Quello che leggete nel sottotitolo è il motto dello speciale reparto che si occupa della ricerca e del recupero dei cosmonauti ed astronauti di ritorno da una missione spaziale. È un’organizzazione che comprende, vedremo, reparti dell’aviazione strategica della Federazione Russa (la VVS), un particolare corpo di medici aerospaziali destinati al soccorso ed alla rianimazione dei cosmonauti e personale dell’RKK Energhia, oltre ad un numero di volontari che si occupano di aspetti logistici sul campo.
C’è un detto tra i piloti: “i decolli sono facoltativi, ma gli atterraggi sono obbligatori”. Un volo spaziale non si sottrae a questa regola e, sin dal 1961 con il primo volo di un essere umano nello spazio con Yuri Gagarin, la necessità di poter prontamente trovare, recuperare e soccorrere chi ritornava sulla terra, ha richiesto una capillare organizzazione meticolosamente pianificata. Per le missioni Vostok l’incombenza era stata affidata alle forze militari del volontariato, una specie di reparto di riservisti, insieme al battaglione medico delle truppe aerotrasportate (VDV). Ma è nel 1966, dopo il recupero della Voskhod-2, che ha comportato un notevole dispiegamento di forze aero-terrestri per il fatto che la navicella è atterrata, molto fuori rotta in una zona montuosa durante una bufera di neve, che viene istituito un servizio specifico di ricerca e soccorso dell’aeronautica militare. Con l’inizio dei voli delle Sojuz che prevedono, per le particolari caratteristiche del veicolo, un preciso protocollo di soccorso, l’attività venne ulteriormente definita fino ad arrivare all’assetto attuale stabilito con decreto presidenziale del 2008 che ha istituito il 194° centro di coordinamento per la ricerca ed il soccorso aerospaziale.
Le squadre di ricerca e soccorso non intervengono solo durante il rientro, ma anche durante il lancio; come abbiamo visto nell’articolo dedicato al sistema di aborto SAS, nelle prime fasi successive al lancio ed antecedenti l’entrata in orbita della Sojuz, ci sono ben tre scenari possibili in cui il sistema di emergenza entra in funzione. In tutti questi casi i reparti sono in stato di allerta pronti ad intervenire.
Nel dettaglio vengono divise sette zone in cui operano, a cerchi concentrici, reparti di Antonov AN-12 ed elicotteri Mi-6 e Mi-8; sugli elicotteri sono imbarcati gli specialisti dell’RKK-Energhia, incaricati della messa in sicurezza della navicella una volta a terra, oltre a medici e personale logistico. Una volta individuata l’area di atterraggio, gli speciali e caratteristici mezzi anfibi ZIL 4906 si portano sul posto.
Durante un rientro normale, le procedure sono collaudate e standardizzate:
la Sojuz, sganciata dalla ISS, procede alla deorbita con l'accensione del motore di coda, una volta che sta per entrare nell’atmosfera, la navicella si separa nei tre componenti BO, SA e PAO. Di questi solo la sezione SA è quella che porterà i cosmonauti a terra, le altre due, prive di scudi, si disintegreranno per l’attrito con gli strati più densi della nostra atmosfera. La sezione SA, a forma di campana, si dispone naturalmente con lo scudo in avanti ed entra nell’atmosfera alla velocità di 160-170 m/s. Sono previsti, a seconda degli angoli di rientro, diversi punti di atterraggio: dal mar del Giappone (nella cui evenienza viene utilizzata la collaborazione oltre che della flotta del Pacifico anche della Marina di autodifesa Giapponese), alla Cina, alla Siberia meridionale fino alle steppe del Kazakistan che sono il luogo di atterraggio usuale. Durante la fase di massimo attrito si raggiungono temperature elevatissime che creano una fortissima ionizzazione la quale impedisce qualsiasi comunicazione radio. Solo dopo questa fase e raggiunta la velocità di 35 m/s grazie al profilo portante del fondo della Sojuz, si attivano due trasmettitori di bordo: uno che emette un segnale a 121,5 MHz, l’altro che ne emette uno a 130,67 MHz. In questa fase viene aperto il paracadute pilota e, successivamente, alla velocità di 7 m/s, quello principale a cui è collegato un radiofaro che opera sui 8,364 MHz e 18,060 MHz.
Ovviamente questi segnali radio sono intercettati dalle squadre di soccorso che si recano sulle coordinate previste di atterraggio. Alcuni Mi-8 seguono la discesa della cosmonave mantenendo il contatto visivo. All’altitudine di circa 5 Km dal suolo, viene sganciato lo scudo termico e, all’altitudine di 8 mt, si azionano i razzi a combustibile solido che rallentano la caduta fino al contatto col suolo. Il resto, come vi ho spiegato nell’articolo dedicato al sediolino Kazbek, lo farà questo dispositivo di compensazione facendo vivere agli occupanti la Sojuz, l’esperienza indimenticabile del caratteristico “atterraggio morbido russo”, una specie di tamponamento da dietro quando si è fermi al semaforo ed un pullman vi prende in pieno senza avervi visto…
La Sojuz può, a differenza delle navicelle americane, ammarare senza bisogno di canotti gonfiabili. Se sigillata è in grado di galleggiare senza problemi in posizione verticale. In tutti questi anni, solo una volta è successo di dover effettuare un ammaraggio: si è trattato della incredibile avventura della Sojuz-23, della quale vi parlo in un capitolo specifico del mio libro “Noi abbiamo usato le matite!” ed in un articolo dove ho raccolto la testimonianza del Comandante la missione Viaceslav Zudov. Vi lascio a questi per gli approfondimenti del caso. Sappiate solo che fu un’avventura, sconosciuta in Occidente, degna di un film di Hollywood.
