SOJUZ-23: I COSMONAUTI NEL FREEZER

 I cosmonauti nel freezer, ovvero l’incredibile storia della missione Sojuz 23 e dell’eroico salvataggio del suo equipaggio.

Mettetevi comodi… E’una storia lunga…

La Sojuz 23 è stata una missione, destinata a durare due mesi, diretta verso la stazione spaziale militare Almaz 3, in occidente conosciuta come Saljut-5. Lanciata dal Cosmodromo di Baikonur il 14 ottobre 1976 da un lanciatore Sojuz-U, aveva un equipaggio composto da due cosmonauti: il Comandante Vjaceslav Dmitrevic Zudov, al suo primo volo, e l’ingegnere di bordo Valerji Ilji’c Roszdestvenkji, anch’esso al primo volo spaziale.

Soffermiamoci un attimo sulla biografia dei due cosmonauti.

Vjaceslav Dmitrevich Zudov è nato l’8 gennaio del 1942. Colonnello della VVS (l’aviazione militare), è stato un pilota militare ed un esperto paracadutista. Selezionato nel 1965 per il gruppo dei cosmonauti, dopo essere stato riserva degli equipaggi della missione Sojuz 4 e 5, e della Sojuz 14, venne nominato comandante della Sojuz 23.

Valerji Ilji’c Roszdestvenskji è nato il 13 febbraio del 1939. Dopo essersi diplomato presso l’accademia navale, prima di entrare nel corpo dei cosmonauti nel 1965, ha prestato servizio presso la flotta del baltico come comandante delle unità di soccorso subacquee.

Il veicolo Sojuz usato nella missione era del tipo 7K-T/A9, variante militare della 7K-T, in uso per le missioni verso le stazioni di tipo Almaz (definite in codice OPS ovvero Stazioni Orbitali Pilotate). A seguito della tragedia della Sojuz-11 che portò alla morte dei tre cosmonauti Dobrovolskji, Volkov e Patsajev, le Sojuz ripresero i voli solo dopo pesanti modifiche: vennero tolti i pannelli solari, riducendo la durata di un volo coi soli mezzi della Sojuz ad appena due giorni, e rimosso il sediolino centrale consentendo all’equipaggio di indossare le tute semi pressurizzate “Sokol” (Falco) durante le fasi di lancio e rientro.

Racconta il Comandante Zudov, che la missione non nacque coi migliori auspici. In un mio precedente articolo ho raccontato come molto forti e radicate siano le tradizioni scaramantiche russe prima di un volo spaziale. E, difatti, già il fatto che il volo, pianificato per il lancio il giorno 8 ottobre, venisse rinviato al 14 a causa dell’esplosione, avvenuta il 7, di un Sojuz-U pochi secondi dopo il lancio, non venne visto come un buon segno. Una volta investigato sulle cause del fallimento del lancio, il volo venne spostato al 14, giorno di festa per la Chiesa Ortodossa (festa dell’Intercessione di Maria) ed in cui, di norma, non si sarebbe dovuto lavorare. Fedeli all’ateismo di stato, si decise di lanciare ugualmente il 14. Ma, racconta Zudov, ci fu un altro segno premonitore: Cento metri prima della rampa, il bus che trasportava i cosmonauti si fermò di colpo e non ci fu verso di smuovere il mezzo. Dovette venire un altro bus a prelevare i Cosmonauti ed a portarli a destinazione, poiché non era consentito loro di scendere se non davanti la rampa di lancio.

Il lancio avvenne regolarmente anche se, a causa del forte vento, si accese l’allarme di aborto missione; nonostante ciò, la Sojuz raggiunse l’orbita prevista. Al momento dell’avvicinamento alla Almaz, però, il veicolo iniziò ad avere problemi.

