Nata per il programma Lunare, si è rivelata il più longevo, affidabile e versatile mezzo di trasporto per portare gli esseri umani in orbita e consentire loro un sicuro (anche se un pochino brutale) rientro.
Si sarebbe dovuta chiamare “Sever” (Nord in russo), come ideale continuazione dall’Oriente (Vostok) passando per l’Alba (Voskhod). Si decise per “Unione” sia per il fatto che il veicolo era progettato per potersi agganciare ad altre navicelle o stazioni spaziali, sia per simboleggiare il fatto che, in realtà, si tratta di una cosmonave che è l’unione, appunto, di due navi: una per il decollo ed il rientro ed una per l’attività “residenziale”.
Il suo primo volo, senza equipaggio, si è svolto, con un parziale insuccesso, il 28 Novembre 1966. Il primo volo con equipaggio, come raccontato nella sesta puntata della serie “Kosmonautika” sul mio canale YouTube e nell’articolo a lui dedicato, si svolse il 23 Aprile 1967 e si concluse con la tragedia di Vladimir Komarov.
Rispetto ai veicoli che la avevano preceduta, la Vostock e la Voskhod, la Sojuz rappresenta un enorme passo avanti. Più spazio per le persone, maggiore autonomia, possibilità di agganciarsi ad altri veicoli, possibilità di manovra per correggere manualmente assetto e traiettoria e la capacità di atterrare al suolo frenata da dei retrorazzi che si accendono all’altitudine di 8 metri dal terreno.
Alcune di queste caratteristiche, come l’atterraggio “morbido” (che poi tanto morbido non è…) e la capacità di manovra, sono stati sperimentati nei voli delle due Voskhod, specialmente in quello della Voskhod 2 dove al Comandante Belyaev fu necessario deorbitare manualmente, primo nella storia, per rientrare a Terra dopo che il programma automatico era andato in avaria.
La sua forma, nonostante le varie versioni via via succedutesi, non è cambiata. Vediamo, quindi, com’è fatta una Sojuz.
È composta da tre sezioni pressurizzate, una in più delle precedenti cosmonavi.
La prima sezione, a forma di sfera, si chiama Modulo Orbitale o, nella traduzione letterale dal Russo, Sezione abitativa che chiameremo ora in avanti BO. In questa sezione sono dislocate, esternamente, le antenne del sistema di aggancio (IGLA o KURS, a seconda delle versioni), le antenne televisive e la telecamera frontale ed i due portelloni: quello per le eventuali EVA e quello del sistema di aggancio SSVP4000 (dalle versioni 7k-OKS in avanti). Internamente il BO contiene la cosiddetta “Zona giorno”, alcuni oblò dei quali uno dotato di telemetro per aiutare il pilota nell’aggancio manuale, una panca con dei tavolini retrattili per consumare i pasti, scompartimenti per l’alloggiamento delle tute per le attività extraveicolari ed apparecchiature varie per il confort di cosmonauti come scaldavivande e, perfino, una piccola toilette. Io sono entrato dentro la sezione BO di una Sojuz T, in esposizione presso il Museo della Cosmonautica di Mosca. Devo dire che, a parte la verniciatura in turchese tipico dei velivoli militari sovietici, l’ambiente è spartano ma spazioso per tre persone. In occasione della missione congiunta Apollo AST/Sojuz 19, gli astronauti americani ed i loro colleghi russi hanno utilizzato spesso la BO come ritrovo nei momenti di relax. In cinque stavano un pochino stretti ma tutto sommato più comodi che nei loro sediolini. La BO misura 2,6x2,2 metri e pesa 1300 Kg.
