Di titoloni sui giornali, online e non e sul web, ce ne sono stati tantissimi… Dal carnascialesco (è il caso di dirlo perché è uscito proprio il giorno di Martedì grasso) “Cosmonauti ed astronauti intrappolati sulla stazione spaziale: è in arrivo la navicella di soccorso” ad altri un po' più coi piedi per terra. Il lancio della Sojuz MS-23, senza equipaggio, destinata a rimpiazzare la danneggiata MS-22 ed a riportare a terra, probabilmente a settembre 2023, i due cosmonauti Dmitri Petelin e Sergei Prokofiev oltre all’astronauta della Nasa Francisco Rubio, è senza dubbio un evento clou di questo 2023 che per le missioni spaziali si è già annunciato come un anno di grande importanza.
L’incidente del 15 dicembre 2022, in cui un’oggetto, probabilmente un micrometeorite ha procurato un foro di 0,8 mm sul rivestimento esterno del modulo di servizio della Sojuz MS-22, lo conosciamo bene. Ha sollevato il problema, finora passato un po' troppo sottogamba della necessità di poter contare di una scialuppa di salvataggio per l’equipaggio a bordo della stazione spaziale internazionale nel caso in cui si renda necessaria una sua evacuazione d’emergenza.
I miei due o tre lettori sanno che ogni navicella con equipaggio, tra le Sojuz e le Dragon ed anche, tra poco, le CST-100, hanno le proprie tute semipressurizzate per il lancio ed il rientro, i loro sistemi di sostentamento vitale da interfacciare con le stesse tute ed i loro sediolini per l’equipaggio dei quali, quelli delle Sojuz ed anche delle CST-100, hanno particolari funzioni (chi mi segue lo sa bene perché vi ho dedicato un articolo al riguardo) di assorbimento dell’urto al momento dell’atterraggio che, per queste due navicelle, avviene sulla terraferma.
In soldoni: chi parte con la Dragon ha la tuta su misura per quella e non si può adattare a quelle della Sojuz (le Sokol per capirsi), né tantomeno utilizzare un sediolino russo per il rientro poiché anch’esso viene realizzato su misura per il cosmonauta/astronauta che lo userà. E questo vale anche nel caso contrario. È stato proprio il caso di Francisco Rubio che, partito con la Sojuz MS-22, per il rientro deve usare la sua tuta Sokol che è fatta su misura per il suo sediolino Kazbekh-UM della Sojuz, appunto.
Quando si è verificato l’incidente della MS-22, il problema da risolvere era evidente: Come torniamo a terra se la Sojuz, con l’impianto di controllo termico SOTR danneggiato, non garantisce la sicurezza necessaria alla sopravvivenza di tutti e tre i suoi occupanti in questa fase così delicata come il rientro nell’atmosfera? Le ipotesi sul tavolo sono state tre:
la prima: ce la rischiamo.
Il modulo PAO, il modulo di servizio danneggiato, viene espulso prima dell’ingresso nell’atmosfera e nel modulo SA, quello dove i cosmonauti rientrano, il sistema SOTR viene sigillato. In quei 20 minuti di terrore se il sistema danneggiato non fa surriscaldare eccessivamente i circuiti, c’è la possibilità che poi tutta la parte elettromeccanica che serve alla sezione SA durante la discesa nell’atmosfera non crei problemi e che, quindi, la Sojuz arrivi a terra sana e salva. In teoria possibile, ma il rischio è veramente inaccettabile. Tre persone sviluppano un consumo energetico elevato, soprattutto durante l’attraversamento degli strati alti dell’atmosfera dove lo scafo supera i 1300°. I russi hanno già perso Komarov nel 1967 per un problema elettromeccanico: non si aprì il paracadute principale per un guasto ad uno dei pannelli solari che non ha fatto attivare una serie di circuiti tra cui quello che sghiacciava i bulloni esplosivi che avrebbero dovuto far aprire il paracadute. Nessuno vorrebbe vedere un’altra morte in diretta (Komarov si schiantò al suolo a velocità folle e, purtroppo, di questo dramma esiste il video in rete). Meno che mai, specialmente in questi tempi difficili, tre morti di cui due russi ed un americano.
La seconda: tutti sulla Dragon
La Crew Dragon può trasportare, rinunciando allo spazio destinato al carico, fino a sette persone. È la Nasa che per motivi di sicurezza, si limita a far volare solo quattro astronauti con la navicella di SpaceX. Si sarebbe potuto ricavare lo spazio per i tre naufraghi, ma sorgeva il problema delle tute e dei relativi sediolini. Bisogna dire che, per quanto distruttivi e malefici siano gli uomini sulla terra, diventino collaborativi e costruttivi nello spazio. I due team, quello russo e quello americano, messi al lavoro sul problema, hanno escogitato una procedura nel perfetto stile Apollo-13: Prendiamo i sediolini ed installiamoli sulla Dragon! Dovendo soltanto ammarare, il Kazbekh-UM sarebbe potuto essere montato privo del sistema di assorbimento d’urto. Un accrocco, certo, ma che può funzionare. Purtroppo, sette persone a bordo con in più il peso dei sediolini russi ed una disposizione dei pesi non ottimizzata, rischiava di far assumere alla Dragon un assetto anomalo al rientro. Ma l’idea del modello Frankenstein in sé era buona e non verrà buttata.
