Il lanciatore Sojuz è la naturale evoluzione del primo ICBM della storia: l’R7 “Semjorka”.
Nel 1953 l’OKB n°1, diretto da Sergei Pavlovic Korolev, venne incaricato di fornire il primo missile balistico intercontinentale all’Unione Sovietica. Questo ufficio iniziò a sviluppare, dalle conoscenze acquisite con le V2 tedesche catturate dopo la ritirata nazista, dei vettori multistadio di tipo tradizionale: primo stadio in coda e stadi successivi sopra. La relativa poca potenza dei motori di cui l’industria sovietica disponeva, che venivano sviluppati dall’OKB-52, rendeva l’impresa di poter lanciare un carico in una traiettoria suborbitale o, meglio ancora, orbitale, un sogno impossibile.
La struttura del razzo rendeva lo stesso pesante ed il vantaggio in termini di spinta che derivava dall’adottare un primo stadio più performante, si perdeva con il peso che lo stesso doveva sollevare. I primi prototipi, dall’R-2 all’ R-5, seguendo questa filosofia tradizionale, erano stati un fallimento.
Faccio un piccolo inciso: Korolev denominava i suoi vettori con la sigla “R” che sta per “Raketa” cioè “Razzo”. Quindi R-1 era il razzo numero uno e così via. Molto semplice e molto Russo…
Ma un bel giorno ebbe una fantastica intuizione: spostare il primo stadio non più in coda, ma attorno al secondo stadio. Quattro blocchi con un motore ciascuno a quattro camere di combustione posti intorno ad un blocco centrale, anch’esso con un motore a quattro camere. L’accensione simultanea dei 20 getti del primo e del secondo stadio, conferiva al lanciatore l’impulso necessario per arrivare ad una altitudine utile al lancio delle testate nucleari con una traiettoria parabolica suborbitale. Il secondo stadio, molto più grande del normale, garantiva l’impulso anche dopo lo sgancio dei quattro blocchi del primo stadio. Era il colpo di genio.
Il primo volo, dopo due tentativi falliti, si ebbe il 21/08/1957 da un poligono militare sperduto nelle steppe del Kazakistan. La località è nota come Tjuratam, ma il mondo la conosce per il nome della cittadina più vicina: Baikonur.
Tanto l’entusiasmo di Korolev nella sua geniale intuizione, che volle dare all’R-7 un vezzeggiativo: In russo “settimo” si dice седьмой. Tanto che gli stava a cuore la sua creatura che volle battezzarlo семёрка, cioè il piccolo settimo, oppure il “Settimuccio”.
In realtà il nome di progetto è 8K71 e questo prefisso lo accompagnerà per tutte le versioni fino alla fine del programma Vostock. Originariamente era un veicolo a due stadi dell’altezza di 31,7 metri (compreso l’ogiva) e dal peso di 272 tonnellate. Dotato di 4 blocchi di 4 motori RD-107 a quattro camere di combustione ciascuno, più due motori direzionali per ogni blocco a singola camera di combustione, denominati Block B, C, D, E, posizionati intorno al secondo stadio, detto Block A, con un motore Rd-108 quattro camere ed un motore direzionale ad una camera singola, poteva essere reso operativo in due ore e restare sulla rampa con il combustibile carico ed in pressione per 30 giorni. Come ICBM non era un granché: Korolev aveva avuto l’incarico di dotare l’Unione Sovietica di un lanciatore Intercontinentale e questo gli consegnò il capo dell’OKB-1, ma il suo intento non era fornire un’arma di guerra (fatto sta che l’R7, schierato in soli 6 esemplari, venne ritirato dall’impiego militare nel 1960), ma un lanciatore per le sue navi spaziali. Incassato il successo militare, lo sviluppo del missile balistico venne affidato ad altri e Korolev poté sviluppare il suo “Settimuccio”.
Con il programma Vostock il lanciatore R7, siglato 8K72, si dotò di un terzo stadio (mutuato dal programma “Luna”), sostituendo i motori Rd-105 di questi con i più performanti Rd-109: l’altezza saliva a 41 metri ed il peso a circa 290 tonnellate. Tra il secondo ed il terzo stadio vi è tutt’ora un anello interstadio formato da una struttura reticolare metallica. Ciò è necessario per consentire lo sfogo dei gas del motore del terzo stadio che, per evitare problemi di innesco dell’alimentazione delle sue turbopompe, viene acceso prima del distacco del secondo stadio con ancora il motore di questo in funzione.
Due curiosità che riguardano dei sistemi molto “Russi”, cioè semplici ed efficaci, in uso ancora oggi sono:
L’innesco dei motori ed il sistema di controllo del riempimento dei serbatoi del lanciatore.
Il sistema PZU, da sempre in uso sui lanciatori della famiglia R7, consiste in un… enorme petardo! Sì, è vero, si tratta di un petardo, fissato ad una struttura in legno a forma di “T”, che viene inserito sotto le ogive dei motori ed azionato elettricamente non appena viene dato il comando di scarico delle camere di combustione. L’accensione direttamente nella camera di scoppio del petardo, accende il motore. Dal 1957 non ha mai fallito un colpo ed ha il grandissimo vantaggio di poter essere reso operativo in appena un’ora.
