Avrei voluto chiamare questo articolo, “le ragazze di Korolev”, ma quando ho iniziato a fare le mie ricerche ho scoperto che il “costruttore capo” non era molto felice di mandare una donna nello spazio. Chi invece ne fu l’entusiasta fautore, fu colui che reclutò i primi cosmonauti: il Generale Nikolai Petrovic Kamanin e questa è la storia delle ragazze che volle portare nel cosmo.
Mettetevi comodi…
Tutto è iniziato, nel 1961, subito dopo il primo volo umano nello spazio con Jurij Gagarin. Il Generale Nikolai Kamanin, nel corso delle interviste che seguirono allo storico evento, si rese conto che moltissime domande che i giornalisti stranieri gli ponevano era riguardo a quando una donna sarebbe andata nello spazio. Intuendo le potenzialità propagandistiche che tale evento avrebbe potuto avere per l’URSS, non gli fu difficile ottenere l’appoggio delle alte sfere del partito nel portare avanti l’idea di un primo volo femminile. Ottenne l’appoggio, fondamentale, di Mstislav Keldysh, progettista anche del celebre “spazioplano” derivato dal “Silbervogel” tedesco dal cui studio si è partiti per la progettazione della navetta “Buran” (vedi articolo a proposito). Non ottenne, però, in questa fase, l’appoggio del Progettista Capo, il direttore dell’OKB-1: Sergei Pavlovic Korolev restò scettico sulle possibilità di un volo con un equipaggio femminile.
Ma le influenze politiche di Keldysh e di Kamanin, unite all’esigenza di battere ancora una volta gli Stati Uniti, riuscirono nell’intento di far autorizzare il reclutamento, da parte del Comitato Centrale del PCUS, di una nuova classe di 60 cosmonauti tra cui cinque donne. Nel maggio 1962, durante una tournée negli stati Uniti dove Gherman Titov incontrò John Fitzgerald Kennedy e John Glenn, Kamanin ebbe modo di conoscere la celebre aviatrice statunitense Geraldine Cobb. Costei, insieme ad altre dodici candidate, era stata inserita nel cosiddetto gruppo “Mercury 13” (nome coniato in analogia a quello, "Mercury-7", usato per gli astronauti americani del primo gruppo), un gruppo di donne scelte per testare la possibilità di poter far volare una donna nello spazio. Alcuni ricercatori statunitensi, infatti, avevano supposto che le donne potessero essere più adatte al volo spaziale. Normalmente più piccole e leggere (cosa di fondamentale importanza quando ogni grammo inviato nello spazio equivale a molti Kg in più di spinta dei motori), risultavano mediamente più resistenti all’isolamento, più forti dal punto di vista cardiovascolare. Ma, come scrisse Margaret Weitekamp, curatrice del National Air and Space Museum dello Smithsonian nel libro “Right stuff, wrong sex” (La stoffa giusta, il sesso sbagliato), Mercury-13 fu un’iniziativa finanziata privatamente. Una volta dimostrato che una donna avrebbe potuto volare nello spazio, la Nasa non diede alcun seguito al progetto e nessuna della “Mercury-13” volò nello spazio.
Pertanto, intuendo il sempre maggior peso che le relazioni pubbliche (seppur velate dalla segretezza tipica del programma spaziale sovietico) avrebbero svolto nella corsa allo spazio, Mosca decise di “colpire” per prima. Una volta aperta la possibilità alle donne di candidarsi, ben 800 sovietiche presentarono la loro domanda. Di queste 53 vennero prese in considerazione e solo 23 vennero selezionate per i primi controlli medici.
