Il progetto Buran (tempesta di neve) nasce negli anni settanta, esattamente nel 1974, sotto la guida di Valentin Glushko che, rilevando Vasikji Mishin a capo dell’OKB-1, unì i due uffici di progettazione 1 e 456, creando l’NPO-ENERGHIA; sembrerebbe un progetto nato come risposta al programma spaziale Space Shuttle americano, ma in realtà l’idea dello spazioplano è molto vecchia.
Fu Tziolkovskji, infatti, agli inizi del XX secolo, a preconizzare l’utilizzo di un veicolo che, partito come un razzo, potesse entrare in orbita e poi atterrare come un aliante. Negli anni trenta, Korolev, padre del programma spaziale Sovietico, durante i suoi studi presso l’RNII, l’Istituto per la propulsione a razzo di Leningrado, lavorò, proprio insieme a Glushko, al progetto del RP318 (raketoplan-318 = aerorazzo 318) che era, appunto, un veicolo che, una volta lanciato in orbita come un razzo, sarebbe potuto rientrare planando (o volando sospinto da motori a getto) a terra come un aeroplano.
Durante la II Guerra mondiale, due scienziati tedeschi, Eugene Sanger ed Irene Brendt, progettarono il Silbervogel (uccello d’argento), soprannominato anche “Bombardiere antipodico”: un velivolo che, dopo essere stato lanciato da una slitta a razzo, con un volo suborbitale poteva bombardare gli Stati Uniti e rientrare, planando, nell’Atlantico. Dopo la guerra, sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica, vennero in possesso dei progetti nazisti. L’aeronautica Statunitense varò il programma DynaSoar, che poi sfociò nello Shuttle. L’Unione Sovietica, dal canto suo, elaborò il Silbervogel nel progetto, mai realizzato, del Bombardiere di Keldysh. Dopo la rinuncia dell’URSS al programma lunare, preoccupata per la minaccia militare che uno spazioplano come l’X-20 Dynasoar poteva comportare, si decise di investire risorse in un progetto analogo. Fu incaricato di ciò l’OKB-52, diretto da Vladimir Chelomei (padre, insieme a Glushko del glorioso lanciatore pesante Proton). Insieme alla Mikoyan-Gurevic, venne prodotto il MiG-105 “Spiral”, aereo in grado di essere lanciato da un velivolo supersonico, andare in orbita per mezzo del suo motore e poi atterrare come un aliante. Il MiG-105 effettuò numerosi voli di collaudo nell’atmosfera prima che il progetto venisse abbandonato, facendo confluire le risorse nella navetta Buran. Nota di colore: a capo del progetto “Spiral” vi era Gherman Titov, secondo uomo ad andare nello spazio con la Vostock-2, che ha pilotato personalmente, in diverse occasioni, il MiG-105.
Tornando a Glushko, una volta a capo dell’NPO-Energhia, decise di dedicarsi ad un sistema dotato di un lanciatore, il famoso “Energhia” appunto, che poteva anche essere utilizzato senza la navetta. Ed in questo ambito vennero effettuati diversi test con la versione semplificata M, dei quali uno con il lancio, avvenuto con successo, di un satellite militare, il Polyus. Il lanciatore Energhia, che è stato classificato tra i più potenti mai costruiti, aveva quattro boosters al primo stadio. Simili nella forma a quelli dello shuttle americano, in realtà erano molto differenti: ogni booster era composto da 4 motori RD-170 a combustibile liquido, contrariamente a quelli americani che erano a combustibile solido. Il secondo stadio era costituito da due motori RD-0120, sempre a combustibile liquido. A differenza dello Shuttle americano, il lanciatore Energhia era completamente recuperabile e riutilizzabile. La navetta fu sviluppata partendo da un prototipo, denominato BOR (Беспилотный Орбитальный Ракетоплан, Bespilotnyi Orbital'nyi Raketoplan, cioè Aerorazzo Orbitale Senza pilota), che effettuò numerosi test sia in atmosfera che in orbita. Il BOR veniva lanciato da un lanciatore Kosmos-3; dopo il volo orbitale rientrava nell’atmosfera. Vennero realizzate due versioni del BOR: le BOR-4, che era sostanzialmente un MiG-105 senza pilota, e le BOR-5 che erano delle Buran in scala. Servirono ad affinare tutte le componentistiche della futura navetta. Le BOR-4 non erano dotate di sistemi di controllo aerodinamico e quindi venivano fatte ammarare nell’Oceano Indiano dopo essere state rallentate con dei normali paracadute; le BOR-5, invece, come le Buran, effettuavano la planata automaticamente ed atterravano in una normale pista.
Conclusi i test con le BOR, il passo successivo fu quello di effettuare i voli atmosferici con delle Buran equipaggiate, a differenza dei test dello shuttle Enterprise che era un aliante, con dei jet. Vennero realizzati due prototipi: La BTS-001 che era un mockup in legno con tutti i sistemi di avionica funzionanti ma che venne usato solo come simulatore a terra, e la BTS-002 che volò realmente. A differenza della Buran definitiva, aveva tre jet in coda. Come un normale aereo, decollava dalla pista creata appositamente a Baikonur, arrivava ad un’altitudine di 20 km e, spegnendo i jet, planava simulando il rientro. I collaudatori Rimantas Stankyavichus, Aleksandr Shyukin e Anatoly Levchenko effettuarono numerosissimi tests alla fine dei quali tutti i sistemi vennero approvati per il volo.
Il 15 Novembre 1988, dal Cosmodromo di Baikonur, venne lanciata la Buran (sigla OK 1.01). Completò con successo due orbite ed in tutto la missione, completamente automatica, durò 3 ore 25’ e 22”. L’atterraggio, automatizzato, avvenne nello stesso Cosmodromo. Un secondo volo, sempre senza equipaggio, ma della durata di 15-20 giorni, era in programma all’inizio degli anni 90. Ma la dissoluzione dell’Unione Sovietica cancellò il progetto.