Per controllare il carico dei serbatoi del lanciatore si usa, ancora oggi, una vernice che contrasta con la brina che si forma a causa della bassa temperatura del combustibile e dell'ossidante. Guardando un lanciatore Sojuz nel momento in cui percorre il tragitto dal centro di assemblaggio alla rampa di lancio, si nota una colorazione verde militare opaca. Non appena il vettore è in posizione sulla rampa di lancio, il colore del lanciatore diventa bianco brillante. Questo è l’effetto. Il colore rivela agli osservatori esterni lo stato dell’operazione di riempimento dei serbatoi ed anche durante il volo, rende immediatamente visibile lo stato di svuotamento dei contenitori del carburante.
Con il programma Voskhod, l’R7 cambia denominazione in 11A59: il terzo stadio si dota dei nuovi motori RD-110. Il cambiamento più consistente avverrà con il programma Sojuz dove il lanciatore, siglato 11A511, vedrà l’incremento dei serbatoi del primo, del secondo e del terzo stadio attestandosi su di un’altezza di 49 metri ed un peso di 308 tonnellate. La spinta del primo stadio è di 838kN, mentre il secondo stadio fornisce una spinta di 779kN, che nelle fasi iniziali del volo si sommano a quelli del primo stadio. Per inciso, la versione usata per la missione Apollo ASTP/Sojuz-19, è stata la U, siglata 11A511U. Il lanciatore, nelle versioni per il volo umano, ha una torre di salvataggio denominata SAS, in grado di riportare a terra il modulo di rientro nei primi 114 secondi dal lancio.
Attualmente, per i voli umani, è in uso la versione Sojuz 2.1A. Dotata di un diverso sistema di direzionalità dei motori laterali, è in grado di essere lanciata da piattaforme con inclinazione pari a 0°. Inoltre, i motori RD-107A ed RD-108A del primo stadio e dei blocchi laterali, forniscono la spinta necessaria sia al raggiungimento dell’orbita bassa in sole due ore, che la possibilità di portare un carico utile di 8300 kg.
Particolare e praticamente immutata dai tempi delle Sputnik, è la torre di lancio. Dotata di un sistema denominato Tyulpan, è un complesso semipermanente. La piazzola di lancio è fissa, dotata di tutti i sistemi per il contenimento dell’ignizione dei gas di scarico, mentre la rampa vera e propria viene trasportata a bordo si uno speciale carro ferroviario direttamente dall’edificio di assemblaggio. Una volta che il lanciatore si trova sulla piazzola, in sistema idraulico lo solleva insieme alla rampa. Non appena in posizione, in lanciatore viene depositato su di un “petalo” di contrappesi che, sfruttando ingegnosamente il peso del vettore, lo serrano con delle morse laterali in posizione. Viene quindi sollevata la struttura di servizio dotata anche delle passerelle e degli ascensori per il personale tecnico e l’eventuale equipaggio. A questo punto il carro ferroviario viene allontanato. Nelle ultime fasi prima del lancio, la torre di servizio e le torri ausiliarie vengono rilasciate. Il lanciatore, ora libero, è tenuto fermo dalle morse e dal proprio peso. L’accensione dei motori farà il resto, liberando progressivamente il peso dal sistema a contrappesi e, conseguentemente, aprendo le morse di ritegno. Un sistema tanto ingegnoso quanto semplice. Nella vera tradizione russa…
Qualche piccola curiosità legata ai lanciatori della famiglia R7:
Lo sapevate che ogni blocco del primo e del secondo stadio ha un suo nome?
Difatti, essendo ordinati in base alle lettere dell’alfabeto cirillico, si chiamano, rispettivamente: Andrei (il blocco A), Boris (il blocco B), Vladimir (il blocco V), Grigorji (il blocco G) e Dimitri (Il blocco D). Se sentite questi nomi durante le fasi di lancio, non si tratta di persone, ma di parti del lanciatore!
Carina questa cosa, vero? Ma ce n’è un’altra: ogni lanciatore Sojuz che parte dal cosmodromo militare di Plesetsk, ha un nome: Tatiana. Chi è Tatianaaa? Direbbe il comico Gabriele Cirilli; si trattava, invece della fidanzata di un anonimo militare di sentinella alla rampa prima del lancio del primo R7 da Plesetsk, appunto. Quella notte del 17 marzo 1966, il buon soldatino aveva nostalgia della sua fidanzata, Tatiana appunto, e scrisse sulla brina prodotta sulla superficie di uno dei blocchi laterali il nome “Tanya” (in cirillico Таня). Il lancio andò bene e, scaramantici come sono, i Russi da quella volta hanno sempre scritto il nome di Tanya su uno dei blocchi laterali di ogni lanciatore della famiglia R7 che parte dal cosmodromo di Plesetsk…
Il lancio dell'R7 con lo Sputnik-1: 4 ottobre 1957
La "famiglia" dei lanciatori R7
Come si chiamano i vari blocchi del primo e del secondo stadio?
Accendere un lanciatore con un petardo? Si può e noi lo facciamo dal 1957, senza sbagliare un colpo! Ecco a voi il PZU, dispositivo pirotecnico di accensione (Un grosso petardo)
Il sistema Tulypan: ovvero mi porto appresso la torre di lancio e mi blocco col mio peso...
Sono un razzo camaleonte... Quando i miei serbatoi sono vuoti, sono di colore verde...
Sono sempre un razzo camaleonte, quando i serbatoi sono pieni, mi coloro di bianco...
Un razzo di nome Tatiana...
Elenco delle varie versioni del lanciatore R7, dal 1957 ad oggi
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