Alumna Interpretatur
“La sventurata rispose” , “I Promessi Sposi” , cap. X, righe 1-36.
“La sventurata rispose” , “I Promessi Sposi” , cap. X, righe 1-36.
di Giorgia Di Massimo
Tra l’altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter esser badessa, c’era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de’ tanti, che, in que’ tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose. In que’ primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo, ma viva. Nel vòto uggioso dell’animo suo s’era venuta a infondere un’occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a sostenere i tormenti. Si videro, nello stesso tempo, di gran novità in tutta la sua condotta: divenne, tutt’a un tratto, più regolare, più tranquilla, smesse gli scherni e il brontolìo, si mostrò anzi carezzevole e manierosa, dimodoché le suore si rallegravano a vicenda del cambiamento felice; lontane com’erano dall’immaginarne il vero motivo, e dal comprendere che quella nuova virtù non era altro che ipocrisia aggiunta all’antiche magagne. Quell’apparenza però, quella, per dir così, imbiancatura esteriore, non durò gran tempo, almeno con quella continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i soliti dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l’imprecazioni e gli scherni contro la prigione claustrale, e talvolta espressi in un linguaggio insolito in quel luogo, e anche in quella bocca. Però, ad ognuna di queste scappate veniva dietro un pentimento, una gran cura di farle dimenticare, a forza di moine e buone parole. Le suore sopportavano alla meglio tutti questi alt’e bassi, e gli attribuivano all’indole bisbetica e leggiera della signora. Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; ma un giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non so che pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non la finiva più, la conversa, dopo aver sofferto, ed essersi morse le labbra un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola, che lei sapeva qualche cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe parlato. Da quel momento in poi, la signora non ebbe più pace. Non passò però molto tempo, che la conversa fu aspettata in vano, una mattina, a’ suoi ufizi consueti: si va a veder nella sua cella, e non si trova: è chiamata ad alta voce; non risponde: cerca di qua, cerca di là, gira e rigira, dalla cima al fondo; non c’è in nessun luogo. E chi sa quali congetture si sarebber fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperto una buca nel muro dell’orto; la qual cosa fece pensare a tutte, che fosse sfrattata di là. Si fecero gran ricerche in Monza e ne’ contorni, e principalmente a Meda, di dov’era quella conversa; si scrisse in varie parti: non se n’ebbe mai la più piccola notizia. Forse se ne sarebbe potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato vicino. Descrizione del passo letto: Protagonista del passo è la Monaca di Monza, Gertrude. Nonostante fosse primogenita, a causa della legge del “Maggiorascato”, legge per la quale nel caso in cui il primogenito non fosse stato maschio l’eredità sarebbe passata al primo figlio maschio “disponibile”, ella è divenuta monaca. Secondo questa legge, gli altri fratelli o sorelle sarebbero diventati cadetti (nel caso dei figli maschi) oppure dedicarsi alla vita monacale (nel caso delle figlie). Nel passo si evince sin da subito come questa prigione claustrale sia stretta a Gertrude che trova un po’ di pace per merito di un tale Egidio, uno “scellerato di professione” di cui, secondo il manoscritto, si conosce ben poco. Egli tenta l’impresa di conquistare la donna e un giorno “la sventurata rispose”. Le suore notano il cambiamento felice della signora che dura molto poco. Ricominciano i soliti maltrattamenti e imprecazioni per la vita del clero che ella tenta di farsi perdonare a forza di moine e belle parole. Un giorno però, una povera conversa contro cui la signora si era scagliata prendendola a parole, avendo perso la pazienza dopo aver sopportato tanto, disse che sapeva qualcosa e che avrebbe confessato. Da quel momento Gertrude non ebbe più pace e in seguito non si ebbero più notizie di quella conversa. Tutti credevano che fosse scappata ma forse si sarebbe scoperto senz’altro qualcosa se invece di cercare lontano si fosse scavato più da vicino…