Inizio questo racconto con una commemorazione: il primo febbraio 2022, è morto all’età di 96 anni Vladimir Alekseevic Serebrennikov.
Chi era? Chiederanno i miei due o tre lettori. Beh Serebrennikov è stato il capo progettista dell’NPO Lavochkin, l’ufficio di progettazione che ha realizzato tutte le sonde interplanetarie sovietiche e russe (tra l’altro costruttore anche della ExoMars). E, proprio lui, ha realizzato il progetto incredibile di cui oggi voglio parlare: la missione Euro-sovietica VeGa.
Vladimir Alekseevic Serebrennikov, progettista capo dell'NPO Lavochkin e padre delle sonde VeGa
Sfruttando una particolare condizione per la quale la cometa di Halley si sarebbe venuta a trovare abbastanza vicina al pianeta Venere, grazie anche alle tecniche di Flyby ideate dal nostro geniale fisico Giuseppe (Bepi) Colombo, venne ideata e realizzata una coppia di sonde che avrebbe, come si suol dire, preso due piccioni con una fava… VeGa, infatti, è l’acronimo di Venera (nome russo per Venere) e Gallei (traslitterazione dal cirillico di Halley). Per fare ciò l’agenzia spaziale sovietica (all’epoca non c’era ancora Roskosmos), si avvalse della collaborazione della neonata Esa, l’ente spaziale europeo; quindi l’NPO Lavochkin realizzò due sonde, secondo la collaudata usanza russa di mandare le sonde interplanetarie in tandem: se una avesse fallito, ce ne sarebbe stata un’altra che avrebbe avuto qualche chance in più. Dal peso di circa 144 kg ciascuna, avevano metà della strumentazione di bordo dedicata all’osservazione della cometa di Halley, e metà dedicate al lander che sarebbe dovuto atterrare su Venere.
L'inseguimento della cometa di Halley...
Vennero lanciate da due Proton rispettivamente il 15 ed il 21 dicembre 1984. L’11 ed il 15 giugno 1985 raggiunsero il pianeta Venere rilasciando i due lander e, sfruttando la fionda gravitazionale del nostro vicino pianeta gemello, si lanciarono all’inseguimento della cometa di Halley che raggiunsero rispettivamente il 6 ed il 7 marzo 1986.
I due lander, come detto rilasciati l’11 ed il 15 giugno 1985, erano costituiti da un guscio protettivo formato da due semisfere che avrebbe fatto da scudo termico. I lander non erano dotati di propulsione, avrebbero quindi esclusivamente sfruttato l’aero frenata per rallentare fino a posarsi (più o meno delicatamente) al suolo.
Sfruttando un angolo di ingresso molto inclinato, il lander ha percorso una lunga traiettoria di discesa come, ad esempio, ha fatto recentemente la sonda americana Perseverance. Una volta esaurito il compito, lo scudo è stato espulso ed aperto il paracadute principale liberando il lander vero e proprio, in tutto e per tutto simile (anche nella strumentazione) a quello delle sonde Venera 9, 13 e 14. Inoltre, per smaltire ulteriormente la velocità durante la caduta, la parabola dell’antenna fissata sulla cima del lander, fungeva anche da aerofreno. Una volta al suolo una struttura ad anello deformabile, posta nella parte inferiore, avrebbe fatto da ammortizzatore.
Alle 3:02:54 UTC del 11 giugno 1985, alle coordinate di 7,5N e 177,7E, poco sopra la regione chiamata Aphrodite Terra, VeGa-1 si è posato sul suolo Venusiano, trasmettendo dati per 56 minuti. Purtroppo, uno degli esperimento principali, quello che prevedeva la raccolta di un campione dal suolo e la sua analisi a bordo, non poté essere svolto perché, a causa di un non precisamente identificato shock meccanico avvenuto a 18km di altitudine, venne attivato il meccanismo di rilascio del braccio di perforazione, rendendolo inutilizzabile. Comunque, VeGa-1 scattò delle foto della superficie e misurò temperatura (740K) e pressione (96Atm).
Disegno raffigurante VeGa nello spazio. Il pallone in alto contiene il lander ed il pallone sonda.
Disegno del lander (caro vecchio "scaldabagno" sovietico...)
Ma non era finita qui: il lander, una volta entrato nell’atmosfera, ha rilasciato un pallone sonda di 3,4 metri di diametro con, appesa ad un cavo di 13 metri, una gondola dal peso di 6,9 kg. Il pallone, riempito di Elio a 30 millibar, veniva progressivamente sgonfiato fino all’altitudine di 500 mt. La gondola era alta 1,2 mt ed aveva un trasmettitore radio, un anemometro ed un termometro. Ha misurato raffiche discendenti di 1M/s e venti orizzontali fino a 240 Km/h. Il pallone ha volato, primo oggetto costruito dall’Uomo a volare nel cielo di un altro pianeta, per tre giorni all’altitudine di circa 53 km, misurando una pressione di 535 millibar ed una temperatura dell’aria di 300K. La sua ultima trasmissione è stata registrata alle 00:38 UTC del giorno 13 giugno da una posizione 8,1N e 68,8E dopo aver percorso 11.600 Km. Non si sa quanto abbia ancora volato dopo la fine delle sue batterie.
Meglio andò al lander VeGa-2. Entrato nell’atmosfera il 15 giugno 1985 alle ore 01:59:30 UTC, atterrò alle 03:00:50 UTC alle coordinate 8,5S 164,5E, ad est di Aphrodite Terra. Il lander ha misurato una pressione di 91 Atm ed una temperatura di 736K. Come detto, ebbe maggior fortuna perché il braccio per la raccolta e l’analisi del terreno funzionò regolarmente prelevando un campione di anortosite-troctolite, una roccia magmatica intrusiva presente anche sulla Terra.
Il pallone sonda di VeGa-2 ebbe la stessa sorte del suo gemello, funzionando per tre giorni e registrando dati sovrapponibili. Percorse circa 11.100 Km ad un altitudine di 53Km trasmettendo l’ultima volta alle ore 00:38UTC dalle coordinate 7,5S 76,3E.
Schema della missione VeGa
Dettaglio della sonda, di produzione francese, agganciata ai palloni di VeGa-1 e 2
Il profilo di atterraggio delle missioni VeGa
E le due sonde all’inseguimento della cometa?
La raggiunsero, come ho accennato, il 6 e 7 marzo 1986. Dotate di telecamere a grandangolo ed a teleobiettivo, avevano anche uno spettrometro ed un ecoscandaglio ad infrarossi. Durante il volo di inseguimento dispiegarono il braccio con le telecamere tarando gli strumenti riprendendo Giove e Saturno. Il 6 marzo 1986, alle ore 7:20UTC, per la prima volta nella storia il nucleo di una cometa veniva ripreso da un oggetto realizzato dall’uomo. Tre giorni più tardi, VeGa-2 fece lo stesso. I due sorvoli avvennero rispettivamente alle distanze 8.890 e 8.030 Km. L’impatto con le particelle della coda, a circa 80 Km/s, danneggiò i pannelli solari ed alcuni strumenti, ma entrambe le sonde completarono il programma con successo.
In occasione della sua scomparsa, questo penso sia il modo migliore per ricordare la mente geniale dietro una missione tanto ingegnosa quanto spettacolare. Un primato anche dell’industria aerospaziale europea segno che la collaborazione porta sempre frutti eccellenti.