La terza: mandiamo una Sojuz con un solo cosmonauta
La Sojuz MS-23 era già a Baikonur per l’allestimento finale in vista del suo lancio, programmato per metà marzo, che avrebbe dovuto portare un altro equipaggio misto russo-americano a dare il cambio ai tre della MS-22. Dovete sapere che di solito ci sono tre navicelle in vari stadi di allestimento presso il cosmodromo: di norma due Progress ed una Sojuz. Vengono prodotte in grande serie e, per fortuna, questa caratteristica fa si che tra un lancio ed un altro non passi mai molto tempo. Fortuna appunto ha voluto che la MS-23 fosse pressoché pronta e quindi anticiparne il lancio non sarebbe stato un problema. La Sojuz, diversamente dalla Progress, se può effettuare tutta la manovra dal lancio all’aggancio in automatico, non può essere pilotata da remoto con il sistema TORU da parte dei cosmonauti a bordo della stazione spaziale. Se l’aggancio automatico non riesce, si deve parcheggiare in un’orbita vicina alla stazione, spostare una delle navicelle agganciate agli altri nodi di attracco della sezione russa della ISS e tentare un nuovo avvicinamento ed aggancio automatico in un bacino di attracco diverso. Per informazioni chiedere a Luca Parmitano ed al Robot Fjodor: la Sojuz MS-14, il 22/8/2019 con a bordo il solo cosmonauta di metallo (Fjodor appunto) non è riuscita nell’aggancio automatico al modulo Poisk. Il nostro Luca Parmitano, insieme al collega Alexander Skvortsov, hanno fatto da parcheggiatori spaziali spostando la loro Sojuz MS-13 dal modulo Zvezda al Poisk, lasciando il vano di attracco dello Zvezda libero per il secondo tentativo automatico del robocosmonauta. Quindi mandare la MS-23 con uno solo dei tre componenti dell’equipaggio originale, sarebbe una soluzione che avrebbe messo al riparo da ogni problema: in caso di mancato aggancio automatico il cosmonauta da solo può fare tutto (chiedere ad Anton Shkaplerov durante la missione MS-19 quando portò in orbita la troupe del film “La sfida”). Il problema però è che si sarebbero cambiati tre membri dell’equipaggio con uno, per giunta non in grado di rientrare in caso di emergenza perché avrebbe dovuto attendere l’arrivo della MS-24 con gli altri due suoi compagni di missione restati a terra. Insomma, la coperta è troppo corta.
Mettiamo in moto le rotelle del cervello: La Sojuz può volare da sola? Sì, lo ha già fatto tante volte, l’ultima proprio nel 2019 con il simpatico Fjodor. Se succede qualcosa all’attracco, stavolta, non si deve uscire a fare i posteggiatori dello spazio: i moli di attracco sono abbastanza liberi, c’è solo la Progress MS-22 ormeggiata nel Nauka. L’equipaggio della MS-23 può attendere il lancio della 24 così da dare il cambio ai tre sulla ISS che, però dovranno prolungare di altri sei mesi la loro missione. Poco male: stabiliranno un nuovo record di permanenza (Francisco Rubio sarà l’americano con più giorni passati consecutivamente nello spazio). E quindi, ecco la soluzione.
Vi ho detto che il modello Frankenstein di montare i sediolini della Sojuz sulla Dragon aveva il suo perché? Sì, ed ecco questo perché. Nell’attesa del lancio della MS-23 senza equipaggio, se fosse successa un’emergenza, come si sarebbe potuto evacuare tutto il personale? Spostando il solo Francisco Rubio sulla Dragon e facendo ritornare i due cosmonauti sulla MS-22 danneggiata.
Direte voi: ma come? Beh, il rischio è stato calcolato. Due occupanti impiegano molta meno energia di tre. Nei venti minuti di terrore le possibilità che la temperatura salga alle stelle dentro la Sojuz e nei circuiti sono state valutate entro limiti accettabili. Quindi, extrema ratio il rischio si sarebbe potuto correre.
Se non vi siete addormentati durante questa lunga dissertazione, ora vi farete la domanda che mi faccio anche io: perché non si è pensato subito ad un sistema di evacuazione di emergenza della stazione?
In realtà ci si è pensato eccome.