Racconta Roszdestvenkji che la navicella iniziò ad oscillare molto vistosamente mentre il sistema di avvicinamento automatico IGLA, a 1200 metri dalla stazione, improvvisamente andò in stallo. Avrebbero potuto tentare un avvicinamento ed attracco manuale, avvicinandosi a circa 150 metri ed utilizzando le sue luci di posizione, ma le continue correzioni necessarie a compensare la violenta imbardata della Sojuz, avevano ridotto al minimo il carburante e le scorte di energia elettrica (come detto la Sojuz 7k-T/A9 come la Sojuz 23, non aveva pannelli solari; pertanto, disponeva di una limitata autonomia di volo). Vista la critica condizione del carburante e dell’energia elettrica, nonché del sistema di condizionamento ambientale, venne dato l’ordine di rientro quasi allo scadere del secondo giorno di volo. La Almaz aveva un solo portellone di attracco e non sarebbe stato possibile inviare un’altra Sojuz per il rientro. Sebbene a malincuore, i cosmonauti abortirono la missione. Si sarebbe trattato di un rientro notturno in una zona del Kazakistan settentrionale spazzata da una violenta tempesta di neve con temperature molto sotto lo zero. Secondo il racconto dell’ingegnere di bordo, l’attraversamento degli strati alti dell’atmosfera assomiglia ad una corsa in auto ad alta velocità su di una strada piena di buche. Ma questa volta, mentre i due cosmonauti aspettavano l’impatto col suolo, con i sedili già estesi dagli ammortizzatori quasi fino a far toccare il pannello strumenti col casco, furono sorpresi nel sentire un diverso suono provenire dall’esterno e nel percepire un contatto decisamente meno brusco.

I due cosmonauti, pronti per il tradizionale “atterraggio morbido russo”, ebbero l’impressione di affondare. Erano forse caduti in acqua? Non sarebbe dovuto succedere, secondo i calcoli ma, aprendo uno dei fori di ventilazione, riscontrarono effettivamente la presenza di acqua all’esterno.

Dopo aver superato il punto di atterraggio calcolato, difatti, la Sojuz 23 è caduta pesantemente nel mezzo del lago di Tengiz, un enorme lago di acqua salata situato nella regione di nord-est del Kazakistan esteso 1382 km quadrati. L'acqua salmastra, entrata nei fori del sistema di rilevamento di pressione, mandò lo stesso in avaria attivando il paracadute di emergenza. Questo enorme telo (il paracadute di emergenza ha un’area di circa 500 metri quadrati), riempitosi di acqua, trascinò la sezione SA verso il basso. Solo la tempestiva chiusura di tutti i boccaporti da parte dei cosmonauti evitò che la navicella si inabissasse in un lago profondo decine di metri.  Sebbene disegnata per gli atterraggi sulla terraferma, la sezione SA della Sojuz è perfettamente in grado, se sigillata, di galleggiare autonomamente. Purtroppo, il peso del paracadute di emergenza, che cercava di trascinare la navicella verso il fondo, aveva ribaltato il modulo di rientro: i due cosmonauti si ritrovarono a testa in giù con il portello di uscita sommerso dall’acqua.

I soccorsi erano intanto giunti sul posto guidati dalle luci di segnalazione della Sojuz.

La temperatura esterna era di quindici gradi sotto lo zero ed una violenta tempesta di neve e vento spazzava il lago. Gli elicotteri non poterono avvicinarsi alla cosmonave per trainarla a riva; si arrestarono quindi sulle rive del lago attendendo il miglioramento delle condizioni meteo, secondo il protocollo previsto. I pescatori locali, intuita la gravità della situazione che non ammetteva ulteriori indugi nel recupero dei due cosmonauti, calarono in acqua una grande barca ma vennero affrontati dai militari che gli impedirono di avvicinarsi alla Sojuz.

Era stato un autunno insolitamente caldo e questo aveva causato un altro problema: il repentino abbassamento della temperatura aveva alzato una fitta nebbia sul lago. Si vedeva il faro lampeggiante di segnalazione della Sojuz, ma gli elicotteri non potevano procedere per la ridottissima visibilità ed il vento forte.

Racconta Valery Roszdestvenkji, ingegnere di volo della Soyuz-23 che, passate una, due, tre ore dall’ammaraggio, sembrava che nessuno avesse fretta di farli scendere dalla Sojuz. Senza più il riscaldamento e con il supporto vitale ridotto al minimo, stavano letteralmente congelando. Valery Roszdestvenkji, ex ufficiale di marina comandante di unità di soccorso subacqueo fece tesoro del suo addestramento che salvò la vita a lui ed al suo comandante.

