con lui, verso l'umanità intera. Allora, la fiamma che passa come fiaccola ardente in mezzo agli animali divisi rappresenta Dio e manifesta il suo impegno di fedeltà assoluta verso Abramo. (Alleanza con il popolo d’Israele nel deserto con Mosè, con la legge).
E’ una figura della nuova e definitiva alleanza che un giorno Dio farà nel sangue di Cristo per la quale il genere umano avrà diritto non a una patria terrena, ma alla patria celeste ed eterna. Gesù in persona è l'Alleanza nuova e definitiva. L'Eucaristia, che celebriamo ogni giorno, è il rinnovamento dell'oblazione sacrificale di Gesù, quindi della Nuova Alleanza, è il segno vivente della vicinanza del Dio assolutamente fedele verso l'uomo e che deve trovare la risposta nell’uomo, in ciascuno di noi.
Anche il Signore c’invita in questo tempo di quaresima ad essere fedeli, come Lui è fedele, a questo patto, sigillato quindi, non con il sangue dei capri, ma con il sangue di Cristo, del quale facciamo il memoriale in ogni S. Messa.
Il nostro cammino, a volte, si fa arduo, come il salire faticoso verso la vetta di un monte, e non mancano i momenti della prova: tentazioni continue e fastidiose, amarezze e delusioni della vita, dolori per la perdita di persone care, malattie che affliggono il nostro corpo, esperienze di solitudine e di abbandono. In questi momenti, dice S. Giovanni Crisostomo, “pensa all’amore che ti attende in cielo…. Lì tutto è riposo, gioia, giubilo;… Lì non c’è vecchiaia, né malattia, né morte, perché è il luogo e la dimora della gloria immortale…”. Pensiamo spesso, durante il giorno, alla felicità che ci attende. Il pensiero della gloria sarà anche per noi di grande aiuto.
Contempliamo questo mistero nel 4° mistero luminoso del S. Rosario, soprattutto pregando.
Nell’episodio della Trasfigurazione, così come ce lo racconta san Luca, c’è un particolare degno di nota: l’atmosfera di preghiera che avvolge Gesù prima dell’evento: “E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto” (ivi). Sembra quasi che sia la sua preghiera intensa e profonda a provocare la trasfigurazione della sua persona. In realtà, l’uomo che prega profondamente, si immerge talmente in Dio da venirne gradualmente trasformato in Lui. Ogni preghiera ben fatta imprime in noi un raggio dello splendore divino. La preghiera, come per Gesù, deve essere l’atteggiamento abituale del cristiano. Da essa si ottiene forza, incoraggiamento e fecondità nella vita spirituale. Solo con la preghiera la nostra vita si trasforma e la santità può essere raggiunta. La preghiera, perciò, è indispensabile in ogni circostanza e momento della vita. Non ci sarà mai un vero cristiano o apostolo senza la preghiera.
Così l’importanza dei sacramenti: confessione e della comunione che ci trasfigurano in Cristo.
Affidiamoci alla Madonna affinché ci aiuti a trasfigurarci ogni giorno di più nell’immagine del suo Figlio divino.