Ricordate il lanciatore Energhia? Quello del Buran, lanciato il 15/11/1988?
Ebbene, fece un altro lancio prima di quello, esattamente il 15/05/1988, portando “in groppa” un satellite chiamato Polyus di cui se ne sa poco… Fin ora. Da un articolo pubblicato su Buran.ru, ho ricostruito la storia di un veicolo davvero notevole. Mettetevi comodi…
Anni 80. Guerra fredda.
Siamo nel 1983 e Ronald Reagan fece approvare al Congresso degli Stati Uniti d’America, un faraonico progetto denominato SDI (Strategic Defense Initiative – Iniziativa di difesa strategica), subito ribattezzato “Scudo stellare” o “Guerre Stellari”. Dal costo iniziale di 44 miliardi di Dollari, sarebbe dovuto servire per inibire la capacità offensiva del “nemico” (all’epoca “l’Impero del Male, cioè l’URSS) distruggendo qualsiasi testata nucleare fosse stata lanciata verso il territorio degli Stati Uniti, utilizzando vari sistemi tra cui lanci di missile antimissile e satelliti dotati di armi laser.
Se in patria la SDI raccolse molte critiche, vuoi per il costo elevatissimo del progetto, vuoi per la palese violazione di tutta una serie di trattati sulla non proliferazione delle armi nello spazio, soprattutto dell’“outer space treaty” del 1967, dall’altra ”parte del muro” venne accolta con molta preoccupazione. E, probabilmente, questo “bluff” servì a far accelerare il processo di disgregazione dell’apparato militare Sovietico.
Ma facciamo un passo indietro…
Le armi antisatellite sono state sviluppate, da ambo le parti, sin dagli albori della corsa allo spazio.
Lo "SKIF" (in alto) ed il "KASKADE"
Gli Stati Uniti, all’alba del volo dello Sputnik 1, iniziarono a sperimentare armi in grado di distruggere le testate nucleari in arrivo. Difatti i primi test vennero svolti tra il 1958 ed il 1959. Il “Bold Orion”, tale era la designazione del progetto di missile ALBM (aviolanciato), arrivò a 6,8 km dal satellite Explorer 6. Se avesse utilizzato una testata nucleare, avrebbe distrutto il suo bersaglio. Altri studi vennero fatti sull’utilizzo di armi laser, a partire dal 1968. Con l’avvio del programma Shuttle, la prospettiva di usare armi laser e testate convenzionali nello spazio si fece più concreta.
La prima risposta sovietica fu, nel 1968, il sistema IS (Истребитель Спутник, leggi Istrebitel’ Sputnik – Intercettore di satelliti). Era un progetto che si basava su un sistema “co-orbitale”, cioè a seguito di un lancio veniva posizionato un satellite in grado di lanciare, con brevissimo preavviso, una testata convenzionale sull’obiettivo. Il progetto prevedeva l’utilizzo di un lanciatore, l’UR200 (versione ridotta del Proton), che però non fu mai sviluppato. Si decise di andare verso altre strade iniziando con il progetto delle stazioni militari OPS (dal russo орбитальных пилотируемых станций, leggi orbital’njikh pilotiruemi’kh stanzji, cioè “Stazioni Orbitali Pilotate”), note col nome di “Almaz”, che vennero lanciate con la denominazione Saljut per confonderle con le stazioni spaziali di tipo “Civile” della omonima serie. Nel corso della missione “Almaz-2”, da noi conosciuta come Saljut-3, i cosmonauti Jurji Artjuchin e Pavlo Romanovic Popovic (ricordate? Vostock 4 volo in tandem con Vostock 3) effettuarono il primo esperimento, riuscito, di utilizzo di un’arma nello spazio. Durante il loro rientro, telecomandarono (per paura che un eventuale rinculo del cannone mandasse fuori controllo la Almaz), un cannone a tiro rapido Nudelmann NR30 da 30mm che distrusse un satellite bersaglio.
Il lanciatore Energhia sulla rampa di lancio con, sul dorso, il satellite Polyus
L’avvento dello Shuttle rese necessaria la progettazione di un analogo sistema in grado di portare carichi nello spazio ed essere manovrato e riutilizzato. Venne così varato il progetto Energhia-Buran.
Della Buran e del suo lanciatore Energhia ne ho parlato in un altro articolo, che vi allego in fondo. Il vettore Energhia, era parte di un sistema di lanciatori universali, modulari, di grande potenza destinati, secondo Valentin Petrovich Glushko, che aveva preso le redini del programma spaziale sovietico, al portare l’uomo sulla Luna con una base permanente e su Marte. Ma anche, e qui veniamo al nostro Polyus, a portare in orbita un sofisticato sistema antimissile ed antisatellite.