In principio c’era lo Shuttle…
Mai lodata a sufficienza, la Navetta spaziale poteva portare otto persone, atterrava come un aliante, quindi gli occupanti non dovevano assorbire l’urto: insomma era il veicolo d’emergenza ideale. Avendo lo Shuttle fino al 2011, non si è pensato a sviluppare un sistema ad hoc per le emergenze.
Proviamo con una mini-navetta!
L’ESA e Roscosmos avevano iniziato a sviluppare una mininavetta, con molte componenti comuni con la Sojuz, in grado di restare agganciata permanentemente sulla ISS. In caso di emergenza, avrebbe garantito il rientro a tutti. Si chiamava Kliper ed era un progetto molto valido. Purtroppo, la politica ci si è messa di mezzo ed è stato ufficialmente sospeso il che vuol dire chiuso.
Quindi, dal 2011 ad oggi, alla fine ci si è sempre affidati alla buona sorte sperando che non succeda mai nulla. Purtroppo, i fatti sia della MS-22 che l’analogo problema occorso alla Progress MS-21 (certo che, ultimamente, le micrometeoriti hanno una mira da cecchino! Due colpi andati a segno nello stesso punto!), ripropongono l’esigenza di trovare un sistema di soccorso universale.
Oramai è deciso che fino al 2029-2030 la ISS sarà operativa con tutte le nazioni partecipanti, Russia compresa: contrariamente alle strombazzate di Rogozin, Roscosmos ha recentissimamente deliberato di mantenere la sua partecipazione fino alla fine, cioè 2029 o 2030 a seconda del grado di usura dei moduli della stazione. Nel frattempo, ci si deve pensare seriamente al problema del soccorso. Abbiamo visto che il pericolo è sempre in agguato.
Concludo con una chicca storica.
La cara, vecchia, mia quasi coetanea Sojuz, è stata utilizzata come scialuppa di salvataggio della stazione spaziale MIR.
Difatti, durante lo sviluppo del programma Buran, la navetta sovietica di cui ho ampiamente parlato, si è pensato alla Sojuz come veicolo di emergenza per il trasbordo di eventuali naufraghi della Buran. Bastò dotare una Sojuz di un sistema di aggancio compatibile con la Buran. Questa Soyuz sarebbe stata a terra in uno stato di prontezza e, se necessario, lanciarsi con un astronauta a bordo per prelevare gli astronauti dal Buran e consegnarli al Mir o sulla Terra.
La Soyuz TM-16 è stata la prima e finora l'unica navicella Soyuz dotata di un sistema di aggancio APAS-89. Questo sistema, di cui ho parlato sia nel libro che in un articolo a parte, ha la particolarità di essere non androgino: permette infatti a qualsiasi nave di svolgere un ruolo sia attivo che passivo durante l'attracco. Dall’APAS-89 è derivato, per inciso, l’International Docking System in uso dagli americani e dai cinesi.
La Soyuz TM-16 è stata lanciata il 24/1/1993 ed al decollo ha portato sulla Mir i cosmonauti Gennadi Manakov e Aleksandr Poleshuk agganciandosi al modulo Kristall. Al rientro da due, sono tornati in tre, dando un passaggio allo spazionauta francese Jean-Pierre Haigneré.
Successivamente il sistema APAS-89 è stato utilizzato nel programma Mir-Shuttle, in alcuni moduli della ISS e nel sistema di attracco Shuttle per l'attracco con la ISS. L’idea era, come visto, valida. Ma con un equipaggio di sei-sette persone costantemente in orbita, serve qualcosa di più grande di una Sojuz.
Riprendere in mano il Kliper? Sarebbe fantastico, ma, vista la situazione internazionale, impraticabile per ora. Invece ho fiducia nel Dream Chaser, la mini navetta privata di Sierra Nevada che dovrebbe effettuare il suo volo inaugurale nel 2024. Secondo me può essere il veicolo adatto.
Vedremo.
Il foro nella sezione PAO della Sojuz MS-22
Ingrandimento del foro (0,8 mm) sul modulo PAO della Sojuz MS-23. Notare la corrosione operata dal liquido refrigerante.
Immagini dal vivo della fuoriuscita di liquido refrigerante dalla Sojuz MS-22
Particolare della zona del modulo PAO della Progress MS-21 dove è avvenuta la perdita di refrigerante
Il foro della Progress MS-21: Stesso punto (più o meno) della Sojuz MS-22, foro più grande (12mm) In questo caso l'uscita più rapida del refrigerante non ha prodotto segni di corrosione
Il robot FJODOR durante il suo voo con la Sojuz MS-14
La navetta Euro russa "Kliper"
La Sojuz TM-16: notare il portellone di attracco APAS-89 previsto per l'aggancio con le Buran
Particolare della Sojuz TM-16 e del suo sistema di aggancio "non androgino"
Il Dream Chaser, mini navetta privata della società Sierra Nevada Corp. che dovrebbe effettuare il volo inaugurale nel 2024
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