C’era una volta un’idea…
Vladimir Celomej, progettista capo dell’OKB-52, era l’uomo dalle intuizioni geniali ma nate nel momento sbagliato. La sua storia ho raccontato tempo fa in un articolo a cui vi rimando.
Dicevamo Celomej un bel giorno pensò che, invece di creare un lanciatore diverso per ogni esigenza, dal piccolo ICBM al veicolo destinato ad andare sulla Luna ed oltre, sarebbe stato più economico e pratico realizzare un veicolo scalabile. Da un nucleo centrale di base si sarebbe volta per volta espanso il lanciatore fino a fargli raggiungere la potenza necessaria utilizzando dei moduli standardizzati.
A questa semplice ma efficace idea diede il nome di Universal’naja Raketa il razzo universale e gli diede appunto la sigla UR.
Direte voi: “Ma il lanciatore R-7? Non poteva essere scalato anche lui per portarlo a livelli di potenza superiori?” Sì, ma fino ad un certo punto, rispondo io.
Il problema dell’R-7, chi mi segue con assiduità lo sa, è che pur essendo nato come ICBM anche lui, in realtà lo scopo bellico servì solo per far acquisire il primato all’URSS ma, all’atto pratico, per scopi militari era tutt’altro che versatile e prestazionale. Questo perché i suoi motori, che vedremo essere figli dello stesso padre, erano di concezione tradizionale. Arrivati oltre un certo punto non si sarebbero più potuti aggiungere moduli aggiuntivi. Lo stato dell’arte della famiglia R-7 lo abbiamo raggiunto oggi con il Sojuz 2-1b ma più di 8300 kg in orbita bassa non può portare.
Invece Celomej aveva un’ossessione ed era quella dei combustibili ipergolici.
Ne ho parlato molte volte, ma vale la pena fare un accenno per chi mi segue da poco.
Un razzo di tipo tradizionale usa un combustibile cioè una sostanza chimica che può bruciare, ed un comburente cioè un mezzo in cui questa combustione può svilupparsi. Per fare un esempio il combustibile può essere l’idrogeno liquido ed il comburente l’ossigeno liquido. Per avviare la combustione, accendere il razzo per dirla semplice, ci vuole un innesco, una scintilla. Un po' come l’accendigas della cucina di casa. E proprio in questo spirito quei burloni dei progettisti dell’OKB-1, realizzarono il petardo spaziale, il PZU, un vero e proprio petardo azionato elettricamente che, infilato dentro la camera di scoppio dei motori del primo stadio accende il nostro fornellone cosmico.
Ecco, i combustibili ipergolici hanno, invece, la proprietà di innescarsi in maniera estremamente dirompente al solo contatto.
A parità di peso, un motore con combustibile ipergolico ha potenza notevolmente superiore e, inoltre, imbarca combustibile e comburente che sono stivati a pressione e temperatura ambiente. Può restare, quindi, sulla rampa in attesa del lancio per un tempo molto lungo. Cosa impossibile per un razzo tradizionale poiché combustibile e comburente, liquefatti e ad altissima pressione, vengono caricati solo all’ultimo momento.
Il dominio del fuoco è il titolo di un celebre film sovietico degli anni ’70 dedicato alla vita di Korolev. Prendo a prestito questo termine per dire che ottenere il dominio del fuoco ipergolico fu un percorso lungo e costellato di fallimenti anche tragici (vedi il disastro di Nedelin), ma che ha poi portato alla creazione di un motore affidabile, potente e veramente universale: l’RD-253 parto della mente di Valentin Petrovic Glushko. Ironia della sorte lo stesso che progettò gli RD-107 che ancora oggi equipaggiano il primo ed il secondo stadio dell’R-7 e dei suoi eredi.
Il primo UR fu l’UR-100, destinato ad essere un efficace ICBM. Aveva due soli stadi. in occidente era conosciuto come SS-11 ed era il sistema ICBM più diffuso in tutta l’Unione Sovietica.
Logica conseguenza dello sviluppo dell’UR-100, fu quella di appesantirlo un pò.
