In italiano si chiamano camere d’equilibrio oppure camere di decompressione. Per una volta l’inglese, che non amo usare a sproposito, ci viene in aiuto. Difatti, il termine anglosassone airlock (letteralmente chiusura ad aria), oltre ad essere universalmente usato, sintetizza il concetto in maniera efficace. In russo, addirittura, si chiamano шлюз (leggi schljius) che letteralmente vuol dire chiusa. È lo stesso termine per la chiusa dei canali navigabili e per, appunto, gli airlock. Quindi, una volta tanto, viva gli inglesismi!
Siamo ancora tutti estasiati dalla passeggiata spaziale di Samantha Cristoforetti e, devo dire, che questa circostanza mi sta facendo raccogliere i frutti di un anno di silenzioso lavoro…Poco più di un anno fa, ero una voce nel deserto a parlare di cosmonautica, avevo pochi seguaci e molta ironia intorno.
Quando raccontai la storia delle tute spaziali sovietiche, questa cosa mi attirò non poche risate di scherno. Ma oggi, con la passeggiata spaziale della nostra astronauta, dalla sezione russa della ISS, in questo momento storico e per di più con una tuta Orlan addosso, non sono pochi quelli che hanno dovuto fare marcia indietro e chiedermi notizie su questo mondo.
Facciamo un po’ di storia.
La prima passeggiata spaziale avvenne, come sappiamo, nel 1965. Esattamente il 18 marzo (cinque mesi prima che nascessi io… Così sapete quando farmi gli auguri!).
Alexei Leonov alle 11:35 ora di Mosca uscì nello spazio esterno da un airlock gonfiabile agganciato alla navicella Voskhod-2.
Il cosmonauta. dotato della prima tuta al mondo da impiego nello spazio esterno, la Berkut, uscì dall’abitacolo della cosmonave. Chiudendo il portellone dietro di sé dovette attendere circa mezz’ora affinché la pressione interna al suo angusto habitat gonfiabile venisse azzerata ed equalizzata con lo spazio esterno.
Ma perché mezz’ora?
Per una procedura, necessaria allo scopo di evitare embolie gassose, chiamata degassificazione.
Nelle tute spaziali sovietiche e russe si respira aria e non ossigeno puro; ma, a differenza delle navicelle in cui a pressione è mantenuta più o meno come quella di un volo di linea, nelle tute si porta la miscela azoto/ossigeno ad una pressione di circa il 40% (400 hPa per la precisione dato per 1020 hPa il valore di pressione medio al livello del mare).
Per evitare la formazione di Azoto nel sangue, pericoloso per il fenomeno, mortale, delle embolie gassose, si fa respirare al cosmonauta ossigeno puro per 20 minuti prima di togliere pressione ed equalizzare quella dell’airlock con quella dello spazio esterno. Nel frattempo, l’ossigeno viene sostituito, nella tuta, con aria a 400 hPa, appunto.
Le tute spaziali americane, invece, mantengono un’atmosfera di solo ossigeno, a pressione ancora più bassa: 270 hPa. Sebbene, in questo modo, siano meno rigide e quindi consentono maggiore mobilità, necessitano di un lungo periodo di adattamento pre e post EVA. All’incirca 40 minuti prima ed altrettanti dopo.
Ma dove avvengono queste operazioni? Appunto negli airlock.
Il termine russo di chiusa rende perfettamente l’idea di come funzionino: così come le chiuse, per esempio del canale di Panama, che consentono alle navi di superare dislivelli durante il percorso sulla terra, così nelle camere di equilibrio si entra a pressione ambientale, si chiude il portello interno si fa uscire lentamente l’aria (e nel frattempo si esegue la manovra di degassificazione) e poi si apre il portello esterno e si esce nel vuoto dello spazio.
Sulla terra queste procedure ci sono ben note. Vengono utilizzate per i subacquei, quando risalgono in superficie, per eliminare l’azoto in eccesso dai tessuti, ma anche nelle terapie iperbariche. Insomma, anche se nel caldo viluppo della nostra atmosfera, forzare il nostro organismo a respirare qualcosa di diverso dalla solita miscela di azoto ed ossigeno a 1012 hPa, ci costringe a manovre di adattamento.
