non tutti i mali vengono per nuocere...

ovvero: Quando un incidente rivela gli errori di progetto…

Siamo nel dicembre 1966, a Baikonur si era pronti al lancio di una Sojuz 7K-0K senza equipaggio per verificare il funzionamento di tutto l’apparato, prima del volo inaugurale della Sojuz-

Un minuto al lancio, tutto pronto, dalle stazioni di telemetria sul territorio sovietico, alle navi per il tracciamento nell’Oceano Pacifico ed Indiano.

“Accensione!”, il Colonnello Anatoli Semenovic Kirillov denominato scherzosamente “lo sparatutto”, direttore di volo, dà il segnale di innesco dei PZU, i petardi azionati elettricamente che innescano la combustione nelle camere di scoppio del primo e secondo stadio. Da sotto la rampa s’avvampano le fiamme ed il fumo, ma qualcosa non va come al solito: le fiamme sono meno intense. Lo stesso Kirillov diede subito il comando di drenaggio e la rampa venne investita da copiosi getti d’acqua che spensero i motori. Da un rapido esame degli strumenti ci si rese conto che si erano innescati solo i motori del secondo stadio (il blocco centrale, per capirci), mentre il primo stadio, i blocchi laterali, erano rimasti inerti. Lo stesso lanciatore, che ave a azionato con la debole spinta il sistema di aggancio e ritenuta “Tulypan”, si era riposato nella sua sede ma, senza alcuni blocchi meccanici, ondeggiava al vento in maniera preoccupante. Valutata la situazione, si decise di riarmare il Tulypan e di bloccare in sicurezza il lanciatore che, intanto sembrava completamente inerte. Non si ravvisava ne fumo ne segnali di incendio e quindi, una volta bloccato, venne fatto ispezionare dalle squadre di servizio.

Ma, poco dopo che il razzo venne rimesso in posizione, un lampo fortissimo ed un fragoroso boato scaturirono dalla cima del lanciatore: il sistema di emergenza SAS, la torre a razzo che si trova in cima e che serve a riportare la sezione SA in salvo in caso di aborto del lancio, si era attivato.

Pochi secondi dopo, a 500 metri dalla rampa, la sojuz atterrava al suolo frenata dai suoi paracadute.

Ma, dal terzo stadio, “mutilato” della navicella hanno iniziato a sprigionarsi lingue di fuoco. Consapevole che, sulla rampa, erano presenti tre stadi pieni di carburante, il Colonnello Kirillov diede repentinamente l’ordine di rifugiarsi nei bunker. Questo ordine salvò la vita a tutte le persone intorno al lanciatore: un’esplosione terrificante, percepita a molti km di distanza.

Il generale Nikolai Kamanin ricorda: “Verso le 16:40 (ora locale, cioè alle 14:40 ora di Mosca) si udì un'esplosione smorzata. Corsi fuori in strada e, vedendo un grande paracadute a un'altitudine di seicento-settecento metri dietro l'edificio del MIC, mi resi conto che il SAS - un sistema di salvataggio di emergenza - aveva funzionato. Quando siamo saliti al terzo piano e abbiamo guardato fuori dalla finestra, abbiamo visto un razzo in fiamme: il suo terzo stadio stava bruciando, la fiamma scese rapidamente lungo il razzo e ci si poteva aspettare una potente esplosione del primo stadio. Ho ordinato a tutti di allontanarsi dalle finestre nel corridoio e, lasciando l'ultima e chiudendo la porta, ho notato un lampo all'inizio. Seguì una serie di potenti esplosioni in 2-3 secondi. Le pareti della nostra casa e il soffitto "hanno preso vita", l'intonaco è caduto, tutti i vetri delle finestre sono volati via. Avvicinandoci alle finestre rotte, abbiamo visto il guscio in fiamme di un razzo e enormi sbuffi di fumo nero. Tutte le stanze erano ricoperte di vetri rotti e intonaco, grosse schegge di vetro, come proiettili, si sono schiantate contro le pareti di fronte alle finestre. Se fossimo rimasti nelle stanze per qualche secondo in più, tutti noi saremmo stati falciati da frammenti di vetri rotti. La nostra casa si trovava a settecento metri dalla piattaforma di lancio, ma anche le case situate a più di un chilometro dal sito di lancio sono state danneggiate dall'esplosione. C'erano anche molti vetri rotti sulla strada davanti alla casa dove avevamo appena lasciato l'autista con l'auto”

Il personale presente sulla rampa dovette letteralmente buttarsi dai ponteggi per raggiungere, con “velocità da olimpionici” (come definì nel suo diario Boris Chertok), i bunker.

