il sogno di leonov

ovvero: piccola dissertazione fantasiosa su come sarebbe stato uno sbarco sovietico sulla luna...

Faccio una premessa, anche se l’ho scritto nel titolo.

NON racconto una storia accaduta: quello che leggerete è parzialmente parto della mia fantasia.

Parzialmente perché le procedure ed i mezzi sono quelli realmente previsti per il programma lunare; il resto ce l’ho messo io immaginando gli eventi che sarebbero potuti accadere.

Artemis-1 è, nei giorni in cui scrivo (agosto 2022), pronta ad uno storico lancio. Finalmente, dopo l’Apollo 17, la NASA torna a lanciare un razzo lunare, l’SLS, ed una navicella, la Orion, verso il nostro satellite. Sarà una missione senza equipaggio che effettuerà, però, un lungo volo compiendo molte orbite di diverse altezze intorno alla Luna. Ciò allo scopo di testare, in fase di rientro, la capacità di resistenza dello scudo termico a velocità superiori alla V1, che sappiamo essere la velocità orbitale terrestre. È un evento molto atteso. Finalmente dopo tanti decenni si torna a volare sulla Luna. Auguro il successo al programma Artemis e, potete scommetterci, sarò incollato davanti alla Tv per seguire i lanci!

Ma voliamo, come detto, sulle ali della fantasia…
Alexei Leonov, come ha spesso raccontato sia nelle numerose interviste, che nel libro “Two sides of the Moon”, scritto insieme al collega americano David Scott, ha sempre avuto il rammarico di non aver mai potuto posare il suo piede sul suolo lunare. Ma se…

Se in un tempo ucronico, Valentin Glushko non avesse accusato Sergej Korolev di attività antirivoluzionaria ed i due non fossero mai stati divisi da un odio mortale, come sarebbero andate le cose?

Korolev, fidandosi delle geniali capacità di motorista di Glushko, avrebbe avallato il progetto di un doppio lancio di vettori UR500, uno con la Sojuz LOK (il modulo di comando) ed il blocco D, il motore che servirà per la traiettoria di rientro a Terra, l’altro con il modulo lunare LK ed il blocco G, il motore che servirà per l’inserzione nella traiettoria cislunare verso il nostro satellite.

Piccola annotazione: Con Blocco-D, G etc. si indicano, secondo l’ordine alfabetico dell’alfabeto cirillico (A, B, V, G, D…), i vari blocchi di motori di un lanciatore. Nel caso del Proton il Blocco-A è il primo stadio, il B il secondo, il V il terzo e così via. Nel progetto originale, che prevedeva il lancio di un solo N-1, i blocchi erano ordinati secondo la sequenza degli stadi di questo lanciatore. Quindi troverete, nella documentazione relativa, altre lettere dovute al fatto che il solo lanciatore N-1 aveva quattro stadi anziché tre.

Non perdendo quindi preziosi anni a sviluppare il fallimentare lanciatore N1, il complesso Sojuz LOK/Blocco D, avrebbe già effettuato con successo il primo volo Lunare, con una traiettoria di rientro libero, nell’anno 1967. Probabilmente i due cosmonauti che avrebbero effettuato lo storico volo, sarebbero stati Adrian Nikolayev e Valerji Kubasov. Sperimentando con successo la tecnica dello “skip reentry”, la sezione SA della Sojuz avrebbe smaltito la velocità in eccesso derivata dal rientro da una traiettoria cislunare, atterrando dolcemente nelle pianure del Kazakistan.

Nota: la traiettoria di rientro libero è quella che fa fare un percorso ad otto nel sistema Terra-Luna. Per questo motivo non ci sarebbe stato bisogno di frenare la Sojuz per entrare in orbita lunare, manovra utile solo in caso di sbarco.

La Sojuz-LOK

Ma nel 1969, dopo almeno altri due voli in orbita lunare, il grande balzo era pronto.