Una, semplice, l’abbiamo sperimentata un po' tutti e si tratta della manovra di Valsalva. Detta così chissà che sembra ma chi di noi non si è mai tappato il naso e, spingendo l’aria nelle narici, fatto schioccare le orecchie? Ci capita in aereo, ad esempio, ma anche in montagna. Ecco, questo semplice gesto di compensazione è la manovra di Valsalva. Adattiamo la pressione interna a quella esterna. In un certo senso stiamo effettuando una manovra di decompressione…
Come ho accennato, il primo airlock fu quello, gonfiabile, della Voskhod-2. Per motivi di spazio, ma, soprattutto, di sicurezza, si è ritenuto più opportuno isolare la navicella dalla zona destinata alle operazioni di decompressione e riequilibrio. Leonov si infilò nello stretto tubo gonfiabile e, una volta chiuso il portellone dietro di sé, iniziò la procedura di degassificazione per eliminare l’azoto in eccesso nei tessuti. Quindi, portata la pressione della tuta a 400 hPa di aria, ha aperto il portello esterno e si è spinto fuori.
Disse lo stesso Leonov che, vedendo la terra fuori dalla Voskhod, avesse pensato “Caspita! Allora è davvero rotonda!” Posso solo immaginare la sua emozione in quel momento.
Nella mia recente intervista ad Alexander Misurkin, che di EVA ne ha fatte quattro, il cosmonauta mi raccontò di aver sentito la stessa emozione tutte e quattro le volte, specialmente nei rari momenti di riposo. Sicuramente anche Samantha Cristoforetti e, prima di lei Luca Parmitano, hanno provato lo stesso.
Un po' meno complicata fu la procedura che seguì, qualche mese dopo, Ed White durante la sua passeggiata spaziale il 3 agosto 1965 con Gemini 4 (ancora non ero nato ma poco ci mancava…). A dire il vero (qui Leonov lo raccontò in modo abbastanza malizioso nel suo libro “Two sides of the Moon”), dopo la missione della Voskhod-2 a Leonov ed a Belyaev vennero fatte molte domande da parte di funzionari della Nasa venuti in visita in Unione Sovietica. Non fu quindi un caso se la tuta di White avesse delle giunture sui gomiti e ginocchia rinforzate da delle strisce di materiale e che la Gemini non adottasse il sistema dell’airlock gonfiabile. L’esperienza della Voskhod era servita ad evitare un rischio (quello della tuta che diventa una corazza) ed a fugare un timore (quello che il compartimento di equilibrio debba necessariamente essere isolato dalla nave).
Durante le missioni Apollo e le prime Sojuz, le uscite nello spazio venivano fatte direttamente dalla navicella. A dire il vero la Sojuz ha un portello per l’uscita nella sezione BO, quella sferica sopra il modulo di discesa a forma di campana. In caso di EVA, la BO viene isolata dal resto della nave (si fa lo stesso anche quando uno dei cosmonauti va… In bagno! Sì, perché la Sojuz ha una sua toilette nella BO. Quando il viaggio verso la ISS durava giorni e poi sei ore, era prassi diffusa. Oggi ce ne vogliono solo due di ore, di norma si riesce a “trattenere” …).
Con l’avvento delle stazioni spaziali, dalle Saljut allo Skylab, ma anche con lo Shuttle, si è resa necessaria la creazione di veri e propri compartimenti ad hoc per questo tipo di attività. Il motivo è semplice: Un conto è utilizzare una struttura in una missione di massimo quindici giorni (come fu ad esempio il volo della Sojuz-9), un altro è utilizzarne una che deve restare esposta alle temperature estreme dello spazio per mesi se non anni.
E vengo al punto…
Queste temperature estreme letteralmente cuociono i materiali durante l’esposizione al sole e li congelano durante i periodi in ombra. Tali stress termici, a lungo andare, distruggono le guarnizioni e le giunture. Per questo motivo devono essere creati degli ambienti appositi con delle specifiche protezioni esterne per i portelli. C’è un video, di cui allego una foto da questi estratta, in cui si vede un astronauta sporgersi da quello che sembra un portello aperto verso l’esterno e parzialmente bruciacchiato. Qualcuno, sotto al video originale, ci ha ironizzato nei commenti (oramai l’autore di commenti memorabili è diventato il mestiere più diffuso in Italia…), ma bastava vedere il video per capire che si trattava di una copertura di protezione. Difatti il portello a tenuta è ben sotto il tubo di uscita proprio per il motivo già detto di salvaguardarne le giunture e guarnizioni a tenuta dalle temperature estreme del cosmo.
Nella ISS ve ne sono diversi di airlock. Sostanzialmente hanno tutti le stesse caratteristiche e ve ne descriverò la componentistica di base. Una piccola nota: quello della sezione americana, chiamato Quest, è derivato dall’analogo airlock presente sullo Shuttle.
Ha due compartimenti: uno per la squadra destinata ad uscire all’esterno ed uno di servizio dove sono presenti le attrezzature, sono ricoverate le tute e dove si effettuano le manovre di degassificazione.