Dall’esterno della nave un elicottero, tentò di avvicinarsi. Uno dei componenti l’equipaggio del velivolo, Josip Davydov, seduto sul bordo dell’elicottero tentò di salire sulla Sojuz, senza riuscirvi. A corto di carburante dovette tornare a riva. Nel frattempo, venivano calate in acqua alcune barche dai militari soccorritori, una di queste, con a bordo il comandante di uno degli elicotteri di soccorso Nikolai Cernjavskji, riuscì a raggiungere il veicolo di discesa.

Secondo il racconto del Comandante Zudov, venne ridotto al minimo il consumo di elettricità. Anche le comunicazioni con l’esterno furono ridotte all’essenziale. Il problema del freddo era acuito dal materiale sintetico delle tute. Dovettero tagliuzzarle con un coltello di emergenza e, una volta spogliati, restarono con le sole tute interne, di materiale più isolante ma sempre molto leggero. Anche la scarsità di ossigeno era un problema sempre più grave: per fortuna l’addestramento da sub in acque profonde di Roszdestvenkji, venne in soccorso di entrambi.

Passarono parecchie ore. All'improvviso qualcuno bussò sullo scafo della navicella urlando: "Ragazzi, siete vivi?" Era, Nikolai Cernjavskji. “Vieni fuori, ti porto a riva!” gridava il soccorritore. Ma il portello era sott’acqua e la temperatura dell’acqua, -5°C, non consentiva di affrontare il rischio di inondare la Sojuz, uscire sottacqua e riemergere. Inoltre, la barca del soccorritore era un gommone singolo che si sarebbe potuto pericolosamente ribaltare per il peso eccessivo. Cernjavskji si rese conto che lui stesso era in trappola: non sarebbe stato in grado di tornare, poiché era lontano dalla riva e non aveva abbastanza forza per remare contro vento. E c'era anche un'altra circostanza pericolosa. Il soccorritore aveva ormeggiato il gommone al trasmettitore di un altimetro a raggi gamma ancora in funzione. Per evitare il rischio di essere pericolosamente irraggiato, Cernjavskji dovette frettolosamente ormeggiare la barca ad un altro appiglio.

Alle prime luci del giorno successivo, un piccolo spiraglio di schiarita nelle condizioni meteo consentì ai soccorritori di riavvicinarsi al veicolo galleggiante semisommerso.

Gli esperti piloti Nikolai Kondratyev (che proprio quel giorno compì 34 anni) e Oleg Nefedov, raggiunta la Sojuz, riuscirono, grazie anche all’intervento dei sub, ad assicurare la navicella ad un cavo per trainarla a riva. Per prima cosa, però, hanno dovuto soccorrere Cernjavskji che, pur di non abbandonare i cosmonauti al buio senza il conforto di una persona all’esterno, è rimasto aggrappato tutta la notte al modulo di rientro pur in condizioni critiche di ipotermia.

Con estrema attenzione, poiché la Sojuz rischiava, nel traino, di ribaltarsi ancora di più, i piloti riuscirono a riportare la navicella a riva dove, ad attendere i superstiti, c’era tutta la popolazione, esultante, dei villaggi in riva al lago. I due cosmonauti, una volta estratti dalla Sojuz, furono trovati allo stremo delle forze: in forte ipotermia e con segni evidenti di ipossigenazione, ma vivi.

Una volta rientrati a Mosca, però, sia i due cosmonauti che l’eroico Cernjavskji, vennero pesantemente accusati di negligenza. Come accennato, il soccorritore, colpevole di aver abbandonato il suo veicolo militare e ad aver agito arbitrariamente mettendo a repentaglio la sua vita, venne accusato di insubordinazione e rischiò la radiazione dalle forze armate. Grazie all’intervento dei cosmonauti, grati per il suo supporto psicologico in quei momenti drammatici, venne scagionato da ogni addebito. I due cosmonauti anche loro vennero accusati di negligenza per non aver rispettato, a detta della commissione d’inchiesta, alcuni protocolli di sicurezza al rientro. Le stelle d’oro di Eroi dell’Unione Sovietica, subito conferite al momento del recupero, vennero revocate. Ma…

