Il gioco di parole è assolutamente voluto. Durante la storia delle stazioni spaziali sovietiche, non mancarono gli incidenti, sempre per fortuna risolti grazie alla preparazione ed alle capacità, per così dire, di inventiva dell’equipaggio. Uno degli episodi più singolari fu quello occorso durante l’allestimento del modulo Kvant-2 della stazione spaziale MIR.
Schema del modulo Kvant-2
Lanciato il 26 Novembre 1989, per mezzo di un Proton, raggiunse ed agganciò con successo la Mir il 6 dicembre successivo. Il Kvant-2 è stato il primo dei moduli della Mir basati sulla sezione FGB della navetta TKS di cui abbiamo parlato già altre volte. Molto grande e dotato di pannelli solari autonomi, era diviso in tre sezioni isolabili da portelli. Questo perché la sezione centrale era dotata di un airlock per consentire le uscite dei cosmonauti nello spazio esterno. Il Kvant-2 era dotato di nuovi e più efficienti impianti di riciclo dell’atmosfera e dell’acqua, ciò per consentire alla stazione di restare più a lungo senza rifornimenti da terra; inoltre, l’airlock era dotato di uno speciale zaino a razzo, chiamato SPK sul tipo dell’MMU statunitense, che sarebbe servito per le future missioni della Buran.
Anatoly Soloviev, ed Alexander Balandin, equipaggio della Sojuz TM-9, furono i primi, tra il febbraio 1990 e l’agosto successivo, ad utilizzare questa unità mobile. Questi stessi cosmonauti si resero protagonisti di un rocambolesco intervento fuori dalla stazione spaziale.
La Sojuz TM-9 agganciata al modulo Kvant-1 della MIR
Premessa: nessuno di loro due aveva mai eseguito, nei test a terra, un’Attività extraveicolare. Questo particolare metterà ancor più in risalto quello che leggerete dopo.
Resosi conto che parte della copertura termica della loro Sojuz si era strappata durante il lancio, e che il suo malfunzionamento avrebbe potuto causare seri problemi di condensazione nei circuiti della Sojuz durante il rientro, mettendo la nave a rischio di catastrofici cortocircuiti, in un primo momento si fece spostare più volte la Sojuz cambiando il portello di attracco. Ciò allo scopo di regolare in maniera ottimale la temperatura interna. Ma non bastò. Si pensò anche di predisporre d’urgenza il lancio, con un solo membro di equipaggio, della Sojuz TM-10 in modo da abbandonare nello spazio la TM-9 ed assicurare il rientro dei cosmonauti con la nuova cosmonave. Ma questa ipotesi venne scartata perché, da terra, si pensava che il guasto fosse riparabile con un EVA. Ma i due cosmonauti a bordo non erano addestrati per questo. Come fare?
Il problema venne risolto “alla russa” (oppure all’italiana visto che in materia di inventiva, noi ed i russi siamo dei fratelli separati alla nascita): vennero fatte visionare ai cosmonauti delle… Videocassette!
Sì, proprio delle cassette con tutte le istruzioni su come ci si comporta in un’attività extraveicolare, una specie di “tutorial” ante litteram.
Immagine della EVA effettuata dall'equipaggio della Sojuz TM-9 per risolvere il problema all'isolamento termico della loro cosmonave.
Diventati apprendisti cosmonauti per lo spazio esterno, i due uscirono, utilizzando l’SPK per riparare il guasto. Dopo una estenuante EVA e con l’ossigeno oramai agli sgoccioli, riuscirono a terminare il lavoro. Anche in questo caso, per risolvere il problema, vennero usate metodologie molto spicce… Due dei tre pannelli vennero ripiegati su sé stessi. Al momento del rientro, però, mentre si trovarono davanti all’airlock, si accorsero che il portellone, che si apriva verso l’esterno, non si chiudeva bene. Per rientrare a bordo sfruttarono l’ingegnosa progettazione del modulo Kvant-2 che poteva essere isolato in tre sezioni. Depressurizzando la parte centrale, riuscirono ad entrare in questa e, effettuando la prima Attività Intraveicolare della storia (IVA appunto, parafrasando l’acronimo in inglese…), richiusero il portello intermedio ed entrarono nella stazione oramai con l’ossigeno pressoché terminato negli zaini. Il portellone difettoso venne successivamente sostituito e, per i successivi moduli, vennero sempre realizzati portelli con apertura verso l’interno in modo che la pressione dell’aria li avrebbe perfettamente sigillati una volta chiusi.
Come andò il rientro della Sojuz TM-9, vi chiederete? Bene, per evitare che il distacco in sequenza della sezione BO (quella sferica, per capirci), dalla SA (il modulo di rientro) e, successivamente del modulo di servizio PAO dall’SA, potesse far impigliare i pannelli ripiegati alla bell’e meglio, i tre moduli vennero sganciati simultaneamente con manovra manuale. L’operazione fu un successo e la TM-9 atterrò senza problemi il 9/8/1990.
Non fu questo, però, l’unico caso di IVA durante la vita della MIR.
L'SPK, lo zaino spaziale sovietico, simile al MMU americano
La seconda volta in cui si dovette fare un’analoga operazione fu quando, nel giugno 1997, una Progress fuori controllo impattò contro il modulo Spektr danneggiandolo pesantemente e causando una forte depressurizzazione della sezione stessa. La depressurizzazione venne subito fermata dai cosmonauti Tsibliev e Lazutkin che poi, resosi conto che la falla era irreparabile, entrarono nella sezione con le tute Orlan ed isolarono tutta la componentistica elettronica e la cablatura di collegamento tra lo Spektr ed il resto della Mir, sigillando il portello di comunicazione.
I danni al modulo Spektr della MIR dopo l'impatto con la Progress
Vi avevo detto che Anatoli Jakovlevic Solov’ev ed Alexander Nikolaievic Balandin erano due cosmonauti che, all’epoca della missione Sojuz TM-9, non erano abilitati ad effettuare EVA.
Dopo essere stati “promossi sul campo”, grazie alle videocassette “Come effettuare un EVA in quattro semplici lezioni”, mentre Balandin non tornò più nello spazio, Solov’ev, che nello spazio ci era già andato prima di quella missione con la Sojuz TM-4, ci tornò ancora: con la Sojuz TM-15 e con lo Shuttle Atlantis nella missione STS-71. Fu decorato, oltre che in Unione Sovietica e nei paesi dell’ex Patto di Varsavia, in Francia con la Legion d’Onore e negli Stati Uniti con la NASA space flight medal. Ma la cosa più singolare è che l’apprendista passeggiatore spaziale Anatoli Jakovlevic Solov’ev a tutt’oggi, udite, udite, è il detentore del record mondiale di EVA: ne ha effettuate ben 16 per un totale di 82 ore passate nello spazio esterno.
Niente male per uno che ha imparato a passeggiare nello spazio grazie ad una videocassetta!
Anatoli Jakovlevic Solov’ev, che ha imparato ad effettuare le attività extraveicolari con le videocassette ed è il detentore del record mondiale di EVA effettuate: 16 per un totale di 82 ore e 22 minuti trascorsi nello spazio esterno.