Il Polyus (con la scritta "MIR-2”) rappresentato in 3d sul dorso del lanciatore Energhia. Notare le gondole coi lanciarazzi derivati dal sistema "Kaskade"
Il Polyus (Polo in russo), derivava dalla fusione di due progetti destinati ad essere portati in orbita dalla stiva del Buran: Lo SKIF (non ridete… Non vuol dire quello che pensate ma “Scita” che è un tipo di barca da regata…), armato di cannoni laser, ed il KASKAD, armato di batterie di missili teleguidati (un’evoluzione del progetto IS). Entrambi agganciabili dal veicolo da trasporto pesante TKS (di cui ho già parlato…) ed ispezionabili da un equipaggio che poteva alloggiare in un comparto pressurizzato.
Ma, per ragioni di ottimizzazione dei costi, si è pensato di utilizzare la esuberante capacità di carico del vettore Energhia per realizzare una evoluzione dei due progetti che li integrasse in uno. E così nacque il Polyus, inizialmente denominato “Skif-D”. Un unico, grande veicolo (37 m di lunghezza, 4,1 m di diametro massimo, 95 tonnellate), agganciabile dalle TKS, in grado di colpire obiettivi (oppure di accecarli) con il laser che di intercettarli con i missili.
Schema del complesso antisatellite "Polyus"
Nel maggio del 1987, tutto era pronto per il lancio. Mascherato con una scritta “MIR-2”, per far pensare ad eventuali “osservatori” che si trattasse di un modulo destinato alla futura nuova stazione spaziale sovietica, venne portato sulla rampa di lancio. Ma eravamo già nell’era di Gorbaciov ed il segretario del PCUS, che della critica alla SDI statunitense ne aveva fatto un cavallo di battaglia, era assolutamente contrario alla proliferazione di armamenti nello spazio. Si narra un aneddoto al proposito: Ronald Reagan, ad un vertice con Gorbaciov, gli prospettò l’idea di condividere la tecnologia dello SDI. Ma il leader sovietico gli rispose: "Mi scusi, Signor Presidente, ma io non considero seriamente la sua idea di condividere la tecnologia dello SDI. Voi non volete neanche condividere l'equipaggiamento petrolifero, le macchine utensili automatiche o l'equipaggiamento agricolo, mentre condividere lo SDI sarebbe una seconda Rivoluzione Americana." Insomma, “Gorby” di portare armi nello spazio non ne voleva proprio (meno male) sentire parlare…
Con questi presupposti nel maggio del 1987, appunto, si recò in visita al Cosmodromo di Baikonur per ispezionare il lancio. E come arrivò fu chiaro: apprezzava il lavoro, lo sforzo e l’impegno, ma non voleva vedere armi nello spazio. In tutta fretta venne smantellato dal complesso Polyus-Energhia tutto il materiale “speciale”. E quindi, da arma strategica difensiva, lo SKIF-DM o Polyus, si trasformò in un costoso satellite per lo studio dei fenomeni di induzione nella ionosfera. Difatti vennero lasciati alcuni apparati “civili” il DI-HF-1/1 e DI-HF-1/2 volti proprio allo studio dei fenomeni provocati dalla generazione di onde artificiali nell’alta atmosfera.
Rappresentazione 3d del "Polyus" in orbita
Il lancio avvenne con successo alle 21:30, ora di Mosca del 15/5/1987. Il primo stadio si è separato con successo, così come il secondo ma, dopo 52 secondi dal distacco di quest’ultimo è sopraggiunto il problema. Il Polyus, per motivi di carico sul lanciatore Energhia (come detto era collocato “sulla groppa” del veicolo di lancio) era posizionato ruotato di 180°. Una volta distaccato dal vettore, il sistema di guida inerziale lo avrebbe ruotato di altri 180° in modo da consentire ai motori di fornire il corretto vettore di spinta finale. Ma il sistema di guida fece ruotare il complesso di 360° riposizionando i motori, al momento dell’accensione, nel vettore inverso. La spinta fece, anziché accelerare il Polyus verso l’orbita, frenare il satellite facendolo rientrare nell’atmosfera. A questo punto non ci fu altro da fare che indirizzarlo verso una traiettoria sicura ed il Polyus, sofisticata arma trasformata in un satellite pseudo-scientifico all’ultimo momento, terminò la sua breve ma intensa vita nelle acque dell’Oceano Pacifico.
Analizzando ex-post il guasto si è scoperto che il malfunzionamento era dovuto al software di guida che, preso dalla navicella TKS, non era stato riprogrammato a dovere. Una ingloriosa e banale fine per un progetto estremamente sofisticato ed ambizioso.
Ma la Perestrojika aveva preso la sua strada. Come detto, Gorbaciov era contrario allo sviluppo di sistemi d’arma spaziali ed il programma, seppur tenuto in vita altri due anni, venne progressivamente smantellato. E con lui anche il complesso Energhia-Buran anche se, come nella migliore tradizione russa, nulla viene definitivamente perduto. I motori dell’Energhia, difatti, gli RD-170 sono la base degli RD-180 che equipaggiano gli ATLAS V e gli RD-191 del lanciatore Angara.
Link all’articolo sulla Buran e sul lanciatore Energhia:
Il "Polyus" in azione con il laser