Chernokhod

i rover lunari che ripulirono la centrale di Chernobyl

Da quando mi dedico a questo Blog, l’ho già scritto a proposito dell’incredibile storia della Sojuz-23, vengo in contatto con persone che mi raccontano delle storie. E queste storie, come le ciliegie, ne tirano altre.

È il caso della storia di oggi, letta per caso nella pagina di Francesca Dani, Blogger e fotografa appassionata di archeologia industriale. Nel suo blog, tantissimi articoli dedicati alla tragedia di Chernobyl, la centrale nucleare Ucraina il cui reattore, esplodendo il 26/4/1986, fece precipitare, scusate il gioco di parole, tutta l’Europa nell’incubo del fallout radioattivo.

Tutto inizia il 17/11/1970. Quel giorno, nel Mare Imbrium (Mare delle Piogge) del nostro satellite naturale, la Luna, portato dalla sonda Luna-17, sbarca il primo Rover semovente della storia: il Lunokhod-1 (il passeggiatore lunare). Era una specie di Samovar (un tipico pentolone che si usa in Russia e nei paesi dell’Est Europa per fare il tè nelle grandi tavolate), su ruote. Era telecomandato da terra, un pò come un Drone Ante litteram ed era dotato di un singolare cappello che, aprendosi, scopriva i suoi pannelli solari. Aveva delle telecamere sulla parte frontale ed, in questo modo, l'operatore era in grado, da un centro di controllo situato a Sinferopol, di controllare per mezzo di due Joystick, proprio come un drone, appunto, il semovente lunare che, ubbidendo docilmente ai suoi comandi, funzionò per ben 11 giorni lunari (quasi un anno terrestre) sulla superficie selenica inviando una gran quantità di foto e di dati a terra.

Il Lunokhod 1 

Il suo fratello Lunakhod-2 più avanzato tecnologicamente, arrivò dentro il cratere Le Monnier a bordo della sonda Luna-21. Fu, però, più sfortunato poiché durante la notte lunare, il suo cappello-pannello solare che si era riempito di polvere attraversando un avvallamento, nel richiudersi fece ricadere questi detriti all’interno del rover. Alla successiva alba lunare, il coperchio, aprendosi, espose il Lunokhod alle temperature estreme provocate dalla luce solare non schermata dall’atmosfera. I radiatori del Lunokhod, ostruiti dalla polvere che era caduta dentro quando il coperchio si richiuse, non riuscirono a smaltire il calore dei circuiti che vennero letteralmente cotti all’interno del Samovar. Invece del tè, il giorno lunare fece una…Frittata. Ed il Lunokhod-2 restò lì per sempre ammutolito ed immobile.  

Ne sarebbe dovuto partire un terzo, ma la rinuncia allo sbarco umano da parte dei sovietici, fece chiudere anche il programma Lunokhod. Oggi questo terzo rover riposa nel Museo della Cosmonautica di Mosca.

Ma altri prototipi erano conservati presso l’NPO Lavoichin, dove erano stati costruiti.

Ed a questo punto la storia dei Lunokhod, di cui, come sapete, ho già parlato a proposito del programma Luna, si intreccia con la tragedia di Chernobyl.

Premetto: io non ho visto la serie Tv omonima, ma ricordo i fatti perché nel 1986 avevo 21 anni, fresco di congedo da ufficiale di complemento dell’Artiglieria Controaerei e quindi fresco anche di tecniche di Difesa NBC (Nucleare, Batteriologica e Chimica).
Aleksandr Kemurdžian è stato un ingegnere armeno che ha lavorato, sin dal 1963, alla progettazione dei rover semoventi destinati all’esplorazione della Luna, di Marte e di Phobos.

Al suo genio si devono, infatti, il singolare rover marziano Prop-M, imbarcato sulle due sfortunate sonde Mars-2 e Mars-3, di cui ho parlato nell’articolo dedicato alla maledizione di Marte cioè di come l’Urss, sebbene sia stata la prima a far atterrare un oggetto sul pianeta rosso, di fatto non può considerarsi l’atterraggio del 1971 un successo poiché Mars-3 trasmise poche righe indistinte prima di ammutolirsi per sempre. Ma al genio di Kemurdžian si deve anche un inedito rover a forma di uovo, il Prop-F che, se le sonde Phobos-1 e 2 non avessero fallito la missione, avrebbe camminato sul satellite di Marte, Phobos appunto, balzellon-balzelloni.  Che c’entra con Chernobyl? C’entra eccome…

Aleksandr Kemurdžian  (1921-2003)

Il Prop-M, che era imbarcato sulle sonde Mars-2 e Mars-3

Il Prop-F, il lander destinato a Phobos imbarcato sulle sfortunate sonde Phobos-1 e 2 

All’alba della tragedia si rese necessario l’utilizzo di un semovente telecomandato in grado di poter essere impiegato in presenza di forti radiazioni indotte. Nell’Esercito, e qui mi vengono in aiuto le competenze da Ufficiale di Complemento dell’epoca, si parla di NIGA, Neutron Induced Gamma Activity, cioè attività gamma indotta da neutroni. Si tratta della fortissima carica radioattiva che viene acquisita dai materiali che vengono in contatto da una potente emissione di neutroni. La causa, ad esempio, del fallout radioattivo cioè la ricaduta di materiale sollevato nell’atmosfera dall’esplosione che arriva al suolo con una poderosa carica radioattiva, appunto. in questo caso una gran massa di detriti scagliati dall’esplosione del nocciolo del reattore n°4 sul tetto del reattore n.3.

