Lc 6,27-38
Il Vangelo di oggi è il prosieguo di quello di domenica scorsa. Gesù, parlando ai suoi Discepoli e alla folla, aveva posto loro innanzi due vie: quella della benedizione e quella della maledizione, quella della beatitudine e quella dei “guai”. Il Regno di Dio nelle anime non si sviluppa tra le ricchezze, la forza e le allegrezze, ma al contrario in mezzo alla povertà, alle umiliazioni, alle contraddizioni e alle persecuzioni.
Don Dolindo commentava: «L’apostolato non è una semplice propaganda, ma è una lotta col mondo e con l’inferno; perciò suppone l’urto violento del male contro il bene». Ed è per questo che Gesù subito dopo spiega l’atteggiamento che i suoi Discepoli devono avere in questi frangenti: “Amate i vostri nemici... Fate del bene a quelli che vi odiano... Benedite quelli che vi maledicono”.
La liturgia ci mostra nella prima lettura l’esempio del re Davide. Davide è fatto oggetto di invidia e di odio da parte di Saul. Dapprima, l’invidioso sovrano tenta di ucciderlo in casa sua trafiggendolo al muro con la sua lancia, ma Davide riesce a schivare il colpo e a scappare. In seguito, venuto a sapere che Davide si trovava sulla collina di Hakila, al margine orientale del deserto, accecato dalle sue passioni, Saul parte con un esercito di tremila uomini allo scopo di prenderlo e ucciderlo. Ed è allora che, mentre tutti dormono, Davide scende con Abisai nell’accampamento. Abisai, vedendo l’occasione propizia, vorrebbe uccidere Saul, ma Davide lo trattiene: «Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?» (1Sam 26,9). Davide vede in Saul, nonostante le sue colpe, il suo odio, la sua crudeltà, il consacrato del Signore. Così, anziché ucciderlo, prende a testimone della sua benevolenza la brocca dell’acqua e la lancia del re. Saul, davanti a questo gesto di carità, di benevolenza, si commuove, si pente e desiste dal suo intento malvagio: “Ho peccato, ritorna, Davide figlio mio... Ho agito da sciocco e mi sono molto, molto ingannato... Benedetto tu sia, Davide figlio mio” (cf 1Sam 26,21-25).
Vincere il male con il bene è il tema che risuona in tutta la liturgia di oggi.
La seconda lettura, contrapponendo l’uomo fatto di terra all’uomo celeste, ci indica quale debba essere la radice della nostra carità cristiana. La nostra carità non può fondarsi sui sensi, su ciò che appare. I sensi, infatti, desiderano tutto ciò che è appetibile. La carità cristiana deve fondarsi sulla fede. La carità è una virtù teologale che ha Dio per oggetto: Dio amato per se stesso e Dio amato nel prossimo.
Per esercitare la carità verso il prossimo dobbiamo amare la presenza di Dio in lui. Ma in che modo Dio è presente nel prossimo? È presente anzitutto nell’immagine. Nel libro della Genesi noi leggiamo che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza. Dunque, in ogni uomo è scolpita l’immagine di Dio: un’immagine che il peccato ha deturpato e abbruttito quanto si vuole, ma pur sempre rimane immagine di Dio. Gesù Cristo è venuto per restaurare questa immagine in noi e ridonarle il suo antico splendore.
Dio, poi, è presente nell’anima del cristiano in modo speciale a motivo del Battesimo e della grazia santificante. Infatti, il Battesimo ci ha incorporato a Cristo, rendendoci sue membra.
Potremmo dire: nelle persone buone è facile vedere la presenza di Dio, ma come riuscire a vederla nei peccatori, nelle persone d’animo cattivo e perverso? Ebbene, nel caso dei battezzati, essi sono membra morte della Chiesa, perché con il peccato hanno perso la grazia di Dio; nonostante ciò, però, in virtù del Battesimo restano ancora membra di Cristo, e anche se morte vanno trattate con amore.
Allora si potrebbe dire: e chi non ha nemmeno il Battesimo? Per i pagani? Abbiamo già detto che, in quanto uomini, anche in loro c’è l’immagine di Dio, seppur ancora abbozzata, imperfetta, incompleta. Li dobbiamo amare come Dio Padre li ama, dal momento che Egli li vuole tutti salvi e che giungano alla pienezza della verità. E se questo è il suo desiderio deve essere anche il nostro. Dunque, dobbiamo amarli per l’immagine di Dio in loro ma anche perché Dio stesso ce lo ha comandato espressamente, e “se amiamo Dio osserviamo i suoi comandamenti” (cf Gv 14,21).
La carità cristiana si ferma solo davanti a una categoria di persone, quelle verso le quali anche l’occhio di Dio si allontana per posarsi altrove: queste sono le anime dei dannati. In loro, al pari dei demoni – angeli decaduti –, l’immagine di Dio è ormai irrecuperabile e rovinata per sempre. Questa è l’unica eccezione in cui la carità cristiana si ferma, perché ormai non c’è più nulla da fare. Altrimenti la carità cristiana raggiunge tutti coloro che si pongono sul nostro cammino, sempre e in ogni circostanza. Un amore che, con una serie di esempi concreti, Gesù ci ha detto che deve essere fattivo: “Fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro”.
Ciò non vuol dire che dobbiamo giustificare il male, o essere pusillanimi e deboli davanti ad esso, o spingere la società alla condiscendenza al male: no di certo. Il male va curato, la malattia va combattuta, ma ciò che deve essere manifesto è che in tutto questo il cristiano opera spinto dalla carità, dal desiderio del vero bene del prossimo. Gesù, nei suoi anni di vita pubblica, ha ripreso pubblicamente scribi e farisei, peccatori e aguzzini anche con parole forti, ma lo ha fatto sempre animato dalla più profonda carità, dal desiderio di conquistare il loro cuore, e anche per loro è andato alla Morte di Croce. Il cristiano in questo non è un debole, ma un forte: nella pazienza e nella carità a tutta prova, nell’umiltà e nell’amore. La vera carità non esula dalla giustizia, dalla correzione, dal dire la verità, ma è simile all’amore di una madre verso il proprio figlio, che con mansuetudine, dolcezza, pazienza e amore altro non vuole che il bene del figlio amato. Questo è l’amore con cui Dio ci ha amati e ci ama, ed è questo l’amore con cui noi dobbiamo amarci gli uni gli altri per amore di Dio.
(P. Angelomaria Lozzer - Settimanale di P. Pio 2025, n. 8)
Gesù ammaestra le folle