La sezione centrale, a forma di campana, si chiama Modulo di rientro, che chiameremo ora in avanti SA. In questa sezione, esternamente rivestita da materiale resistente all’attrito, sono presenti alcuni oblò ed un periscopio che è usato dal vecchio, collaudatissimo ma sempre efficace sistema ottico di puntamento VZOR. C’è anche un grande portellone che viene usato per l’ingresso dei cosmonauti nella navicella e, successivamente, sigillato. In caso di evacuazione di emergenza del SA, nell’impossibilità ad usare i portelli del BO, il portellone sigillato può essere fatto saltare via. All’interno si trovano i sediolini per l’equipaggio (due o tre cosmonauti a seconda delle versioni), le apparecchiature di guida e di controllo del sistema NEPTUNE. Nella parte inferiore del SA si trova lo scudo termico che, prima dell’azionamento dei retrorazzi di atterraggio, viene fatto saltare via. All'altitudine di 8 metri dal suolo, vengono attivati dei retrorazzi frenanti che riducono la velocità di impatto; contestualmente i sediolini Kazbek-UM vengono estesi al massimo per compensare il brutale "atterraggio morbido russo". Di questi due sistemi ve ne ho parlato negli articoli dedicati ai sistemi di sicurezza. La forma di campana fu preferita alla forma sferica delle Vostock e Voskhod per consentire alla cosmonave di poter gestire un angolo di rientro che garantisse una certa portanza. Infatti, la sfera, sebbene consenta ingressi nell’atmosfera con qualsiasi angolo, sottoponeva l’equipaggio ad una notevolissima decelerazione per effetto dell’elevatissimo attrito. Inoltre, non consentiva alcuna correzione della traiettoria di rientro precedentemente impostata. Di contro una sezione sferica avrebbe garantito uno spazio maggiore all’interno. Ma questo problema è stato risolto con l’aggiunta del già visto BO. La SA misura 2,1x2,2 metri e pesa 2900 Kg.
La sezione di coda, di forma vagamente cilindrica, si chiama Modulo di servizio, che chiameremo d’ora in avanti PAO. In questa sezione si trovano, esternamente, i pannelli solari per l’alimentazione di tutte le apparecchiature elettroniche, i sensori per l’orientamento verso la Terra e verso il Sole, le antenne posteriori del sistema KURS (nelle versioni dove questo sistema è presente), i motori principali, i motori di assetto, le antenne radio. Internamente la PAO ha una grande sezione pressurizzata contenente tutti i serbatoi del combustibile per i motori e del sistema di supporto vitale. La PAO viene sganciata, prima del rientro, insieme alla BO. La sezione misura 2,7x2,5 metri e pesa 2600 Kg.
I cosmonauti, all’interno della Sojuz, respirano una normale miscela di aria composta da Azoto ed Ossigeno. Sebbene più pesante da trasportare rispetto al solo ossigeno, mette al riparo i cosmonauti da pericoli di incendi. Inoltre, consente all’equipaggio di indossare normali abiti a bordo, cosa che avvenne dalle missioni dalla 1 alla 11. A seguito della tragedia della Sojuz 11, venne adottata la precauzione di indossare una tuta di volo pressurizzata, chiamata Sokol (falco) per evitare qualsiasi pericolo di incidente causato da una depressurizzazione accidentale durante le manovre di lancio e rientro. Dal 1966 ad oggi sono state realizzate 8 versioni della Sojuz, escludendo le due destinate al volo lunare:
7K-OK, dal 1967 al 1970. Era dotata di un sistema di aggancio di tipo androgino (cioè che ha una componente attiva nella cosmonave ed una passiva nel veicolo bersaglio) e soft docking. Per passare da un veicolo all’altro era necessario uscire all’esterno. La tragedia di Komarov fece indagare l'OKB-1 su eventuali difetti di progettazione del veicolo: dopo il mancato attracco tra la Sojuz 8 e 7 e la tragedia sfiorata del rientro della Sojuz 5, venne scoperto un problema tipico alla versione in uso all’epoca della Cosmonave Sovietica, la 7K-OK. In questa versione era presente un anello che racchiudeva la strumentazione elettronica, raffreddato da elio liquido a pressione, situato nella parte di coda della nave. Questo anello veniva sganciato, insieme al modulo di servizio, al momento del rientro nell’atmosfera. Si è scoperto in maniera indiretta, visto che questi contenitori andavano distrutti nel rientro, che l’intercapedine dove passava l’elio liquido, non fosse perfettamente impermeabile allo stesso. Il gas liquefatto, penetrando nei circuiti, ne causava l’avaria. Questo difetto fu la causa di molti guasti che la versione 7K-OK accusò durante il suo impiego (forse fu anche la causa della morte di Komarov). Con la successiva versione 7K-OKS, il problema venne risolto riprogettando tutto l’apparato.