Il compartimento che da verso l’esterno è lungo 2,56 m ed ha un diametro di 1,96 m con un volume di 4,25 mc. Sostanzialmente in questo scomparto vi sono solo i comandi manuali ed elettronici per aprire e chiudere il portello, interno.
Il compartimento di servizio è lungo 2.96 m, con un diametro di 4,44 m ed un volume di 29,7 mc.
E' isolato dalla stazione con un portello interno ed uno che da sul compartimento di uscita.
Qui sono presenti i quadri di controllo per le verifiche delle apparecchiature delle tute, le pompe per le manovre di degassificazione e quelle per l’estrazione ed il riequilibrio dell’atmosfera, per consentire il passaggio del personale all’ambiente esterno. Sono qui presenti anche i bocchettoni per il carico dell’acqua delle tute e per il rifornimento dell’ossigeno per le tute. Inoltre, vi si trovano anche i bocchettoni di scarico dei rifiuti liquidi. Difatti, anche se si indossa un pesante pannolone, la durata media di un’EVA è di circa sei ore e quindi è possibile che all’interno vi siano anche rifiuti liquidi da smaltire.
Gli airlock presenti nella sezione russa sono fondamentalmente uguali. Dovendo operare con tute Orlan che hanno un atmosfera di azoto/ossigeno, il pompaggio dell’ossigeno avviene solo nella prima fase di degassificazione, dopodiché si pompa aria al 40% della pressione normale.
Due piccole curiosità:
La prima:
I portelloni sono incernierati in maniera che si aprano verso l’interno se sul lato rivolto allo spazio e verso l’esterno se dal lato rivolto verso la nave. Perché questo? Per il semplice fatto che sarà la pressione dell’aria stessa a spingere il portello sulle giunture favorendo la chiusura ermetica. È sempre stato fatto così… Tranne una volta!
Ve ne parlai nell’articolo dedicato ai due cosmonauti che dovettero imparare ad eseguire un’EVA per mezzo di alcune videocassette. Successe durante l’installazione del modulo Kvant-2 della stazione spaziale sovietica MIR, nel dicembre del 1989. Il portello esterno dell’airlock del modulo Kvant-2 era montato con l’apertura verso lo spazio! I due cosmonauti non riuscirono a chiuderlo perfettamente e fu grazie all’ingegnosa progettazione del modulo, diviso in tre sezioni isolabili ermeticamente, che riuscirono a rientrare effettuando anche un… IVA (un’attività intraveicolare…). In seguito, il portello venne, fortunatamente, sostituito.
In realtà anche il portello della Gemini-4 si apriva verso lo spazio, ma andò per fortuna tutto bene…
La seconda:
Che fine fa l’aria (o l’ossigeno nel caso delle navicelle americane Gemini ed Apollo) che viene tolta dall’airlock prima di uscire fuori?
Beh, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non si fa uscire all’esterno. Le pompe che fanno il vuoto nell’airlock la immagazzinano dentro degli appositi serbatoi e poi viene reimmessa al rientro degli astronauti/cosmonauti. Non si butta nulla! Anche se comunque, un adeguato ricambio di aria (non si possono aprire le finestre sulla ISS!) viene portato dalle navette di rifornimento Progress Dragon e Cygnus.
Insomma, sembra tutto molto semplice ma, trattandosi di un ambiente ostile come lo spazio, anche ciò che sembra facile richiede procedure complesse ed una tecnologia a prova di errore.
Rappresentazione artistica della prima passeggiata spaziale della storia: 18/03/1965. Notare il portellone esterno dell'airlock. Si apre verso l'interno...
L'airlock gonfiabile della Voskhod-2 esposto al Museo della Cosmonautica di Mosca. Notare i serbatoi sferici per il recupero dell'aria aspirata all'interno durante la fase di decompressione.
(Foto dell'autore)
Foto della passeggiata spaziale di Ed White
Gemini-4 3/8/1965 Notare il portellone, aperto verso l'esterno...
Rappresentazione artistica della storica passeggiata spaziale degli equipaggi delle Sojuz 4 e 5. Anche in questo caso i portelloni si aprono verso... L'interno!
Lo spartano airlock della Saljut esposto al Museo della Cosmonautica di Mosca.
(Foto dell'autore)
Schema del Quest, l'airlock presente nella sezione americana della ISS
Dove si trovano gli airlock nella ISS? Qui.
Un astronauta rientra nel modulo Quest. Notare il "tappo" di protezione. (il portello è dentro il tubo)
Un astronauta sta per uscire fuori dal modulo Quest.
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