La candidata ideale doveva avere questi requisiti: età non superiore a trent’anni, altezza non superiore a mt. 1,67, peso non superiore a Kg. 69. La laurea non era obbligatoria ma costituiva titolo preferenziale. Se mentre tra i candidati maschi la selezione avveniva esclusivamente tra i piloti collaudatori, tra le donne questo criterio non era applicabili. All’epoca, difatti, sebbene ci fossero state molte pilotesse durante la seconda guerra mondiale, e spesso tra di loro ve se ne trovavano molte che avevano avuto esperienza di combattimento, la loro età non le faceva rientrare entro i limiti ammessi. Si cercarono, quindi, le aspiranti cosmonaute tra le moltissime iscritte alle scuole di paracadutismo che era diventato, dopo gli anni trenta, uno sport molto diffuso. Anche e soprattutto in considerazione del fatto che le Vostock, non essendo dotate di un sistema di frenata sufficientemente adeguato a far atterrare “morbidamente” la capsula col cosmonauta a bordo, espellevano lo stesso all’altitudine di 7 Km per consentirgli la discesa a mezzo di un paracadute, il requisito di avere un brevetto da paracadutista sportivo, costituiva quindi un titolo discriminante per la selezione delle aspiranti cosmonaute. Tra le candidate che arrivarono entro le prime 25 ci fu Marina Popovic; era la moglie del più celebre Pavlo Popovic (Vostock-4, volo in tandem con Andrian Nikolaev, Vostock-3. Agosto 1962). Sembra che non abbia passato i test fisici e psico-attitudinali finali, ma molti documenti sono tutt’ora coperti dal segreto. Forse si trattò di problematiche per così dire “ideologiche”, che certo non ebbe il di lei marito, segretario della sezione del PCUS della “Città Stellata”.
A questo punto conosciamo meglio le candidate che arrivarono alla fase finale della selezione dopo aver superato test medici e psico-attitudinali molto più intensi di quelli dei candidati maschi.
Zhanna Yorkina
Aveva 25 anni quando venne selezionata. Era un’insegnante di una scuola rurale. Paracadutista, parlava tedesco e francese.
Valentina Ponomareva
Moscovita, all’epoca della selezione aveva 28 anni. Docente al dipartimento di Matematica applicata dell’Istituto Steklov, faceva parte dell’Accademia Russa delle Scienze. Appassionata anche di Letteratura (come Gherman Titov…). Venne convinta da un collega, che l’aveva vista volare con un velivolo privato, inoltrando la domanda al suo capo dell’Accademia delle Scienze, Mstislav Keldysh. Questi, si narra, un giorno le chiese: “Perché ti piace volare?”, “Non lo so” rispose la Ponomareva, e lui: “Brava, non possiamo sapere il perché ci piace volare!” Al momento della selezione finale, Valentina Ponomareva era sposata e madre. Gagarin si oppose alla sua candidatura come pilota della Vostock-6 dicendo che non si poteva mettere a repentaglio la vita di una madre e mandarla nello spazio. Il futuro lo avrebbe smentito.
Irina Solovyova
Quando venne contattata, Irina Solovyova aveva 24 anni. Ingegnere, era membro della squadra nazionale di paracadutismo.
Tatiana Kuznetsova
Aveva 20 anni quando venne reclutata. Non era laureata ma lavorava all’Istituto per la ricerca sulle onde radio di Mosca. Membro di spicco del partito, divenne a 20 anni, campionessa nazionale di paracadutismo.
Tatiana Morozycheva
Era un’insegnante d’arte con l’hobby del paracadutismo. Frequentava lo stesso club di paracadutismo di Valentina Tereskhova e parteciparono insieme a moltissime gare. Sembra che la Morozycheva venne scartata perché saltò dei test molto importanti a causa del fatto di essere incinta. Altre versioni dicono che la causa fu da ricercare nel fatto che, politicamente, la Tereskhova fosse decisamente più attiva ed in vista nelle alte sfere del partito.
Di Valentina Tereskhova, sappiamo tutto o quasi. Proveniva da una famiglia operaia, orfana di guerra (padre carrista morto nella cosiddetta “guerra d’inverno”, il conflitto Russo-Finlandese). Lavorò come operaia in una fabbrica di pneumatici e poi in una fabbrica tessile. Eletta segretario del Komsomol (l’organizzazione giovanile del PCUS), divenne campionessa di paracadutismo insieme alla sua amica Tatiana Morozycheva.