Immaginiamoci, per un attimo, nella sezione SA della Sojuz LOK nella rampa di lancio. I due sediolini sono occupati dal comandante Alexei Leonov e dall’ingegnere di volo Oleg Makarov. Il lanciatore UR500 con il modulo LK ed il Blocco G è già, con successo, in orbita.  E’il 9 aprile. La data è scelta con cura per far combaciare lo sbarco con il 12, ricorrenza del volo di Gagarin. L’UR500 si stacca dalla rampa di Baikonur. Ci vogliono sei ore per raggiungere l’orbita di parcheggio in cui si trova il resto del treno spaziale che li porterà sulla Luna. Un pensiero sarebbe potuto passare nella mente di Leonov mentre Makarov effettuava le manovre di avvicinamento ai veicoli in orbita. “Космические поезда” “treni spaziali” era un’opera di Tziolkowskji in cui si teorizzava l’impiego di veicoli pluristadio per l’esplorazione dello spazio esterno. Grazie alle visioni di questo scienziato, l’Umanità aveva volato nello spazio e loro, primi tra tutti gli esseri umani, stavano volando sulla Luna con un treno cosmico.

La Sojuz si aggancia al modulo LK per mezzo di un semplice sistema denominato “Kontakt”. Guidata dal radar del sistema IGLA, la navicella avvicina una struttura composta da cinque sonde ad un piatto forato posto sulla sommità del modulo LK. Il semplice contatto fa incastrare quattro delle cinque sonde nel perimetro esterno mentre la sonda centrale aggancia un foro al centro e, una volta che le due parti combaciano, la struttura inizia a ritrarsi finché non si crea un contatto consolidato e stabile. Non essendo presente un tunnel di comunicazione, Leonov dovrà effettuare delle passeggiate spaziali, aggrappato ad una ringhiera che corre lungo tutto il complesso Sojuz/LK, per passare da un veicolo all’altro. La prima poco dopo l’aggancio. Per verificare che tutti gli impianti di bordo della LK siano correttamente alimentati dai generatori della Sojuz (per risparmiare le batterie da usare durante la discesa e la partenza dalla Luna).

Alexei Archipovic Leonov

Oleg Grigorevic Makarov

Parliamo un attimo di questo schema di missione.

Due lanci sono necessari per portare il complesso in orbita. Non essendo disponibile un lanciatore Lunare (facciamo finta che il progetto N-1 fosse stato accantonato…), solo il lanciatore UR-500, poi conosciuto come Proton, sarebbe stato in grado di lanciare carichi così pesanti nell’orbita bassa. Compito che sappiamo, egregiamente espleterà fino ai giorni nostri con il lancio di tutte le stazioni spaziali dalla Saljut ai moduli russi della ISS. Pertanto, un primo UR-500 avrebbe portato in orbita il modulo di atterraggio LK ed il Block-G cioè il motore che darà l’impulso verso la Luna al complesso spaziale. Il secondo veicolo, formato dalla Sojuz-LOK con agganciato il Blocco D avrebbe, invece, portato in orbita i cosmonauti. Con la tecnologia dell’epoca, il collaudato lanciatore Sojuz, non sarebbe stato in grado di portare un carico così pesante nell’orbita bassa. Pertanto, ci si sarebbe dovuti affidare al pericoloso (per via dei combustibili ipergolici utilizzati) ma assai più performante Proton. Anche qui, nella mia dissertazione, sconfiniamo nella fantasia ucronica. Nella realtà, nessun volo umano in URSS prima ed in Russia poi, venne mai tentato utilizzando simili propulsori. Ci fu un tentativo, corredato con tanto di petizione a firma dei cosmonauti impegnati nel programma lunare sovietico, Leonov in testa, di trasformare il volo di Zond-5 nel primo volo circumlunare della storia. Ma né Breznev né Mishin (all’epoca capo dell’OKB-1 dopo la morte di Korolev) vollero ascoltare i loro cosmonauti.  Col senno di poi fu un errore perché Zond-5 fu un successo, ma coi se e con i ma…

Insomma, il trenino spaziale doveva compiere un Rendez-Vous in orbita ed accelerare verso il pozzo gravitazionale lunare per mezzo dei motori del Blocco-G. Lo stesso Blocco-G avrebbe provveduto alla frenata necessaria per l’inserzione nell’orbita lunare.

Un UR500 pronto al lancio con una Sojuz-LOK del programma Zond

Torniamo a Leonov che, nel frattempo, era passato nel modulo LK.

