Ma quanto inquini???
Facciamo luce sull’impatto ambientale dei lanci spaziali.
L’argomento ritorna sempre, puntuale come una cambiale, ogni volta che commentiamo in diretta un lancio: Chissà quanto inquina?
A vederlo dall’esterno, il decollo di un lanciatore verso lo spazio con tutta la sua coreografia di fuoco, fiamme, fumo e rumore assordante, ci fa pensare di essere di fronte ad un cataclisma con conseguenze disastrose sull’ambiente. Ma non è del tutto così.
I lanci sono eco friendly?
Beh, no: inquinare inquinano, ma nemmeno tanto se messi a confronto con le emissioni della nostra vita quotidiana come i viaggi aerei ed il traffico dei veicoli nelle città.
Se, però, nei decenni passati la minore frequenza dei lanci e sensibilità ecologista ci avevano portato, come genere umano, a prestare poca attenzione all’impatto ambientale dell’astronautica, oggi, specialmente con l’avvento di SpaceX e dei lanci a (relativo) basso costo dei vettori riutilizzabili, il problema inizia a farsi strada nel dibattito ambientalista.
Premetto, l’argomento è molto vasto ed investe non solo il lancio, ma anche i rifiuti dello stesso, l’inquinamento acustico e quello luminoso. In questo articolo cercherò di sintetizzare i punti salienti. Per documentarmi ho dato fondo a molto materiale presente in rete, persino ad una tesi di laurea dell’Università di Padova; per approfondimenti potete consultare tre ottimi articoli: quello di Aerospacecue, quello di Italian Space e quello molto dettagliato di Astrospace. È giusto e doveroso citare le fonti.
Altra premessa: per molte misurazioni conta non solo il valore assoluto delle sostanze emesse ma anche per quanto tempo queste sostanze sono emesse. In poche parole: inquina di più tanto combustibile per 9 minuti o meno combustibile per 12 ore? Avete presente il discorso che ogni tanto esce fuori sulle Fasce di Van Allen e sulla pericolosità ad attraversarle nei voli spaziali? Un conto è attraversarle per un ora a 48.000 Km/h, un altro farlo per 24 ore a 27.000.
L’impatto dei combustibili
Esistono lanciatori sozzoni e lanciatori puliti?
In un certo senso sì.
Nella categoria degli sporcaccioni appartengono i lanciatori a combustibile solido. Sono economici, potenti, facilmente impiegabili perché non si deve caricare il combustibile ma c’è un ma, hanno dei residui di combustione veramente fetenti: composti di carbonio (CO, CO2) Cloruro d’Idrogeno ed Allumina. Roba che è tra i principali imputati per l’innalzamento dell’effetto serra.
Ma non solo, i prodotti secondari della combustione sono molto aggressivi nei confronti delle molecole di Ozono.
Per fortuna il loro utilizzo è in diminuzione ma il loro basso costo li rende l’entry level per chi si affaccia al mercato dei lanciatori leggeri. Inoltre, a combustibile solido sono anche molti booster di lanciatori medi e pesanti come ad esempio gli H3 giapponesi oppure gli Ariane europei ed anche la generazione attuale dei lanciatori indiani. In questo caso, però, il loro utilizzo è limitato nei primi 100 secondi dal lancio. Per la regoletta di cui alla premessa di prima, il loro impatto, come booster, è abbastanza limitato.
Un lanciatore a combustibile solido: l’Italiano Vega-C. Credito: ESA
Nel novero dei fetentoni ci sono anche i lanciatori a combustibile ipergolico. Non tanto per le emissioni durante il lancio, quanto per la loro elevata tossicità, corrosività e la loro simpatica tendenza che li rende, oltre che molto pratici da usare e da tenere in condizione di volo per lungo tempo, estremamente pericolosi: gli ipergolici si innescano solo a contatto. Per capire che macello fa un lanciatore ipergolico che esplode al suolo, basta ricordare la strage di Nedelin del 1960 dove un R16 sovietico s’innescò per un guasto sulla rampa. Più di 100 morti in una frazione di secondo ed ambiente contaminato per anni.
Oggi sono, fortunatamente, in disuso a parte i Lunga Marcia 2 cinesi ed il glorioso Proton del quale però ne sono rimasti solo due esemplari.
Un lanciatore a combustibile ipergolico: il Lunga Marcia 2F cinese. Credito: CNSA
Nel settore dei puliti ma non brillanti, ci sono i lanciatori a combustibile liquido con l'RP-1 come combustibile.
L’RP-1 è in sostanza cherosene liquefatto a bassissima temperatura. La sua combustione insieme all’ossigeno produce grandi quantità di CO2 e CO. Ma, per fortuna, negli strati bassi dell’atmosfera basta una pioggia per sistemare tutto. I Sojuz, gli Angara ed i Falcon-9 sono tra i lanciatori che utilizzano la miscela LOX (Ossigeno liquido) ed RP-1.
Un lanciatore con motori a RP-1/LOX: Il Sojuz 2.1a. Credito: Roscosmos
Nell’olimpo dei pulitissimi ci sono i criogenici (LOX+LH2, cioè ossigeno ed idrogeno liquidi). Il loro residuo di combustione è semplicemente acqua. Ma attenzione: il vapore acqueo a bassa quota è innocuo, oltre la stratosfera diventa un gas serra.
