Gradara
“Amor ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte che, come vedi, ancor non m’abbandona.”
Così Dante Alighieri nel Canto V della Divina Commedia apre le porte al girone dei lussuriosi, rivolgendo lo sguardo a due poveri innamorati simbolo di un amore sofferto e clandestino: Paolo e Francesca. Il sommo poeta, oltre ad un viaggio per uno dei gironi dell’Inferno, compie un excursus ripercorrendo le strade dell’antico borgo che si trova al confine tra Marche ed Emilia-Romagna: Gradara.
Questa località è conosciuta agli occhi di tutti per la famosa roccaforte che svetta su un colle a 142 metri sul livello del mare. Venne edificata sulla sommità del colle a causa delle continue guerre ed invasioni di diversi popoli, in modo che i soldati potessero controllare tutta l’area circostante a Gradara. Qui hanno abitato diverse delle famiglie medievali più importanti d’Italia: dai Malatesta, agli Sforza e infine anche ai Medici.
La roccaforte venne costruita intorno al 1500 dalla famiglia De Griffo e una volta caduta nelle mani del Papato, a prendere in mano le redini della situazione fu il condottiero dei Guelfi di Romagna Malatesta da Verrucchio, capostipite della dinastia dei Malatesta, signori di Rimini, Cesena e Pesaro.
Il dominio di Gradara passò di generazione in generazione ai maggiori signori del tempo fin quando nel 1938 la rocca fu venduta allo Stato. Ad oggi, nella Torre del Mastio, è possibile ancora osservare l’antica costruzione probabilmente edificata con materiali provenienti da una vicina necropoli o da una pieve. È però difficile riuscire a delineare le diverse fasi di fondazione del castello in quanto, nel corso degli anni, sono state apportate varie modifiche già a partire dai Malatesta. Con il trascorrere del tempo, il borgo ha assunto diversi aspetti tra cui quello prettamente militare del 1300 per poi diventare residenza privata degli Sforza, che apportarono nuove modifiche a Gradara. La rocca cadde però in un periodo di abbandono e decadimento fin quando, nel 1921, l’ingegnere Umberto Zanvettori seppe restituire al castello il suo antico splendore, frutto dell’unione di stili ed elementi ripresi sia dal periodo medioevale sia da quello rinascimentale con delle incursioni decorative in stile liberty.
Ma ad abitare ancora tra le mura del castello dal 1285 circa sono due giovani, vittime del peccato e della lussuria a cui Dante Alighieri allude nel canto V della Divina Commedia.
Il sommo poeta narra la storia di Paolo e Francesca, due anime che viaggiano all’unisono, legate ancora dal casto bacio che sottrasse loro la vita.
“Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante.”
Fu proprio così che, tra le pagine del racconto riguardante la storia adulterina di Lancillotto e Ginevra, rimasero intrappolati Paolo e Francesca.
Gianciotto, il marito di quest’ultima, vedendoli insieme, sfoderó la spada condannando al tormento eterno i due giovani amanti.
A dominare la scena è la passione amorosa, capace di lusingare così tanto l’uomo da condurlo al peccato e alla dannazione perenne. La pena che spetta ai due giovani è una violenta tempesta che trascina con sé i dannati e che non può rapportarsi con la tanta passione che li travolse in vita fino a condurli alla morte.
Uniti da tanto dolore e da tanta sofferenza, Paolo e Francesca rappresentano Gradara, simbolo di un amore tormentato e clandestino che ha congiunto i due giovani nel peccato eterno.
Anastasia Merli