Per effettuare la passeggiata spaziale, all’epoca, i cosmonauti disponevano della tuta Jastreb Se siete miei affezionati lettori, soprattutto se avete letto il capitolo del mio libro (“Noi abbiamo usato le matite!”) dedicato alle tute spaziali, sapete di cosa parlo. La Jastreb (Astreo, identifica un tipo di Falco), è un’evoluzione della prima tuta da EVA della storia, la Berkut (Berkut vuol dire “Aquila di mare”). Proprio quella usata da Leonov nella sua storica prima passeggiata spaziale e la cui rigidità stava per costargli la vita. Fu proprio lui a suggerire le modifiche da apportare su gomiti e ginocchia per consentire al cosmonauta di poter operare nello spazio senza pericoli. La Jastreb era un po' più leggera della Berkut, aveva degli snodi su spalle gomiti e ginocchia ed invece di avere lo zaino coi sistemi di sostentamento sulle spalle, il cosmonauta portava questi apparati in una specie di valigetta. Un po' scomoda ma la Orlan, versione orbitale della tuta lunare Kretchet, era ancora in fase di sviluppo: farà il suo debutto solo nel 1977.

Il modulo LK è poco più grande dello spazio necessario al cosmonauta, in piedi e con indosso la tuta lunare Kretchet, per manovrare la navicella guardando verso l’oblò posto sotto di lui, entrare nel modulo e, cosa più importante, “cambiarsi d’abito” per passare dalla Jastreb alla Kretchet appunto. Per consentire ad un solo cosmonauta di fare tutto ciò da solo era necessario che la tuta Kretchet fosse di semplice vestibilità. E, in effetti, vi si accedeva da un grande portellone posteriore posto nello zaino. Il cosmonauta, quindi, poteva entrare ed uscire dalla tuta senza l’aiuto di nessuno.

In questa prima visita al modulo LK, non era necessario indossare la tuta lunare. Bastava semplicemente entrare, pressurizzare e controllare che tutto funzioni. In caso di anomalie, il trenino spaziale sarebbe potuto essere sganciato e la missione abortita col ritorno a terra della Sojuz-LOK.

Ma è andato tutto bene. I sistemi funzionano e Leonov, depressurizzato l’LK, si rimette in cammino verso la Sojuz, prima della TLI (Trans Lunar Injection, cioè l’accensione del Blocco-G che avrebbe accelerato il complesso di veicoli spaziali verso la Luna).

La tuta Jastreb (foto dell'autore)

Il modulo lunare LK

Zasgjeganje! Accensione!

Il Blocco-G entra in funzione. Nei tre giorni di viaggio, i cosmonauti avranno modo di effettuare esperimenti e di calibrare i sistemi di comunicazione necessari una volta in orbita attorno al nostro satellite. A questo scopo, come già anticipato nei veicoli della serie Zond, venne aggiunta un’antenna ad alto guadagno che doveva essere orientata verso la Terra. Durante la prima EVA di Leonov, uno dei suoi compiti era anche quello di controllare che questa sia stata dispiegata correttamente e che il segnale venga ricevuto correttamente. Ma abbiamo detto che andò tutto bene quindi Leonov e Makarov si concentrarono sulle loro attività di routine nello spazioso modulo sferico BO posto nella parte superiore della Sojuz.

Torniamo al profilo di missione.

Dopo una rotazione di 180°, il treno lunare effettuava una nuova accensione del Blocco-G, necessaria alla frenata utile all’inserimento orbitale. A questo punto, una volta confermata l’orbita già stabilita dai piani di volo, si sarebbe proceduto alla seconda EVA per il passaggio di Leonov nell’LK, il distacco del Blocco-G, ormai vuoto, ed il distacco dell’LK diretto alla superficie selenica.

E torniamo nei panni di Alexei Leonov che, una volta entrato dentro all’LK, aveva ripristinato la pressione interna. Si era spogliato della tuta Jastreb ed aveva indossato, non senza il ricorso a qualche contorsionismo, la Kretchet. Per risparmiare l’aria della tuta, capace di far resistere il cosmonauta fino a 10 ore sulla superficie lunare, mantenne l’LK pressurizzato durante tutta la fase di discesa ed allunaggio.

Datemi un comando manuale e vi atterrerò su qualsiasi stella” è una frase dello stesso Leonov. In realtà la manovra di distacco dell’LK con la Sojuz avvenne in maniera automatica, così come la discesa e l’allunaggio. Dei radar e dei sistemi posti sui lati del modulo gestivano il sentiero elettronico necessario al corretto allunaggio. Ma Leonov era comunque in grado di intervenire in ogni momento con i comandi manuali. In piedi davanti al pannello degli strumenti e davanti al grande oblò circolare posto sotto di lui, controllava ogni fase dell’allunaggio comunicando con Makarov ogni dato secondo la checklist prestabilita.

