Un veicolo spaziale è forse una delle massime espressioni dell’Ingegno umano. Pochi sanno che è anche campo di applicazione dell’ergonomia e dell’architettura d’interni. La storia che vi racconterò riguarda un’architetto, Galina Andreevna Balashova, autrice del design degli interni dei veicoli spaziali Sojuz, della stazione spaziale Mir e della, mai costruita, base lunare sovietica.
Nasce a Kolomna, il 4 dicembre 1931 e studia all’Istituto Statale di Architettura di Mosca. Dopo la Laurea, inizia a lavorare, nel 1955, presso l’Istituto di design GiproAviaProm di Kuibishev. Il suo primo incarico consisteva nel rimuovere elementi architettonici considerati “decadenti” situati negli edifici residenziali. Successivamente, nel 1957, iniziò a lavorare presso l’OKB-1 di Sergej Pavlovic Korolev, occupandosi inizialmente della progettazione degli alloggi del personale che lavorava presso il Cosmodromo di Baikonur, e presso la “Città Stellata”, quella che conosciamo come ZPK o centro di addestramento dei Cosmonauti, nell’Oblast’ di Mosca. In seguito, con l’avvio del programma Sojuz e con l’inizio delle missioni di più lunga durata nello spazio, si rese necessario progettare interni di veicoli spaziali che iniziassero a rispondere a criteri di praticità ed ergonomicità. Si iniziò a studiare anche cosa avrebbe fatto sentire più a loro agio i cosmonauti che dovevano lavorare e vivere giorni od addirittura mesi nello spazio, pensando a materiali, forme e colori in grado di mitigare i primi effetti di disorientamento della permanenza nel cosmo.
Fu in questo ambito che la Balashova espresse il massimo del suo talento, progettando gli interni delle sezioni SA e Bo della Sojuz.
Per chi non avesse seguito le puntate sul canale Youtube di Kosmonautika o non avesse letto l’articolo sul veicolo Sojuz, la sezione SA, dal Russo Спуска́емый Аппара́т, leggi Spuskáyemy Apparát, è il modulo di rientro, quello a forma di campana dove prendono posto, nella tuta semipressurizzata “Sokol”, i cosmonauti. Visto con gli occhi di oggi, magari abbagliati dal candore e dalla modernità futuribile degli interni della Crew Dragon di SpaceX, sembra uno spazio claustrofobico ed angusto. Uno stesso cosmonauta russo ci ha scherzato sopra con un celebre MEME che definisce la SA della Sojuz “Economy class” e la Crew Dragon “Business class”. Beh, è vero. Ma la Sojuz è un progetto che nasce nel 1963 e che si realizza nel 1965 effettuando il suo primo volo nel 1966. Per l’epoca, un design così ergonomico (era previsto che i cosmonauti volassero senza tute, solo dopo la tragedia della Sojuz-11 furono obbligatorie), non si era mai visto.
La sezione BO, dal russo бытовой отсек, bytovoi otsek, è il modulo orbitale o, più letteralmente abitativo. E’quello a forma di sfera, per capirci concepito come luogo della vita di bordo nelle fasi di volo diverse dal lancio e dal rientro. Dotato di una cucinetta, di un divano, di una piccola toilette e di spazio a sufficienza per quattro persone (sono entrato dentro una sezione BO al museo della cosmonautica di Mosca e posso garantirlo personalmente), era una novità assoluta nel panorama spaziale. Difatti anche le più iconiche Apollo statunitensi, avevano un unico ambiente dove gli astronauti dovevano far tutto, dalle fasi di lancio a quelle di volo translunare a quelle di rientro.
La Balashova, da buon architetto, pensò non tanto all’ingegneria dei sistemi necessari per un volo spaziale, ma pensò all’uomo. Cosa rendeva l’uomo un pesce fuor d’acqua in un volo spaziale? La sensazione di assenza di peso. Il fatto di non avere, in condizioni di caduta libera tipiche del volo spaziale orbitale, il senso del “sopra” e del “sotto”; ciò disorientava e, alla lunga, poteva destabilizzare l’individuo chiamato a lavorare ed a vivere in questo ambiente. Ed allora cosa escogitò il nostro architetto? Un codice di colori!
Ebbene sì, lei che aveva avuto un’infanzia caratterizzata dalla passione per l’acquerello, codificò il “Sotto” con il colore verde, le pareti col colore giallo ed il “Sopra” con il colore azzurro. Il cosmonauta, pur galleggiando in condizioni di caduta libera senza la sensazione di un soffitto ed un pavimento, aveva i due punti di riferimento fondamentali: Azzurro, come il cielo, sopra, verde, come il prato di casa, sotto. Semplice, efficace, Russo.