Ma cosa era successo?

Semplicemente uno di quegli errori concettuali che furono tipici del programma sovietico prima dell’avvento, alla direzione dell’OKB-1, di Valentin Petrovich Glushko: la mancanza di coordinamento tra i vari settori di progettazione e, soprattutto, la inveterata tendenza dei russi a provare tutti gli impianti sulla rampa di lancio e non con test separati, come facevano gli statunitensi. È vero che questo riduce rapidamente i tempi di approntamento per un veicolo spaziale, ma la possibilità di testare separatamente i vari componenti e, solo dopo il loro effettivo collaudo, procedere alla loro integrazione, sicuramente gli avrebbe fatto evitare numerose e drammatiche battute d’arresto.

Nello specifico, chi ha progettato il sistema di emergenza DAS-SAS, ha pensato di far separare la Sojuz ancora chiusa dentro la copertura aerodinamica per mezzo di cariche esplosive e, successivamente, procedere all’accensione dei razzi a combustibile solido della torre SAS che avrebbero portato in salvo il veicolo. Nulla da dire, lo usano anche gli americani e le cariche sono in uso ancora oggi ma il problema era riposto nella composizione del fluido usato per il raffreddamento del sistema di lancio le cui tubazioni, col distacco della Sojuz, venivano strappate. Questo liquido, dalle proprietà uniche come dissipatore di calore, è più infiammabile della benzina. Quindi immaginate: Si strappano le tubazioni, il liquido si spande sulla copertura del terzo stadio, si innescano i motori a combustibile solido ed un liquido altamente infiammabile viene investito da una tempesta di fuoco… A seguito dei danni recati da queste immani esplosioni, la rampa di lancio restò inutilizzabile per sei mesi. Ma ci fu un altro problema. Tutto questo non sarebbe successo se la torre SAS non si fosse innescata. E perché ciò avvenne?

Perché, durante l’accensione anomala del lanciatore, il vettore, sollevandosi anche se di poco, aveva messo fuori asse il sistema Tulypan. Non appena questo venne riarmato, il lanciatore venne inclinato di 7° quel tanto che bastò ai giroscopi del sistema DAS-SAS di interpretare questa inclinazione come un assetto errato del lanciatore e procedere con la sequenza di aborto. Il problema fu che al momento del reset del sistema e del riposizionamento del lanciatore sui suoi supporti, i giroscopi del SAS continuassero a girare. Innescando il patatrac.

Questo difetto di progettazione (non veniva tenuto conto del “momentum” di inerzia dovuto al movimento della Terra), unito alla alta infiammabilità del liquido di raffreddamento causarono l’incidente. In seguito a ciò venne sostituito il liquido con uno meno prestazionale ma non infiammabile e corretta la taratura dei giroscopi del SAS.

Per la cronaca, il sistema DAS-SAS di emergenza, dopo questa riprogettazione, non ha più presentato problemi ed è entrato in funzione, correttamente, ben due volte: nel 1983 con la Sojuz-T10a e nel 2018 con la Sojuz MS-10. In tutti e due i casi salvando la vita all’equipaggio.

ARTICOLO PUBBLICATO SULLA PAGINA FACEBOOK "LE STORIE DI KOSMONAUTIKA" IL 21/12/2021Link all'articolo su Facebook

La sezione SA della Sojuz dopo il suo atterraggio forzato subito dopo l'azionamento della torre SAS. Dietro si nota la rampa di lancio semidistrutta dall'esplosione.


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