Il pannello comandi dell'LK

È il 12 aprile 1969. Otto anni dopo il volo di Gagarin, un altro traguardo era stato raggiunto dalla cosmonautica sovietica.

Negli ultimi metri prima dell’allunaggio, con le sonde di prossimità che già sfioravano la polvere lunare, stretto ai comandi manuali pronto ad innescare la manovra di rientro, Leonov pensava alla solennità del momento. Pochi al mondo potevano vantarsi di essere stati due volte i primi. Oggi Alexei Archipovic Leonov, primo uomo ad effettuare una passeggiata spaziale, sarebbe diventato il primo essere umano a camminare sulla superficie lunare. Per essere il figlio di un contadino depredato di ogni suo bene perché accusato di attività antirivoluzionaria, un balzo davvero da gigante. Il riscatto di una vita.

Jest’ Kontakt! Segnale di contatto avvenuto!

Sono le 9:05 ora di Mosca. Esattamente otto anni dopo Gagarin, la Tass manda in onda il suo comunicato:

Oggi, 12 aprile 1969, alle ore 9:05 ora di Mosca, il veicolo lunare Orjol è atterrato con successo, per la prima volta nella storia dell’Umanità, all’interno del Cratere Copernico, sulla Luna. A bordo il Colonnello Alexei Archipovic Leonov sta bene ed è pronto per uscire sulla superficie. Ci colleghiamo in diretta televisiva con Base Copernico, per trasmettere le immagini, ritrasmesse dal Maggiore Oleg Grigorevic Makarov in orbita sulla Sojuz-LOK, dei primi passi di un essere umano su di un altro corpo celeste!”

Orjol, Aquila, era il nome che sarebbe potuto essere stato assegnato al modulo LK. Coincidenze? Beh, siccome la parte ucronica è frutto della mia fantasia, perché non usare una sottile ironia… In fondo sempre di un’aquila si è trattato nello sbarco vero, no?

L’LK è piuttosto simile al LEM americano, anche se decisamente più piccolo perché in grado di contenere (abbastanza a malapena) un solo cosmonauta già vestito della tuta lunare. Un pochino più alto per via delle zampe di generose dimensioni (i progettisti dell’industria di stato Lavockhin hanno pensato a zampe in grado di assorbire anche allunaggi “alla russa”), a differenza del suo collega americano aveva il sistema di allunaggio già completamente dispiegato sin dal lancio. Una lunga scaletta avrebbe portato il cosmonauta sulla superficie.

Alexei Leonov è sulla LUNA!

Cratere Copernico.

Alexei Leonov apre il portello dell’LK ed inizia a scendere la scaletta osservato dalle telecamere piazzate sopra il portellone ed alla base della scaletta. Tutto il mondo, in diretta TV, sta seguendo questi momenti. Un’inquadratura dalla base della scaletta mostra il piede di Leonov scavalcare l’ultimo piolo, poi uno sbuffo di polvere.

“Ура!” Urrah! È la prima parola che Leonov dice

Cambio di inquadratura. Telecamera in alto sopra il portellone. Un uomo è in piedi sulla superficie lunare. Solleva le braccia ed alza lo sguardo al cielo. Il sole illumina lo schermo dorato del casco. Alexei Archipovic Leonov, figlio di un contadino, pittore in tuta spaziale, sotto il suo casco ride e la sua risata echeggia nello spazio tra la Luna e la Terra viaggiando nelle onde elettromagnetiche del segnale TV.

La frase storica non la sapremo mai, potrei inventarmene una, ma questo segreto Leonov se l’è portato nella tomba. Di certo ce l’aveva già pronta; lui stesso l’ha fatto capire più volte. Quello che conta è che, in questo racconto fantastico, un essere umano ha posto per la prima volta il suo piede sulla Luna.

La tuta Kretchet (in russo vuol dire Girifalco), è molto simile all’attuale Orlan, usata sulla ISS. E, difatti, la Orlan è un’evoluzione semplificata dello scafandro lunare. Consente la permanenza del cosmonauta per 10 ore, pesa 110 kg. Si indossa entrandovi da uno sportello incernierato sotto lo zaino che contiene tutti i sistemi di sostentamento. Un cosmonauta è quindi in grado di eseguire l’operazione da solo, cosa che, durante la missione lunare, dovrà eseguire almeno due volte. Ha una singolare struttura circolare intorno al torso. Questa specie di hula-hoop sarebbe servita al cosmonauta per rialzarsi da solo in caso di caduta, semplicemente facendosi rotolare su sé stesso.