Per il resto, la Sojuz spesso si posa al suolo non in posizione verticale. In questo caso, per evacuare gli occupanti, bisogna considerare due aspetti: se i cosmonauti sono stati nello spazio meno di due giorni, si può procedere facendoli uscire autonomamente, oppure, nella stragrande maggioranza dei casi visto che di norma le missioni sono di almeno 12 giorni, intervenire con una squadra medica di estrazione. Ma, prima di procedere all'evacuazione della cosmonave, bisogna mettere in sicurezza la Sojuz. Questa operazione è necessaria per due motivi:
il primo: è presente un radioaltimetro ad isotopi di cesio. Questo va disattivato ed il nocciolo va rimosso e posizionato in sicurezza. Se ciò non viene fatto, toccare l’antenna potrebbe provocare delle forti ustioni. È successo durante la citata operazione di salvataggio della Sojuz-23. Il primo ad a soccorrere i cosmonauti non poté far altro che ormeggiare il canotto a questa antenna, procurandosi delle brutte ustioni.
Il secondo è legato ai razzi di frenata che sono disposti in due gruppi sotto la sezione SA. Di norma non vengono usati tutti: ciò dipende dall’assetto di rientro e dal funzionamento o meno del paracadute principale. In caso di utilizzo del paracadute di riserva, i motori sono azionati al massimo per portare la velocità di impatto a livelli normali (mica tanto…). Una volta a terra, una squadra è incaricata di disarmare le cariche di innesco e di svuotare anche i serbatoi del combustibile liquido residuo dei razzi di assetto necessari per il controllo durante il rientro. Nel fondo e di lato della sezione SA ci sono delle vistose scritte bilingui (Russo ed Inglese) che spiegano cosa fare perché è previsto (ne ho parlato in un articolo tempo fa), che in caso di emergenza le Sojuz possano rientrare anche in territorio di paesi della NATO.
Ovviamente, in una situazione di emergenza, i cosmonauti sono addestrati ad evacuare la navicella nel più breve tempo possibile, portandosi a distanza di sicurezza da eventuali inneschi dei razzi od altri spiacevoli inconvenienti. Ma si parla di emergenze. Nella normalità, una volta che la SA è posizionata in verticale da una piccola gru a bordo della ZIL 4906, si applica una specie di armatura con uno scivolo laterale dove il medico, dopo aver aperto il portello superiore, procederà ad una ispezione visiva ed inizierà l’estrazione dell’equipaggio. Per primo esce lo specialista (posizione centrale), poi il primo ufficiale (posizione di destra) ed in ultimo viene estratto il Comandante (come sugli aerei, sediolino di sinistra). Come abbiamo visto molte volte in TV, vengono fatti sedere in delle sdraio e coperti (se fa freddo, ma nella steppa Kazaka è spesso freddissimo…), visitati e poi trasferiti nelle tende che, nel frattempo, il personale medico ed i volontari hanno installato. Esauriti i controlli più approfonditi, i cosmonauti, dopo essersi cambiati, si imbarcano su di un elicottero e tornano allo ZPK della Città Stellata.
Abbiamo, fin qui, visto gli aspetti legati alla copertura aerea e logistica. Ma c’è una componente che più di tutte riveste un ruolo fondamentale: lo speciale corpo medico dedicato al soccorso dei cosmonauti.