Da quattro RD-253 se ne aggiunsero altri due disponendoli a corolla e nacque così l’UR-500 che compì il suo primo volo il 16/7/1965. Ben presto agli iniziali due stadi se ne aggiunse un terzo che divenne lo standard per questo lanciatore che acquisì la sigla UR-500K e K stava per… Korabl’ (navicella).
Eh sì, come successo per l’R-7, anche l’ICBM pesante UR-500 venne portato dall’impiego militare a quello civile. L’OKB-52 stava lavorando ad un suo programma lunare, l’LK-1 ed il lanciatore UR-500 rappresentava proprio il primo tassello per questo ambizioso progetto.
Su come è andata a finire e sulle cause del fallimento del programma lunare sovietico, ne ho già parlato in un articolo intitolato la luna mancata; vi rimando a questo per ulteriori approfondimenti. Torniamo al nostro UR-500 che, nel frattempo, è stato ribattezzato Proton.
Senza tediarvi troppo con lo spiegone tecnico (tra l’altro, ho fatto un lungo excursus storico del quale mi scuso…), il Proton è un lanciatore a tre stadi più stadio supplementare che varia a seconda del carico trasportato.
Al primo stadio ci sono sei motori RD-276 (evoluzione degli originali RD-253) a combustibile ipergolico, nello specifico Tetrossido di Azoto (N2O4) e Dimetilidrazina Asimmetrica (UDMH). Si tratta di motori a combustione stadiata o Ciclo chiuso di cui ho parlato in un articolo apposito. Ogni motore sviluppa una spinta di 1832 kN nel vuoto e 1671 kN al livello del mare. Moltiplicatelo per sei ed otterrete una spinta niente male, e siamo solo al primo stadio.
Al secondo stadio, separato dal primo da una griglia che consente l’accensione dei relativi motori in anticipo per consentire alle pompe degli stessi di arrivare al massimo regime al momento della separazione, ci sono tre motori RD-0210 ed un RD-0211. Si tratta anche in questo caso di motori a combustione stadiata ed a combustibile ipergolico, sempre UDMH e N2O4. La sua spinta è di 582 kN. Anche qui, moltiplichiamo per 4 ed otteniamo un valore di riguardo.
Il terzo ed ultimo stadio ha un motore RD-0212 (simile ai 210 ed al 211 del secondo stadio) con in aggiunta un motore RD-0214 per le variazioni di traiettoria. Stiamo parlando sempre di motori a combustibile ipergolico ma, mentre lo 0212 è a combustione stadiata, il piccolo 0214 ha un ciclo a generazione di gas. In buona sostanza non ricicla i gas di scarico per spingere le turbine delle pompe del combustibile.
Dalla prima versione, Proton-K si è passati, nel 2001, all’attuale versione M, capace di trasportare in orbita geostazionaria ben 6350 Kg.
Il Proton ha trasportato in orbita tutte le sonde interplanetarie sin dagli anni 70, oltre ai moduli delle varie stazioni spaziali, dalle Saljut alla Mir, fino ai moduli russi della ISS.
È veramente un lanciatore potente e versatile per il quale furono anche pensate due varianti per ampliare ancor di più il ventaglio di possibilità commerciali che questo veicolo avrebbe potuto soddisfare.
Una è la cosiddetta variante light (Proton-SL/2F); primo stadio semplificato con 4 motori invece di sei ed eliminazione del secondo stadio con retrocessione a secondo stadio dell’attuale terzo. Capacità di trasporto in orbita geostazionaria: 3-4,5 Tonnellate.
L’altra è la variante medium (Proton-L/1F); primo stadio completo e secondo stadio costituito, come per la versione SL/2F, dall’attuale terzo stadio del Proton-M. Capacità di trasporto in orbita geostazionaria: 4,5-5,5 Tonnellate.
Ma di queste due versioni, così come della prevista versione super pesante M+, non se ne è fatto più nulla. Il motivo? Costi e mancanza di quantità tali di commesse tali da giustificare lo sviluppo di lanciatori che ancora utilizzavano motori altamente tossici e pericolosi come quelli a combustibile ipergolico, sebbene affidabili e prodotti in grande serie. Perché bisogna dirlo: a fronte dei noti vantaggi di cui ho già accennato, presentano dei pericoli molto seri.