Nel primo progetto di missione lunare era previsto che, in caso di emergenza, il cosmonauta potesse dirigersi verso uno dei semoventi Lunokhod lanciati in precedenza, per trovare cibo, acqua ed aria per rifornirsi in attesa dei soccorsi. Tale possibilità, che alimenterà la leggenda del fantomatico Nano del KGB, mandato in missione suicida sulla Luna a bordo, appunto, di un Lunokhod, venne poi scartata. Dopo la prima missione lunare, quella di Leonov, sarebbe stato lanciato un LK di soccorso nella settimana precedente al lancio della missione con equipaggio. Allunato nei pressi del punto di allunaggio della missione con i cosmonauti, sarebbe servito da veicolo di emergenza nell’occorrenza che il motore dell’LK non si riuscisse ad accendere per l’ascensione verso l’orbita.

Leonov procede a saltelli sulla superficie lunare. Da una tasca sul davanti della Kretchet, tirò fuori un cilindro contenente una bandiera dell’Unione sovietica fissata ad un’asta telescopica. Si diresse verso un piccolo mucchio di rocce a qualche decina di metri dall’LK, giusto lo spazio necessario ad evitare che il getto dei motori di ascensione la potesse strappare via. Estrasse l’asta e la piantò nella polvere di regolite. Svolse la bandiera e si allontanò qualche metro mettendosi sull’attenti e salutando la sua bandiera mentre la TV di stato mandava in onda l’inno delle Repubbliche socialiste sovietiche.

Per la prima missione era prevista una breve permanenza sul suolo lunare. Poche ore in cui Leonov, oltre a svolgere la cerimonia della bandiera, avrebbe raccolto qualche piccolo campione di rocce lunari ed effettuato molte foto dell’ambiente circostanze. Poi, rientrato sull’LK, avrebbe impostato il computer analogico di bordo sulla sequenza di lancio coordinandosi coi dati orbitali di Makarov che lo stava aspettando solo intorno alla Luna.

Oleg Makarov, in quelle ore, fu l’uomo più solo del sistema solare. In orbita intorno alla Luna aveva l’ingrato compito di accendere il motore del Blocco-D e dirigersi verso la Terra in caso di avaria all’LK o di incidente a Leonov sulla superficie lunare. Il computer di bordo della Sojuz era impostato verso la traiettoria di rientro. Il cosmonauta a bordo teneva un dito pronto sul pulsante di attivazione della procedura che, invece, non avrebbe mai voluto eseguire.

Ad ogni passaggio sopra il cratere Copernico, riceveva i dati dall’LK e dalla tuta di Leonov, oltre che le comunicazioni in fonia del suo collega. Durante l’ultimo, Makarov e Leonov si erano salutati con un “ci vediamo tra poco”. Il segnale che il motore di ascensione dell’LK si era acceso correttamente, lo fece rilassare mentre la Sojuz entrava nel cono d’ombra. Quando sarebbe riemerso dall’orizzonte lunare avrebbe avuto l’LK nel suo campo visivo: un piccolo puntino in rapido avvicinamento.

Affidati al sistema di avvicinamento automatico IGLA, i due cosmonauti attendevano l’attracco dentro i rispettivi abitacoli, pronti ad attivare la procedura manuale.

Il sistema di attracco scelto per la missione lunare era chiamato, come ho detto all’inizio, Kontakt. Studiato per semplificare al massimo un’eventuale attracco manuale. Si era pensato, infatti, che un cosmonauta stanco e stressato dalla permanenza, solitaria, sulla superficie lunare, avrebbe potuto avere un cedimento fisico nell’effettuare una manovra complessa.

La tuta lunare Kretchet (foto dell'autore)

Tutto è andato per il meglio.

Leonov, dopo l’aggancio, era uscito all’esterno dell’LK con la tuta Jastreb. In una valigetta c’erano le rocce lunari raccolte. Oleg Makarov, dall’altra parte del corrimano che passa tra le due navi spaziali, attendeva di raccogliere i preziosi campioni che Leonov gli stava mandando attraverso una rudimentale teleferica. Se fosse successo qualcosa a Leonov durante il trasbordo, i campioni sarebbero comunque arrivati sulla Terra.

I due cosmonauti, entrambi a bordo della Sojuz., sganciarono l’LK, attivando il Blocco-D per la traiettoria di rientro.