Faccio una premessa:
non avrei scoperto tutte queste informazioni se non fosse stato per Maria Chekanova e non avrei conosciuto questa persona se non mi fossi imbattuto nell’incredibile storia di Viaceslav Zudov e del salvataggio della Sojuz-23. Internet è alle volte un posto meraviglioso dove le storie ne richiamano altre come le ciliegie… Ma perché ringrazio questa persona? Perché mi ha raccontato di suo nonno, Anatoly Iosifovic Chekanov, colonnello del servizio medico ed in servizio, dal 1973, presso il reparto di ricerca e soccorso per i voli spaziali e mi ha suggerito la lettura di un voluminoso libro in lingua russa “Dall’orbita a Terra” (С орбиты на Землю), dove vengono narrate tutte le missioni di soccorso dal volo di Gagarin alla Sojuz MS-16 e raccontata la storia delle persone che fanno parte di questa grande squadra. E proprio conoscendo i profili di queste persone, che si viene a conoscenza di medici come Anatoly Iosifovic Chekanov (1933 - 1995), Colonnello medico. Dagli inizi, presso reparti nella penisola di Sakhalin, ha svolto numerose missioni all’estero coordinando il servizio medico nelle basi aeree della Repubblica di Cuba e della Repubblica Algerina. Nel servizio di ricerca e soccorso aerospaziale dal 1973, si deve a lui la metodologia di estrazione e soccorso dei cosmonauti dopo voli di lunga durata. Ha partecipato a 42 lanci e 41 atterraggi. Oppure Igor Borisovic Goncharov (1939-2020), traumatologo, che è entrato nel servizio di ricerca e soccorso aerospaziale nel 1972. Celebrato accademico insignito di onorificenze anche da parte della NASA, dal 1998 ha ricoperto il ruolo di responsabile della telemedicina spaziale. Autore di numerosi articoli, nonché di molti brevetti in questo settore, è stato presidente anche della Space Medicine Association. È deceduto di covid nel 2020. Per finire con Levan Longinozovic Stazhadze (1937-2021), anestesista che ha diretto il reparto medico del servizio di ricerca e soccorso aerospaziale dal 1972 fino al 1987. Ha coordinato la formazione del personale medico della missione congiunta Apollo ASTP/Sojuz-19 ricevendo per questo un’onorificenza statunitense. Primo a prestare soccorso ai cosmonauti della Sojuz-11, si accorse subito delle cause della tragedia. In una lunga intervista (in lingua russa), racconta di aver provato a rianimare uno dei cosmonauti con una iniezione di adrenalina ma che lo stantuffo della siringa è stato sparato fuori dal sangue diventato una miscela nera di gas, segno dell’embolia esplosiva che aveva ucciso i tre sfortunati membri dell’equipaggio.
Insomma, personalità di rilievo, e tante storie da raccontare che non basterebbe un altro libro per rendere giustizia a tutti.
Il 194° centro di coordinamento per la ricerca ed il soccorso aerospaziale non viene impiegato solo per i voli spaziali, ma è utilizzato anche per qualsiasi situazione che richieda un capillare coordinamento di ricerca e soccorso. Numerosi, infatti, sono i casi in cui è chiamato ad intervenire per soccorrere imbarcazioni in mare o persone in montagna. Ma non sono mancate le tragedie.
Il 13 dicembre 1982, l'equipaggio dell'elicottero Mi-6 n. 38, completato il compito di ricerca ed evacuazione dell'equipaggio della navicella Soyuz T-7, tornò alla base. Prima di arrivare alla città di Kustonaj, ebbero un incidente. L'elicottero improvvisamente, in preda ad un violento rollio, è esploso schiantandosi al suolo causando la morte dell’equipaggio e di otto passeggeri. Ricordiamo il nome del Comandante: Il tenente colonnello Baranov
"Affinché possano vivere” è il motto di persone che dedicano la loro vita alla salvezza dei cosmonauti, eroi in terra degli eroi del cosmo.
Sia onore a loro.
Le possibili traiettorie di rientro del veicolo Sojuz (dal libro: "Dall'Orbita alla Terra")
Schema del rientro del veicolo Sojuz (Dal libro "Dall'orbita alla Terra")
Il caratteristico veicolo anfibio di recupero e soccorso ZIL 4906
Lo Zil 4906: nulla lo ferma!
Georgji Gretchko al rientro dalla missione Sojuz-17, riceve i soccorsi nella tenda allestita sul luogo dell'atterraggio.
"I cosmonauti sono rientrati sulla Terra" titola questo giornale sovietico del 1986. Dietro i cosmonauti, i loro angeli in terra delle squadre di soccorso.
Anatoly Iosifovic Chekanov (1933-1995) Foto della collezione privata di Maria Chekanova
Igor Borisovic Goncharov (1939-2020)
Levan Longinozovic Stazhadze (1937-2021)
Distintivo dei reparti di soccorso
(Cortesia di Eric Wollbrett Les badges du Cosmos )
Distintivo alternativo dei reparti di soccorso
(Cortesia di Eric Wollbrett Les badges du Cosmos)
Distintivo dei reparti di soccorso in epoca URSS
(Cortesia di Eric Wollbrett Les badges du Cosmos)
Rapporto autografo del Colonnello Chekanov sul tragico incidente del Mil Mi-6 di soccorso. 13 dicembre 1982
Foto della collezione privata di Maria Chekanova
Le squadre di soccorso si esercitano anche in mare.
Il Colonnello A.I. Chekanov insieme ad un cosmonauta in addestramento.
Foto della collezione privata di Maria Chekanova
Bentornati a casa! Il Colonnello Chekanov in mezzo ai due cosmonauti appena rientrati.
Foto della collezione privata di Maria Chekanova
Il metodo di estrazione dei cosmonauti dalla sezione SA della Sojuz è una procedura che è stata elaborata dal Colonnello A.I. Chekanov (nella foto a sinistra)
Foto della collezione privata di Maria Chekanova
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