Un lanciatore con primo stadio criogenico: Ariane-6. Credito: ESA
Ma la frontiera del futuro prossimo è rappresentata dal Methalox, cioè CH4 (metano) ed ossigeno liquido. Tutti i nuovi motori, Raptor di SpaceX compresi, sono progettati per funzionare con questa miscela. Combustione pulita che produce vapore acqueo anche se con più CO e CO2 dei motori criogenici e soprattutto, in prospettiva, la possibilità di utilizzare materia prima reperibile sul posto. Anche nello spazio.
Il primo lanciatore a Methalox a raggiungere l’orbita terrestre con successo: il cinese Zhuque-2. Credito: Landspace
Ciclo aperto o ciclo chiuso?
Un altro aspetto da valutare è se i gas di combustione vengano sfruttati fino in fondo oppure no. In questo ambito ci sono due filosofie costruttive. I cosiddetti motori a generatore di gas, in cui i gas utilizzati per azionare le pompe del combustibile e dell’ossidante vengono liberati all’esterno con il tipico pennacchio laterale (vedere i lanci dei Falcon 9 per capirci), e poi quelli a combustione chiusa o stadiata in cui questi stessi gas vengono reimmessi nelle camere di combustione. Vantaggi: maggiore spinta e minor consumo (e minor inquinamento). Svantaggi: temperature estreme con necessità di utilizzare materiali molto resistenti e difficoltà di ricondizionamento degli stessi in breve tempo. Chiedere agli RS-25 dello Space Shuttle…
Una tipica soluzione che sebbene possa sembrare in senso assoluto poco ecologica, alla fine lo diventa è quella dei Merlin 1D del Falcon 9. Sono motori ad RP-1+LOX a generatore di gas ma facilmente ricondizionabili e riutilizzabili. Un primo stadio del Falcon-9 è stato utilizzato ben 23 volte. Alla fine, come nel paragone con l’attraversamento delle fasce di Van Allen, il risultato finale è minor impatto rispetto ad un motore a combustione chiusa criogenico ma a perdere.
I vari tipi di combustione nei motori a razzo a combustibile liquido. Credito: Everyday Astronaut
Effetti inquinanti secondari
Non c’è solo l’impatto ambientale della propulsione: l’usura delle parti esposte al calore, ad esempio, oppure la combustione incompleta del Cherosene, produce residui di carbone detti Black Carbon.
Anche i combustibili solidi producono un altro simpatico scarto: l’Allumina. Black Carbon ed Allumina sono agenti catalizzatori dell’effetto serra.
Il Black Carbon
Pensate che subito dopo il lancio, si creano dei micro buchi nell’Ozono che, per fortuna, si richiudono subito dopo.
Un’altra conseguenza, con impatto particolarmente sulla vegetazione e sulle acque delle zone vicine al sito di lancio, è la formazione della cosiddetta Ground Cloud.
Questa si forma per reazione con l’acqua di solito utilizzata per raffreddare la piattaforma di lancio. Il vapore generato si condensa nelle nuvole e poi ricade sotto forma di pioggia, non proprio pulitissima.
Altro aspetto da non sottovalutare è l’inquinamento acustico. Durante le fasi del lancio si possono superare i 200 dB con danno alla fauna locale. Qui però si può intervenire con pannelli fonoassorbenti e con motori più silenziosi oltre che a regolamentare gli orari di lancio.
E poi… c’è l’inquinamento luminoso!
Specialmente oggi, con l’avvento delle costellazioni di minisatelliti tipo Starlink, piccoli ma molto riflettenti, è diventato abbastanza frequente osservare dei trenini di luce che attraversano il cielo notturno. Pittoresco se siamo insieme alla morosa, ma malefico se vogliamo osservare gli oggetti del cielo.
Il “trenino di luci” prodotto dai satelliti Starlink nel cielo notturno. Credito: Passione astronomia
Ultimo, ma non ultimo, c’è da considerare l’impatto della ricaduta dei detriti del lancio come il primo stadio od i boosters. Questi possono generare oltre che inquinamento acustico (bang sonici) anche inquinamento dei tratti di mare o dei terreni in cui cadono. Sempre più nazioni optano per rientri controllati in pieno oceano o con traiettorie più distruttive nel rientro in atmosfera dei detriti.
Ciononostante, ed un recente episodio in Cina ha portato in evidenza il fenomeno, in caso di incidenti possono verificarsi situazioni in cui vaste aree vengono contaminate dal contenuto dei serbatoi dei primi stadi ricaduti a terra.
Ma, insomma, inquinano o no?
Ritorniamo al paragone con l’attraversamento delle Fasce di Van Allen oppure al giochino della camminata sui carboni ardenti. Non è la stessa cosa se si corre sui carboni ardenti o se si cammina, giusto?
Ovviamente tutte le attività antropiche, cioè le attività di origine umana, inquinano. Non possiamo farci nulla. Considerando tutti gli aspetti di cui abbiamo trattato in questo articolo, l’impatto attuale dei lanci spaziali sull’inquinamento dell’ambiente in un anno è pari a circa 22.000 tonnellate di CO2. Tante? Sì, ma se considerate le 918.000 prodotte dal traffico aereo sono nulla: 0,0000059% rispetto al 2,4%. Non parliamo poi del 24% delle emissioni di CO2 prodotte in un anno dalle attività agricole ed il 25% dovute alla produzione di energia.
È vero che il numero di lanci in un anno è destinato a crescere sempre di più, ma è altrettanto vero, come abbiamo visto, che si tende ad abbandonare le tecnologie a più alto impatto ecologico in favore di quelle meno compromettenti per l’ambiente.
Quindi la prossima volta che assistiamo ad un lancio, godiamoci lo spettacolo!
Pubblicato anche sulla pagina passioneastronomia.it