All’inizio del 1962, quindi, un gruppo di ragazze si unì ai colleghi uomini per effettuare il loro addestramento da cosmonaute. Racconta Georgji Shonin che era insolito sentire dei nomi di chiamata diversi dai soliti “Falco” (Sokol) o “Rubino” (Rubin). Le ragazze sceglievano identificativi come “Gabbiano” (Chajka) oppure “Betulla” (Bereza). Le stesse ragazze dicevano che i loro colleghi maschi le trattarono bene e le aiutarono molto durante l’addestramento, sebbene all’inizio non nascondessero il loro disagio.
Il primo volo femminile, sull’onda del successo del volo in coppia Vostock-3 e Vostock-4, venne pianificato come un volo da effettuarsi in coppia: Vostock-5 e Vostock-6 sarebbero state entrambe pilotate da donne. Fu proprio Kamanin a spingere con forza in questa direzione. Ma qualche ritardo nell’approntamento delle due capsule, unita al sempre presente scetticismo da parte del Costruttore Capo Korolev sull’opportunità di mandare in volo delle donne, fece vacillare la certezza che questa storica impresa potesse compiersi. Alla fine, si decise per mandare una sola cosmonauta sulla Vostock-6, mentre la 5 sarebbe stata affidata a Valerji Bykovskji.
All’inizio, il trio di candidate tra cui scegliere fu definito in Irina Solovyova, Valentina Tereskhova e Tatiana Kuznetsova. Quest’ultima però, a causa di numerosi problemi di salute, non riuscì a superare tutto l’addestramento prima della fine del 1962 e venne sostituita dalla Ponomareva. Zhanna Yorkina non venne presa in considerazione a causa di un incidente durante un lancio d’addestramento. Dopo una convalescenza di tre mesi, riuscì a completare il programma ma venne messa in disparte per il primo volo con Vostock-6. In seguito, fece parte del gruppo di collaudatori che, insieme a Gherman Titov, collaudò il MiG-105 Spiral, lo spazioplano predecessore della navetta Buran.
Delle tre, la Ponomareva appariva come la più preparata. Come per il gruppo dei primi cosmonauti, anche per le ragazze si poneva molta attenzione, trattandosi di personaggi sotto i riflettori della propaganda sovietica, alle loro abitudini private. La Ponomareva veniva spesso rimproverata per avere, occasionalmente, acceso qualche sigaretta e per essersi intrattenuta in brindisi alcolici coi suoi colleghi. Ben sappiamo come l’alcool (vedi la “radiazione” del povero Grigorij Neljubov e dei suoi compagni di sbronza) ed il fumo (la celebre canzone “14 minuti al lancio”, inno dei cosmonauti venne “censurata” sostituendo la strofa “Fumiamo prima del lancio” con la più casta “cantiamo prima del lancio” durante la sua “esecuzione”, via radio, tra Andrian Nikolaev e Pavlo Popovic durante il volo delle Vostock-3 e 4), fossero mal visti dalla propaganda di stato che volava i cosmonauti eroi senza macchia. Anche la Ponomareva ebbe degli incidenti durante dei lanci col paracadute, ma le lesioni (sebbene leggere) furono tenute nascoste dal suo medico.
Secondo i racconti delle tra candidate al primo volo, tutte concordavano nel dire che non c’era invidia tra di loro. Competizione, sì, ma molta collaborazione. La stessa Tereskhova, a detta delle sue colleghe, si è sempre comportata come una buona amica. Si narra che fu proprio lei, una volta, ad imporsi con Korolev per poter uscire dalla “Città Stellata”. Era, difatti, consentito andare a Mosca da quella località, all’epoca segreta, solo a chi aveva famiglia nella capitale. Ma la Tereskhova un giorno, dopo l’ennesimo rifiuto del permesso per lei e per la Yorkina di potersi recare a Mosca, urlò contro Korolev che le chiedeva per quale motivo dovessero andare a Mosca: “Dobbiamo comprare delle mutande, Compagno Costruttore Capo! Delle mutandine da Donna!!!”. E così ottenne il permesso.