Tre giorni dopo, il Blocco-D, con il carburante avanzato dalla spinta Translunare, fa rallentare la Sojuz per entrare in orbita terrestre. La manovra è necessaria ma non indispensabile. In caso di malfunzionamento, la Sojuz sarebbe comunque in grado di rallentare la sua velocità di ingresso coi suoi motori per consentire un rientro nell’atmosfera per mezzo della tecnica dello Skip-reentry. Si tratta di una manovra già testata dalle Zond. In pratica, come gettando un sasso nello stagno, viene fatta rimbalzare la navicella sugli strati alti dell’atmosfera fino a rallentarla alla velocità alla quale lo scudo termico della Sojuz avrebbe resistito al caldo abbraccio del nostro viluppo atmosferico.

Ma nella finzione del mio racconto, la missione di Makarov e Leonov andò da manuale. Il Blocco-D ha funzionato a dovere fino all’ultima goccia del suo propellente immettendo in un’orbita bassa la Sojuz, venendo poi sganciato con somma gratitudine dell’equipaggio.

Il rientro, quindi, avvenne come per tutte le Sojuz: frenata utilizzando i suoi motori, sganciamento delle sezioni BO e PAO ed ingresso nell’atmosfera. Atterraggio, in diretta TV, il 15 aprile 1969 nelle steppe del Kazakistan.

Luci in sala e fine del racconto.

Piaciuto? Beh, senz’altro un profilo di missione inusuale. Alexei Leonov ne sarebbe contento, penso…

Quello ufficiale che prevedeva l’utilizzo del lanciatore N-1 sarebbe avvenuto con un unico lancio, così come avvenne, nella realtà, per le missioni Apollo. Tutto il complesso dei blocchi G ed D era agganciato sin dal lancio riducendo al minimo le attività da compiere nello spazio da parte dei cosmonauti.

Ma, prima di salutarvi dopo questa lunga narrazione, vorrei parlarvi di un progetto Russo-Europeo che avrebbe potuto portare un cosmonauta ed un astronauta dell’ESA in orbita intorno alla luna entro i primi 20 anni del XXI secolo utilizzando la tecnologia attuale. Si tratta dell’ACTS Advanced Crew Transportation System cioè sistema avanzato di trasporto con equipaggio. Nella narrazione ucronica che avete letto, mi sono ispirato a questo profilo di missione pratico ed efficace.

Nato per ampliare l’operatività della Sojuz in attesa della sua sostituzione, avrebbe consentito ad una Sojuz, lanciata da un Sojuz 2.1b, modificata con una sezione BO più grande e dotata di un motore aggiuntivo Fregat, già ampiamente in uso per le sonde interplanetarie ed i satelliti geostazionari, di agganciarsi ad un Blocco-G dotato di sezione pressurizzata, precedentemente lanciato con un Proton e di compiere una traiettoria cislunare con inserimento nell’orbita del nostro satellite. Il modulo Fregat, poi, avrebbe accelerato la Sojuz verso la terra con il rientro della sezione SA per mezzo della tecnica dello Skip-reentry.

Tecnologia già in uso, ampiamente collaudata che sarebbe stata pronta al lancio in pochi mesi.

Perché non si fece?

Motivi economici e geopolitici, direi io; peccato, sarebbe stata un’occasione unica.

Ma, coi se e coi ma…

Beh, ve l’ho già detto all’inizio di questa lunga storia che, spero, vi abbia divertito.

Il progetto Sojuz/ACTS (dal sito: www.russianspaceweb.com)

La Sojuz ACTS si aggancia con il Blocco-G (dal sito www.russianspaceweb.com)

Alexei Leonov, che sulla Luna ci voleva andare, e Neil Armstrong che fu davvero il primo...

Leonov e Makarov primi sulla Luna! Ovviamente non andò così, ma...

Piccola nota a margine:

Molti troveranno similitudini con quanto raccontato nei primi episodi della fortunata serie TV “For all Mankind”. Vero, solo in parte. In questa serie, come per esempio nell’ottimo libro “Città delle Stelle” di Jed Mercurio, si racconta il viaggio per mezzo del profilo ufficiale: quello con un solo lancio con l’N-1. Invece, è proprio la possibilità, ben più concreta ed a portata di mano anche oggi, di effettuare il volo lunare con l’impiego di due (o tre) lanci di Proton, che mi ha stuzzicato la fantasia.

Articolo pubblicato sulla pagina Facebook "Le storie di Kosmonautika" il 18/08/2022
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