Il 7 novembre successivo, in un ricevimento al Cremlino, il segretario generale del Comitato centrale del PCUS Leonid Brezhnev, avvicinandosi a Zudov e Roszdestvenkji, chiese loro: "Perché i nostri eroi sono senza le Stelle d’oro?” Ed aggiunse, rivolgendosi ai cosmonauti: "Non ho dormito quella notte… Ero preoccupato per voi". Il giorno successivo, i cosmonauti riottennero le decorazioni di eroi dell'Unione Sovietica. Ma non sarebbero andati mai più nello spazio.

Vjaceslav Zudov fu ancora nominato equipaggio di riserva per le Sojuz-35 e T4. Ha svolto servizio come capo addestratore dei cosmonauti presso lo ZPK, il centro di addestramento Yurji Gagarin alla Città Stellata, nei pressi di Mosca. E’in pensione dal 1992.

Valerji Roszdestvenkji, ha lavorato presso il centro di controllo di volo, situato a Mosca, fino al 1986, anno del suo pensionamento. E’ purtroppo deceduto il 31 agosto del 2011 all’età di 72 anni.

Di Nikolai Cernjavskji, l’eroico comandante di elicottero che è restato vicino ai cosmonauti per tutta la notte rischiando la corte marziale e perdendo due dita della mano per il congelamento, non sono riuscito a trovare più alcuna informazione su cosa abbia fatto in seguito.

Dopo l’esperienza di Sojuz-23, lo ZPK ha creato un dipartimento indipendente per testare le attrezzature di soccorso di emergenza, l'atterraggio, la ricerca, l'evacuazione e la preparazione dei cosmonauti per le azioni dopo un atterraggio forzato in condizioni estreme di varie zone climatiche e geografiche.

A tutt’oggi, quello della Sojuz 23, è stato l’unico ammaraggio nella storia delle missioni umane Sovietiche e Russe.

Un grande ringraziamento alla figlia di Vjaceslav Dmitrevich Zudov, Natalia Zudova, che mi ha suggerito le fonti da cui attingere per raccontare questa storia drammatica, fortunatamente a lieto fine, e che, con le precisazioni dettate dai ricordi del papà, mi ha permesso di correggere qualche svista dettata dalla mia imprecisa traduzione. Un’avventura che meriterebbe essere rappresentata in un film! Vista l’impressionante somiglianza tra il Comandante Zudov ed il nostro attore Fabrizio Bentivoglio, avremmo anche trovato l’interprete del protagonista…

Fonti:

https://rg.ru/2016/01/14/rodina-kosmos.html

www.Wikipedia.ru

ARTICOLO PUBBLICATO SULLA PAGINA FACEBOOK "LE STORIE DI KOSMONAUTIKA" IL 29/01/2021Link all'articolo su Facebook 

Il Comandante della Sojuz-23: Vjaceslav Dmitrevich Zudov 

L'Ingegnere di volo della Sojuz-23: Valerji Ilji’c Roszdestvenskji (1939-2011) 

La stazione spaziale "Almaz-3" (Saljut-5) 

Il Lago Tengiz, luogo dell'Ammaraggio della Sojuz-23 

Josip Davidov, uno dei primi soccorritori intervenuti sul luogo dell'ammaraggio 

Nikolaj Cernjavs'kji, l'eroico comandante di uno degli elicotteri di soccorso che raggiunse la Sojuz-23 con un canotto e vegliò l'equipaggio tutta la notte fino all'arrivo dei soccorsi. 

Nikolai Kondratyev, comandante dell'elicottero che agganciò la Sojuz-23 e la trasse in salvo a riva 

L'Mi6 dei soccorsi con la Sezione SA della Sojuz a traino 

Il Comandante Zudov dopo il salvataggio 

I due cosmonauti subito dopo essere stati "nuovamente" decorati... 

Francobollo commemorativo della missione Sojuz-23 

Fabrizio Bentivoglio… Che c'entra? Nulla, assomiglia in maniera impressionante al Comandante Zudov... Potrebbe interpretare la sua parte in un ipotetico film... 

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