Quando la decisione di far volare la Tereskhova era stata presa, fu Korolev in persona che volle parlare alle riserve Ponomareva e Solovyova. Alla prima spiegò che per motivi di immagine politica (come del resto fu per Gagarin), la Tereskhova rappresentasse meglio l’ideale femminile sovietico essendo proveniente da una famiglia proletaria ed essendo una ex operaia lei stessa. Alla Solovyova disse che, dovendosi la prima donna ad andare nello spazio confrontare con stampa e mezzi di comunicazione di massa di tutto il mondo, Valentina Tereskhova risultasse la scelta migliore.
In fin dei conti, Kruscev voleva un “Gagarin in gonnella” e con la Tereskhova trovò ciò che stava cercando.
Come avvenne per il lancio della Vostock-1, tutte e tre si prepararono come se dovessero essere loro a partire, indossarono le loro tute ma, a differenza di Gagarin e Titov, restarono nel pulmino e non si diressero sulla rampa di lancio.
Nell’articolo dedicato a Valentina Tereskhova, ho raccontato il volo della Vostock-6. Non fu una passeggiata: soffrì di crampi e nausea ed ebbe, alla trentesima orbita, un problema dovuto alla errata, prolungata accensione dell’ultimo stadio che rischiò di far fallire la missione in una drammatica tragedia. Le grida di disperazione della Tereskhova, ricevute a terra, alimentarono anch’esse per anni il mito dei “cosmonauti perduti”. Ma l’errore venne corretto e, sebbene con un angolo sbagliato, Vostock-6 rientrò a terra. Non senza un ultimo problema: la discesa del paracadute stava per terminare in un lago. Fu la bravura della Tereskhova, abile paracadutista, ad evitare il peggio. Atterrò però sbattendo la testa contro una pietra, cosa che le procurò un grosso ematoma in viso. Per questo motivo e per il fatto che aveva la tuta sporca di sangue e vomito, venne recuperata, ripulita, “truccata” e portata nel luogo dell’atterraggio della capsula per inscenare un recupero in perfetto stile. Una piccola curiosità: alla gente accorsa a soccorrerla dopo l’atterraggio, regalò le provviste avanzate. I cosmonauti imbarcavano infatti provviste per dodici giorni, tempo massimo entro il quale la Vostock, in caso di avaria ai retrorazzi, sarebbe deorbitata naturalmente. La cosa non era però consentita poiché si trattava comunque di materiale classificato. Per questo suo “dono” la Tereskhova subì una pesante reprimenda…
Korolev non volle più sentir parlare di voli femminili: non le considerava adatte né alle caratteristiche della Vostock, né a quelle della Voskhod, anche se, in verità, l’equipaggio della Voskhod-3, che non venne mai lanciata, sarebbe stato composto da tre donne. Ma alla morte di Korolev, nel 1966, il progetto venne accantonato e si volle puntare tutto sulla, non perfezionata, Sojuz. E sappiamo come finì per il povero Komarov e la Sojuz-1. Ad ogni modo, con il volo di Valentina Tereskhova, l’URSS aveva battuto ancora una volta gli Stati Uniti. Il risultato propagandistico era arrivato.
La squadra di cosmonaute venne sciolta. Le cinque che arrivarono alla fase finale, ricevettero un alloggio alla Città stellata ed un appannaggio mensile di ottimo livello considerando gli standard Sovietici.
Tatiana Kuznetsova restò presso il centro di addestramento dei cosmonauti fino al 1979. Colonnello dell’Aviazione, è morta nel 2018.
Irina Solovyova, dopo la fine del programma Vostock, si dedicò allo sci alpinismo. Attualmente fa parte della squadra di sci alpinismo “Metelitza” come psicologa e vicecapo spedizione.
Valentina Ponomareva ebbe importanti incarichi nell’industria spaziale sovietica, poi tornò al suo primo amore: la letteratura, pubblicando numerosi libri.