Il sistema Buran-Energhia era considerato la spina dorsale di tutto il programma delle stazioni spaziali modulari nate con la Saljut-7. Questa stessa stazione spaziale, portata in un’orbita record di 471 km dal traghetto TKS, si sarebbe dovuta recuperare da una Buran. La stessa Mir era dotata di un portellone di aggancio di tipo APAS-89 “non androgino” a prua del modulo Kristall, destinato all’attracco delle navette Buran. Lo stesso modulo venne, poi, usato per agganciare lo Shuttle Atlantis durante il programma Shuttle-Mir.
Il sistema Buran-Energhia, complessivamente, pesava 42 tonnellate, con una capacità di carico utile di 30 tonnellate, 25 tonnellate potevano essere riportate a terra. Differentemente, lo Shuttle poteva portare in orbita 25 tonnellate e poteva rientrare con 15 tonnellate di carico.
Come da tradizione russa, il sistema Buran-Energhia veniva trasportato orizzontalmente su speciali carri ferroviari ed issato sulla rampa così come avviene per i lanciatori Sojuz e Proton. A differenza del suo omologo sovietico, lo Shuttle veniva trasportato in verticale su di un carro cingolato di velocità nettamente inferiore (circa 1 Km/h).
Il lanciatore Energhia non era rivestito in schiuma, pertanto un incidente simile a quello che portò alla distruzione delle Shuttle Columbia, non sarebbe stato possibile. Inoltre, i booster non erano costruiti in sezioni, rendendo impossibile un incidente analogo alla tragedia del Challenger.
La navetta era lunga 36,37mt con un’apertura alare di 23,92 mt con un vano di carico lungo 18,55 mt.
Secondo alcune fonti (https://space.stackexchange.com/questions/26095/what-engines-did-or-could-buran-have), la Buran, a differenza della Shuttle, avrebbe potuto avere dei motori a jet in coda, gli stessi del caccia Sukhoi SU27, che le avrebbero conferito la capacità di poter “riattaccare” in caso di aborto dell’atterraggio. Questi motori, presenti nel prototipo BTS-002, non erano installati nel veicolo OK 1.01 che andò in orbita. Ma non è detto che, in futuro, non potessero essere implementati. Di fatto, l’assenza di motori in coda, eccezion fatta per i due getti di controllo RCS, aumentava di molto la capacità del vano di carico e riduceva drasticamente le operazioni di ricondizionamento del veicolo seguenti al suo rientro a terra prima del successivo lancio.
La flotta delle Buran avrebbe dovuto essere costituita da tre veicoli: La Buran (OK 1), che volò ma andò distrutta insieme al lanciatore Energhia, nell’Hangar in cui si trovava a Baikonur a causa di un violento tornado che distrusse il tetto della struttura; la Ptichka (uccellino) siglato OK 2 che venne smantellata, e la Baikal (OK 3) che non venne completata e della quale resta solo, come attrazione turistica, la parte dell’abitacolo. I prototipi BTS-001 e BTS-002 sono, rispettivamente il primo esposto al Parco VDnkHa di Mosca (precedentemente presso il Gorkji Park di Mosca, dove l’ho cercato invano…), il secondo, dopo uno spettacolare trasporto su chiatta nel Fiume Reno, si trova esposto presso il Museo dello Spazio di Spira, presso Francoforte sul Meno, in Germania.
Ultima particolarità del progetto Buran è quella delle tute realizzate per l’equipaggio. Difatti vennero realizzate e testate anche in volo, le tute Strizh (rondine) che somigliano molto a quelle in uso negli shuttle americani. Parzialmente pressurizzate, sono più leggere delle Sokol, attualmente in uso sulle Sojuz. Come sistema di evacuazione di emergenza, la Buran disponeva di sediolini ejettabili per tutto l’equipaggio che poteva essere costituito di massimo 10 persone.
Fu considerato il più costoso progetto mai realizzato dall’Unione Sovietica, con una spesa totale di ben 16,4 miliardi di Rubli. Molti definirono questa cifra un inutile spreco di denaro, ma il Buran ci ha lasciato una grande eredità. I suoi motori a ciclo chiuso RD-170, sviluppati da Valentin Glushko, ancora vivono nelle loro evoluzioni: l’RD-180, versione semplificata a due camere di combustione che equipaggia con successo il lanciatore Statunitense ALTAS-V e L’RD-191, versione a camera di combustione singola che equipaggia i lanciatori Angara, eredi del glorioso Proton e lo statunitense Antares della ULA. Il sistema di aggancio non androgino APAS-95, derivato dall’APAS-89 a sua volta derivato dall’APAS-75 della missione Apollo-Sojuz, è tutt’ora utilizzato nella ISS per l’attracco dei moduli MPV e delle Dragon, ed in futuro, per la CST-100 e per il Dream Chaser.
Recentemente l’Amministratore delegato di Roskosmos, Dmitri Ragozin, ha ventilato l’ipotesi di ritornare su di un progetto di spazioplano riutilizzabile sul tipo della Buran. Non si tratterà, della resurrezione della spettacolare navetta sovietica, piuttosto della ripresa del progetto Kliper per un veicolo completamente riutilizzabile da impiegare per le orbite basse. Staremo a vedere…
Lo Space Shuttle Americano e la Buran Sovietica (a destra) a confronto.
Dal progetto di Tziolkowskji al Dynasoar: i precursori degli spazioplani
Dallo "Spiral" alla "Buran"
Motori, tute e sediolini...
15/11/1988
Il primo (ed unico) lancio della Buran
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