Contravvengo ad una mia regola di autodisciplina: non parlo di ciò che non si è realizzato (e nemmeno di quello che è in previsione di essere realizzato), per raccontare un singolare progetto che, tra il 1985 ed il 1996, ha impegnato l’OKB-1.
Si tratta della Zarya (in russo: Aurora), una particolare capsula pilotata in grado di poter essere riutilizzata fino a 50 voli: una specie di Dragon ante litteram, potreste dire voi, ma in Unione sovietica non è stato il primo caso di veicolo pilotato riutilizzabile. Se siete miei attenti lettori saprete, infatti, che anche il traghetto pesante TKS poteva essere riutilizzato nel modulo di discesa VA: uno dei suoi prototipi volò ben 4 volte (senza equipaggio).
Ma com’era fatta?
Beh, era una Sojuz tagliata a metà, per quanto riguarda la forma intendo. Sfruttava infatti le conoscenze acquisite con l’esperienza pluriennale della celebre cosmonave russa e ne manteneva la forma a campana, in grado di effettuare rientri a Mach 6 oltre a buona parte della strumentazione. Ma le similitudini finiscono qui.
Non erano presenti pannelli solari e nemmeno la caratteristica sezione abitativa BO di forma sferica posta a prua della Sojuz. Poteva portare fino ad otto persone nella massima configurazione pilotata, mentre poteva essere rimodulato lo spazio interno per adattare sia cosmonauti e carico che solo carico con una capacità di tre tonnellate di carico consegnato e di 2,5 di carico restituito nella versione cargo.
Aveva un diametro di 4,1 metri ed una lunghezza di 5. Il modulo di rientro, chiamato VA, era unito ad un modulo di servizio, chiamato NO sul tipo di quello della Sojuz. La sua particolarità, poi ripresa nel recente programma Orjiol, è quella di poter pilotare la sua discesa in situazione di rientro di emergenza. Questo la rende compatibile anche con orbite ad alta inclinazione, cosa impossibile alla Sojuz che, in caso di aborto del lancio, deve affidarsi alla balistica.
Aveva un portellone di attracco a prua basato sul sistema androgino SSPV-G4000 ma poteva essere modificato con sistemi non androgini APAS (se siete miei lettori affezionati sapete di cosa parlo, se non lo siete vi rimando al mio articolo sui sistemi di aggancio). Poteva essere riutilizzata, come detto, grazie a due caratteristiche: Lo scudo termico in materiale ad assorbimento, sul tipo di quello delle Buran (ben diverso dalle “mattonelle” dello Shuttle) ed un inedito (per l’epoca) sistema di retrorazzi frenanti a combustibile liquido completamente rifornibili e riutilizzabili. Era anche dotata di pannelli ad assorbimento d’urto sullo scafo che utilizzavano una struttura a nido d’ape già usata con successo nei lander Venera e VeGA.
Particolari, nel loro genere, i 26 motori del sistema di frenata ed atterraggio. Oltre a stabilizzare la cosmonave in senso verticale, garantivano anche la stabilità orizzontale, garantendo un vero “atterraggio morbido” ed impedendo alla navicella di ribaltarsi per effetto del residuo di momento inerziale.
Durante il periodo 1995-!996, la Zarya fu oggetto di una proposta dell’RKK Energhia insieme con la Rockwell, per il suo utilizzo come scialuppa di salvataggio per la costruenda stazione spaziale internazionale “Alpha” oggi ISS. Sarebbe stata in grado di evacuare fino ad 8 persone. Ma non se ne fece nulla: si pensò che sarebbe bastata una Sojuz TM e portare in salvo tre persone.
La Zarya sarebbe stata lanciata dal nuovo razzo Zenith, costruito nell’attuale Ucraina e dotato dei potenti motori RD-171 evoluzione degli RD-170 del mai a sufficienza glorificato Energhia.
Come detto il progetto venne abbandonato prima di poter effettuare almeno un volo di test; ma, nella miglior tradizione russa, nulla di ciò che funziona viene mai buttato via del tutto… Lo scudo riutilizzabile, i razzi chimici di atterraggio e, finanche, il lanciatore Zenith, resuscitato nell’autarchico Sojuz-5, tutto ciò riprenderà vita nella cosmonave Orjiol il cui volo inaugurale è previsto nel 2024.
Ho contravvenuto al mio codice di autodisciplina, è vero, ma mi è sembrato doveroso omaggiare l’ingegnosità di chi ha ideato questo interessante ed ancor’oggi valido, veicolo spaziale, testimonianza del fatto che moltissimo si può realizzare con quello che c’è già a disposizione.
Vista in sezione della navicella "Zarya"
1 - Veicolo spaziale riutilizzabile ; 2 tonnellate di merce trasportata ; 3 - motori di frenata ; 4 - vano di lavoro ; 5 - scudo aerodinamico ; 6- Oblò ; 7 - sensore esterno ; 8 - Sediolini ejettabili ; 9 - telecomando ; 10 - antenna sistema Kurs; 11 - scompartimento di servizio ; 12 - apparecchiature di bordo ; 13 - motori di ormeggio e orientamento ; 14 - Ammortizzatore e scudo termico ; 15 Contatore di velocità doppler ; 16 - sistema di rifornimento e sistema di propulsione ; 17 - vano pensile ; 18 - sistema di alimentazione (PSS) con generatore elettrochimico ( ECG ); 19 - radiatore scambiatore di calore
I 26 motori di discesa della Zarya in azione
La navicella di soccorso 7k-Spas proposta come scialuppa di salvataggio per la Stazione spaziale internazionale.
Visite