Tatiana Morozycheva tornò al paracadutismo sportivo e poi si dedicò anche lei al primo amore: l’arte. Purtroppo, diventò un’alcolista e, sebbene confortata sempre dall’amicizia di Valentina Tereskhova, le conseguenze del suo stile di vita la portarono alla morte.
Valentina Tereskhova entrò in politica. Sposò Andrian Nikolaev, da cui ebbe una figlia, ma divorziarono negli anni 80. Si risposò nuovamente, con un medico, ma restò vedova. È portavoce della Duma di Stato ed una delle principali figure politiche della Russia. Molto attiva anche in organizzazioni benefiche, ha un legame particolare con il nostro paese poiché si reca spesso in Italia. Ha raccontato che il suo sogno sarebbe di andare su Marte.
Ho accennato alla moglie di Pavlo Popovic, Marina.
Non tutti sanno che, Marina Popovic, divenne una famosissima pilota collaudatrice venendo soprannominata per questo “Miss MiG” (In russo "La signora dei MiG") oppure "La Regina del cielo".
Una piccola curiosità, anzi due:
la prima: sia la Tereskhova che la Kuznetsova si candidarono ad una nuova classe di cosmonauti. Superarono tutti i test psico-attitudinali ma vennero scartate per l’età… Quando si dice essere donne d’acciaio!
La seconda: dopo la Tereskhova si dovettero attendere vent’anni per rivedere una donna nello spazio. Fu Valentin Petrovic Glushko, all’epoca a capo dell’OKB-1, a promettere al Maresciallo dell’aria Savitsky, capo di stato maggiore dell’aviazione strategica Sovietica, che avrebbe presto mandato un’altra donna sovietica nello spazio. Nel 1982 il generale Kamanin, colui che fortemente volle una donna nello spazio, morì. Ma, sempre nel 1982, dopo vent’anni dal volo di Valentina Tereskhova, Svetlana Savitskaya, campionessa di paracadutismo, “Miss Sensation” come era stata soprannominata dalla stampa inglese, figlia del Generale Savitsky compì il secondo volo di una donna nello spazio. Un anno prima di Sally Ride e di molte, molte altre donne, compresa la nostra Samantha Cristoforetti, che hanno varcato la soglia dello spazio.
Epilogo felice:
Nessuna delle “Mercury 13” volò mai nello spazio. Nessuna meno… Wally Funk che, recentemente, è andata nello spazio con un volo suborbitale privato grazie alla capsula New Shepard della Blue Origin. E così, grazie a Jeff Bezos, giustizia è fatta!
Epilogo felice n.2:
Il 5/10/2021 è stata lanciata la Sojuz MS-19. E' stata una missione importante sia perché ha visto la celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri con il rilascio in orbita di una versione miniaturizzata della Divina Commedia realizzata su di una lamina d’oro, sia perché ha portato in orbita il primo attore ed il primo regista di un film girato nello spazio. Il titolo del film è “Вызов” (uscita aprile 2023) che vuol dire “Chiamata” oppure “Sfida” ed il protagonista è una donna. L’attrice russa Yulia Peresild ha volato, insieme al comandante Anton Skaplerov ed al regista Kim Shipenko (quello di “Saljut-7”) rientrando il 30/03/2021.
Dopo la prima donna nello spazio, la Russia ha avuto anche la prima attrice.
Nikolai Petrovic Kamanin (1908-1982)
Marina Popovic (1931-2017)
"Miss MiG" (traduzione inglese, in russo "La signora dei MiG), oppure la "Regina del cielo".
Tatiana Morozycheva (1939-2001)
Irina Solovyova (1937)
Tatiana Kuznetsova (1941-2018)
Valentina Ponomareva (1933)
Zhanna Yorkina (1939-2015)
Valentina Tereskhova (1937)
L'attrice Julia Peresild (1984)
che volerà con la Sojuz MS-19, prima attrice a girare un film nello spazio.
Wally Funk (1939)
L'entusiasmo dei vent'anni dopo il suo volo spaziale, finalmente, ad 82 anni. Quasi sessant'anni dopo essere stata candidata a volare con le Mercury.
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