Questo schema, ancora oggi è presente nelle Sojuz e nei moduli russi della Iss, ma non solo. Il cosmonauta doveva sentirsi come a casa ed anche le attrezzature di uso comune come il bagno oppure la cucinetta e finanche il divanetto posto ad un lato della sezione BO, dovevano ricordare ciò a cui era abituato nell’ambiente domestico. Quindi, via libera a forme familiari e trame dei tessuti che richiamavano quelli di casa. Nelle immagini a corredo di questo articolo, i bozzetti originali di questa stupefacente artista, dove potrete vedere la cura e l’attenzione al benessere umano che la Balashova metteva nel suo lavoro. Anche gli interni della sezione DOS della MIr, di cui vedete i progetti ed una foto realizzata da me, rispecchiano questa necessità di dare all’uomo o donna Cosmonauta, la sensazione di lavorare e vivere in un ambiente non troppo dissimile da quello terrestre. Dargli il conforto di un “sopra”, di un “sotto” ricreando, coi colori, l’illusione della gravità.
Non solo il design delle navi e stazioni spaziali rese celebre, dopo la caduta dell’URSS, la Balashova; suo è anche il logo della missione APOLLO-SOJUZ, presentato per la prima volta nel 1973 al Salone Aerospaziale di Le Bourget vicino Parigi. Questa storia merita di essere raccontata perché fece rischiare a Galina Balashova, dei guai seri...
Come accennato, durante il Salone a Le Bourget, venne presentata la missione congiunta Sovietico-Americana Apollo-Sojuz. Per l’occasione vennero distribuite un gran numero di spillette con questo semplice ma efficace logo: due semicerchi, uno rosso con la scritta in cirillico “союз”, cioè Sojuz ed uno blu con la scritta, in caratteri latini “Apollo”. I due semicerchi sembravano abbracciare un globo terrestre stilizzato con, al centro, raffigurate le sagome dei due veicoli spaziali agganciati. Queste spille ebbero un enorme successo tanto che venne usato il logo anche per la Patch ufficiale della missione nonché per la celebre medaglia d’argento in due pezzi che venne unita simbolicamente nello spazio dai Comandanti Leonov e Stafford.
La Balashova volle registrare il logo a suo nome presso l’ufficio brevetti, facendone indicare la cosa dalla fabbrica che li stampava. Ufficialmente l’Unione Sovietica, per non meglio precisati motivi di sicurezza relativi all’autore del logo, non rivelò mai di chi fosse l’opera in questione. Come anche per Korolev, si diceva che era frutto dell’ingegno e dell’inventiva del popolo sovietico. In realtà le conseguenze della presa, orgogliosa, di posizione della Balashova furono pesanti.
Minacciata di arresto e di condanna fino ad otto anni per attività antisovietica, dovette ritrattare e ritirare il brevetto.
Solo dopo il suo pensionamento, nel 1991 e dopo la caduta dell’URSS, venne alla luce sia questa storia (e le venne tardivamente riconosciuta la paternità del logo), sia tutto il grande e visionario lavoro che ha svolto al servizio dell’OKB-1 e del RKK Energhia dopo.
Sì perché Galina Andreevna Balashova, oltre che la Sojuz, le Saljut e la Mir, disegnò anche gli interni delle navette Buran...
Recentemente in tutto il mondo le sono state dedicate delle mostre, l’ultima delle quali presso il Museo della Cosmonautica di Mosca e questa notizia ha acceso la mia curiosità spingendomi ad approfondire ed a scriverne un articolo.
Molto bello ed interessante il libro monografico, del tedesco Philip Moizer, intitolato: “Galina Balashova: Architect of the Soviet Space Programme”. Ricco di illustrazioni tratte dai disegni originali.
Non era l’unico architetto nel programma spaziale sovietico, segno questo di una reale ed importante attenzione all’aspetto umano delle missioni dei cosmonauti. Ma fu l’unica donna. Decisa, energica ed orgogliosa fino al punto di rischiare la galera per difendere le sue creazioni.
Il libro, illustrato con i bozzetti originali della Balashova
Bozzetti per gli interni della sezione BO della Sojuz
Bozzetto per gli interni della sezione SA della Sojuz
Bozzetto per gli interni del modulo DOS della stazione spaziale MIR.
Bozzetto per gli interni della mai realizzata stazione orbitale "LOS"
Bozzetto per la navetta "Bajkal" della serie Buran. Notare che erano previsti due jet in coda (utilizzando i motori del caccia SU-27), che non erano presenti nella Buran OK 1.01 che effettuò l'unico volo automatico nel 1988.
Il logo della missione "Apollo-Sojuz", creazione di Galina Balashova
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