7K-OKS, dal 1971 al 1972. Era dotato di un nuovo sistema di aggancio, l’SSVP4000 ancora in uso, di tipo androgino hard docking, cioè in grado di consentire il passaggio dei cosmonauti all’interno.
7K-T, dal 1973 al 1981. Anche se il primo volo della 7k-T avvenne con la Sojuz-10 nel 1971, era stata concepita per le missioni da trasporto da e per la stazione spaziale Saljut. Non aveva i pannelli solari, riducendo la durata delle missioni a due giorni per la scarsa autonomia delle batterie. A seguito della tragedia della Sojuz-11, il veicolo venne completamente riprogettato: la SA venne privata di un sediolino per consentire ai cosmonauti di indossare le Sokol.
T, dal 1976 al 1986. Segna il ritorno di nuovi e più efficienti pannelli solari. Il primo esemplare di questo modello, dotato di un connettore universale in luogo del sistema SSVP4000, fu usato nella missione Sojuz 19/Apollo ASTP.
TM, dal 1986 al 2003. Destinato all’uso con la MIR, aveva come principale caratteristica l’utilizzo del nuovo sistema di avvicinamento ed aggancio KURS che consentiva alla Sojuz di agganciarsi alla stazione in maniera del tutto autonoma senza che sia necessario, da parte del bersaglio, di eseguire manovre speculari. Ciò derivò dall’esperienza scaturita durante il salvataggio della stazione saljut-7 da parte dell’equipaggio della Sojuz T-13. Aveva anche un nuovo sistema di comunicazione, un nuovo paracadute di atterraggio ed un nuovo motore.
TMA, dal 2003 al 2011. Dopo il pensionamento degli Shuttle, anche la NASA, ironia della sorte, dovette usare le Sojuz per andare nello spazio. Venne quindi allargata la SA consentendo di alloggiare tre cosmonauti con tute Sokol. Venne dotato anche di schermi LCD per il sistema di guida e controllo NEPTUNE.
TMA-M, dal 2010 al 2016. In questa versione vi è una radicale sostituzione di tutta l’avionica di bordo, col risparmio di circa 70 kg. Il vecchio computer di bordo Argon venne sostituito con il nuovo computer digitale TsVM-101.
MS, dal 2016 ad oggi. È l’ultimo aggiornamento previsto per la gloriosa Sojuz in attesa della nuova cosmonave Orjol. È dotata di pannelli solari più efficienti, motori di manovra ridondanti per evitare avarie, un nuovo sistema di avvicinamento ed attracco KURS NA, ridotto della metà di peso e con consumo elettrico ridotto ad un terzo, che risolve anche un problema “diplomatico” (oggi ancor di più di drammatica attualità) essendo il vecchio Kurs fabbricato in Ucraina. Dispone di due computer TsVM-101 in luogo di uno, un sistema di telemetria digitale satellitare che consente le comunicazioni anche quando non siano in vista stazioni di terra russe e la possibilità di utilizzare tutte le reti satellitari di localizzazione, sia le civili Glonass che GPS che le militari Cospar e Sarsat.
Derivate dalla Sojuz sono le Progress, destinate al trasporto di materiali ed allo smaltimento dei rifiuti in quanto, sprovviste di sistema di rientro, vengono fatte bruciare al rientro nell’atmosfera, ma, soprattutto, la Shenzhou cinese che non è altro che una Sojuz MS vitaminizzata perché dotata di una BO molto più grande.
Come abbiamo visto, non venne vinta la corsa alla Luna, effimero traguardo non più ripetuto, ma consolidata una supremazia nelle operazioni orbitali di lunga durata che hanno portato all’adozione di un collaudato ed affidabile modo di lavorare e vivere nello spazio, nato dalla stagione delle stazioni spaziali che si andava inaugurando con la Saljut-1.
La prima versione della Sojuz: la 7K-OK
La seconda versione della Sojuz: la 7K-OKS
La Sojuz destinata alle stazioni spaziali: la 7K-T
Sojuz-T
Sojuz-TM
Sojuz-TMA
Sojuz TMA-M
Sojuz-MS, l'ultima versione
La Sojuz da trasporto (che serve anche a spostare la ISS): Progress
Shenzhou: Noi fàle Sojuz uguàle uguàle...
Dentro la BO della Sojuz, si può stare comodamente in 4 (foto dell'autore)
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