Pisa e la Torre della Muda

Toscana, XIII secolo. La situazione è di divisione, contesa, l’intera regione dilaniata dalle lotte interne fra le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini. È con queste premesse ed occasioni che, nella città di Pisa, nell’anno 1210, nasce Ugolino Della Gherardesca, figlio di una famiglia ghibellina, ma simpatizzante guelfo. Fu uno dei vertici politici di Pisa dal 18 aprile 1284 (come podestà) al 1º luglio 1288, giorno in cui fu deposto dal ruolo precedentemente ricoperto di Capitano del Popolo.

La muta delle penne è un fenomeno necessario nei rapaci, da considerare con particolare cura ed attenzione in quelli addestrati, se si vuole che essi siano all’apice delle loro capacità venatorie. È per questo che, col tempo, nasce il bisogno di creare ambienti appositi per ospitare questo genere di fenomeno e riuscire a gestirlo in modo efficiente. In particolare i falchi, e soprattutto le aquile, sono le categorie privilegiate di esemplari di volatili ausiliari alla caccia. Quale ambiente migliore, se non una sorta di voliera sopraelevata? Una torre, in altre parole.

Così ci è stata tramandata la storia di un’infima torre, la famigerata “Torre della Muda”, il cui nome deriva proprio dal fatto che in passato qui venivano rinchiuse le aquile allevate dal comune di Pisa durante il periodo della muta delle penne. L'antica struttura medioevale insisteva sulla parte sinistra del palazzo dell'Orologio. La parte destra dell'edificio invece era il Palazzo del Capitano del popolo.

Attualmente, è sede della biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Ma, come dicevamo, infima non fu a causa della propria natura o funzione iniziale, ma per la tragica vicenda che si svolse entro le sue mura: è proprio qui che la struttura si ricollega alla storia del Conte della Gherardesca.

Essendosi fatto strada nei ranghi più ambiti della politica pisana, non ci sarebbe stato da meravigliarsi dei numerosi nemici politici che si erano schierati contro di lui, in particolar modo quelli di stampo, originariamente come lui, ghibellino, che non vedevano di buon occhio le sue ambizioni guelfe. Le tensioni con uno di loro, Ruggieri degli Ubaldini (arcivescovo di Pisa nonché capofazione ghibellino) portarono la sua posizione a peggiorare, a tal punto che finì con alcuni figli e nipoti rinchiuso (a tradimento) in una torre, dove morì per inedia nel marzo 1289.

Dire “inedia”, poi, è un eufemismo: l'episodio della morte di Ugolino (qui visto fra i traditori della patria) fu citato da Dante stesso nel XXXIII canto dell'Inferno: si racconta come, non avendo altra fonte di sostentamento, il Conte stesso sia dovuto ricorrere, guidato dall'esasperazione e da una vana speranza di poter sopravvivere (i prigionieri non erano al corrente infatti del decreto precedente dell'arcivescovo di gettare la chiave della torre nell'Arno) ad atti di cannibalismo sulle spoglie dei suoi precedentemente defunti eredi e consanguinei.

Dopo i drammatici fatti, ben noti all'epoca anche prima che venissero citati da Dante Alighieri, essendo il Conte della Gherardesca un personaggio conosciuto e di grande peso politico, la torre venne soprannominata della Fame.

Fu così che la città di Pisa venne ricordata, per mezzo di questo espediente, all’interno della Commedia dantesca, dando eterna vita alla cruda e crudele vicenda di un ramo della famiglia dei Della Gherardesca, i cui discendenti sono tuttora in vita.

Francesco Meco