Il primo: l’estrema tossicità dei due elementi che, se inalati, sono altamente velenosi e corrosivi.
Il secondo: come conseguenza della loro proprietà ad innescarsi col semplice contatto, presentano un’estrema infiammabilità ed esplosività. Il Disastro di Nedelin, avvenuto il 24/10/1960 durante il test di un R-16 che ha causato 78 morti Ufficiali, testimonia la pericolosità appena descritta.
Il programma Angara, di cui parleremo in un altro articolo, rappresenterà l’evoluzione del concetto di lanciatore universale, con l’utilizzo di un’altra famiglia di motori, sempre a combustione stadiata: quelli derivati dai motori del Buran-Energhia: gli RD-170.
E la Luna?
Ve ne ho accennato all’inizio. L’UR-500 ebbe delle versioni con, a bordo, la Sojuz lunare, l’LK. Non quella destinata allo sbarco: non ne sarebbe stato capace con un singolo lancio, ma quella, semplificata e denominata Zond destinata al primo volo circumlunare della storia.
È il settembre 1968. Gli Stati Uniti avevano in programma la missione Apollo-8 che avrebbe rappresentato l’ultimo collaudo, in orbita terrestre, del modulo di comando CSM, prima della missione circumlunare prevista con la 9.
Fermi tutti! Ma come, direte voi, non fu l’Apollo-8 ad effettuare il primo volo circumlunare nel dicembre 1968? Vero, ma il convertire un volo in orbita terrestre in un volo circumlunare fu una decisione presa all’ultimo momento quando vennero viste le immagini di un UR-500 sulla rampa, nel settembre del 1968 appunto, destinato a portare un veicolo abitato (era inconfondibile la presenza della torre di salvataggio in cima).
Purtroppo per i sovietici ne Mishin, succeduto a Korolev dopo la sua morte, ne Breznev, volevano rischiare la vita dei cosmonauti in un volo con un lanciatore spinto da propulsori ipergolici. La tragedia di Nedelin era ancora viva e bruciante e, sebbene l’UR-500 avesse dimostrato di essere affidabile e sicuro e nonostante una petizione firmata da tutti i cosmonauti, Leonov in testa per chiedere al Segretario Generale l’autorizzazione al volo, la decisione finale non venne presa.
Zond-5, il 14 settembre 1968, portò i primi esseri viventi (tartarughe, mosche e vermi della farina…) intorno alla Luna e li fece rientrare sani e salvi a terra, nonostante un inconveniente al rientro che, con un equipaggio umano non si sarebbe verificato.
Ho detto che un singolo lancio di UR-500 non avrebbe consentito lo sbarco sulla Luna. Difatti un progetto di contingenza, in caso di fallimento del programma N-1, prevedeva tre lanci di UR-500. Uno con la Sojuz-LK, uno con il lander LK ed uno con il Block-E destinato ad accelerare verso la luna il trenino spaziale. Sarebbe stato fattibile?
Forse sì, ma non lo sapremo mai.
L’UR-500/Proton, che sarebbe potuto diventare famoso come il Saturno-V, silenziosamente ha portato le nostre case nello spazio dove oggi, grazie a questo poco conosciuto mulo spaziale, vivono e lavorano i nostri astronauti e cosmonauti.
Recentemente Roskosmos ha annunciato che prima dell’entrata in servizio operativo dell’Angara, darà fondo a tutti i Proton costruiti, concentrando nei prossimi due anni tutti i lanci previsti.
Te ne andrai, caro Mulo dello spazio, come i muli della Prima guerra mondiale. Silenzioso e prezioso compagno di viaggio nella conquista del Cosmo.
P.S.
Se i sovietici non vollero rischiare la vita dei loro cosmonauti, lo stesso non si può dire dei cinesi che con il loro lunga marcia, cugino del Proton, lanciano allegramente i Taikonauti verso la stazione spaziale Tiangong e, in futuro, oltre…
P.S. n.2:
La Dragon di SpaceX ha, come motori di emergenza in caso di aborto del lancio, dei Super Draco a combustibile ipergolico. Recenti problemi di perdite dai relativi serbatoi hanno riacceso (è il caso di dirlo) la questione sulla loro pericolosità.
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