Come detto, questi detriti, a causa dell’effetto NIGA, erano fortemente radioattivi e dovevano essere rimossi dal tetto del reattore n.3, cercando di riversarli nel cratere del reattore n.4 che sarebbe stato poi messo in sicurezza con un sarcofago di cemento armato.

Ma chi sarebbe andato a spazzare questo tetto in presenza di radiazioni così potenti tanto da superare migliaia di volte la dose massima consentita per un essere umano?

Ovviamente dei Robot

In un primo momento vennero forniti dalla Germania, dei semoventi cingolati, chiamati MF. Furono, però, un fallimento: le radiazioni erano così forti da accecare le loro telecamere e da friggere i loro circuiti di controllo.

Il reattore n 4 di Chernobyl 

Il robot tedesco MF-1 

Ma, sappiamo bene, sulla superficie lunare, la dose di radiazioni solari, non schermate da alcuna atmosfera e da nessun campo magnetico (a parte la coda del campo magnetico terrestre), arriva a valori simili a quelli che si potevano registrare sul tetto del reattore n.3. E, quindi, cosa ci potrebbe essere di meglio di un robot derivato da quelli che sulla Luna c’erano andati davvero?

Kemurdžian si stava, forse, godendo una meritata pensione nel 1986, quando venne chiamato dalle autorità sovietiche per un incarico speciale: ripescare i prototipi del Lunokhod ancora esistenti e trasformarli in… Chernokhod!

E fu questo che Kemurdžian realizzò insieme ad altri membri della sua squadra. Alla struttura a  sei ruote del Lunokhod venne saldato un telaio che consentisse al rover di essere issato da un elicottero per essere trasportato, a fine giornata, in un sito a 20 km dalla centrale nucleare per essere, ogni giorno, decontaminato. Vennero mantenute le camere frontali del Lunokhod, solo spostate dentro la struttura a telaio. Sarebbero stati gli occhi che avrebbero visto, cito letteralmente l’articolo di Francesca Dani, ciò che gli uomini non avrebbero mai dovuto vedere.

Motori, ruote, telecamere e sistemi di guida che ben conoscevano il silenzioso, invisibile, fuoco radioattivo per averlo già domato sulla Luna.

Erano i Robot STR-1, i Chernokhod, come li chiamo io.

Tecnici al lavoro sul "Chernokhod": l'STR-1 

Ma la storia che ho scoperto oggi ed alla quale vi rimando per approfondimenti nel link in calce a questo articolo, è una storia di Cuori ed Acciaio.

Acciaio degli eroici STR-1, Cuori di Kemurdžian, che in prima persona volle venire a coordinare le operazioni, ma, soprattutto, di un gruppo di radioamatori che si occuparono di modificare le apparecchiature ricetrasmittenti dei Lunokhod per potere comandare, da remoto, i Chernokhod (chiamiamoli così…).

Conosciamo le loro sigle identificative: 

UY5XE, George Chilyants,

RB5WL, Leonid Kharchenko - morto nel 2014,

UB5YDJ, Ivan Milovanov,

UB5SN, Boris Norshtein - morto nel 2014,

UB4JG, Yuri Moisejev - morto nel 2016. 

Ogni giorno, due squadre si alternavano ai comandi, dalle 8 alle 22. Venivano decontaminate e poi si ricominciava. Fino al completo sgombero del tetto del reattore n.3. Insomma i robot venuti dalla luna erano riusciti a raggiungere lo scopo ed a completare la missione sulla Terra!

Aleksandr Kemurdžian rimase vittima, per essersi esposto lui stesso alle radiazioni, delle conseguenze del disastro. Morì nel 2003 riuscendo ad avere la soddisfazione di presenziare alle celebrazioni del trentennale della sua creatura, quel Lunokhod che sepper tornare dalla Luna, per così dire, scendendo sulla Terra ad aiutare le donne e gli uomini impegnati nel domare il fuoco distruttivo del reattore esploso.

Cuori ed acciaio, insieme.


Link all’articolo di Francesca Dani che mi ha dato ispirazione per raccontare questa storia:

https://www.francescadani.com/articoli/chernobyl/chernobyl-robots/?fbclid=IwAR1-BMMbagVIMMCjsRWN5Q9_X9hFZCSotviaLd97uXOkevXnNj6B-D7M9H8

Gli eroi dei Chernokhod 

L'STR-1 "Chernokhod" all'opera

ARTICOLO PUBBLICATO SULLA PAGINA FACEBOOK "LE STORIE DI KOSMONAUTIKA" IL  18/11/2022
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