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Esse oportet ut vivas, non vivere ut edas

Libertà è poter scegliere, fare ciò che si desidera, avere autonomia. È anche, però, liberarsi da una situazione che ci tiene stretti. Nella Storia italiana, infatti, si ricorda il 25 aprile 1946 come data della Liberazione d'Italia. Fu scelta questa data da Alcide de Gasperi. Il nostro Paese celebra ogni anno questo avvenimento come festa nazionale in cui si ricorda la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazista e dal regime fascista. Con questo evento, gli Italiani hanno affermato la loro libertà. Noi uomini del presente dovremmo ringraziare coloro che ci hanno permesso di pronunciare la parola libertà, di essere liberi. Il 25 aprile, al giorno d'oggi, è un momento di convivialità, di condivisione e di compagnia. A quei tempi, cioè durante la Resistenza, non si vivevano momenti positivi. La guerra aveva sicuramente distrutto corpo e mente e l’Italia si trovava in difficoltà economiche. Nel mezzo di tutte queste difficoltà, però, si ricordano dei cibi di guerra. Ad esempio erano presenti la polenta, i legumi, le rape, i cavoli. Rari erano, invece, la pasta, il pane, il caffè ma ancora sale, pepe e grassi animali. In una situazione peggiore, c’erano coloro che vivevano in maniera clandestina. A volte dovevano accontentarsi dei frutti. A volte si cibavano di riso, patate, castagne e minestra che ricevevano dai cittadini più benevoli. Il vino era l’elemento più reperibile. Non si ammettevano sprechi anzi molte erano le ricette per riciclare gli scarti come le bucce o i torsoli di mela. Nell’estate del 1944 i Partigiani si procuravano il cibo, per poi distribuirlo alla popolazione, dirigendosi verso i consorzi agrari o verso i depositi. La Resistenza, seppur con tutte le sue difficoltà, ebbe alla base anche sentimenti di filantropia, benevolenza e condivisione. Proprio su questo tema vertono alcuni libri come quello ad opera di due scrittrici, Lorella Carrara ed Elisabetta Salvini, intitolato “Partigiani a tavola”. In esso sono presenti più di 70 ricette legate proprio al periodo della Resistenza. Erano ricette molto popolari, semplici, realizzate con le materie prime. Era una cucina di invenzione in cui si mangiava ciò che si aveva. Non era scontato avere un pasto, come lo è invece ora. A quel tempo, dunque, non c’era libertà nell’alimentazione. Non si sceglieva cosa mangiare perché non c’erano alternative. Era una “cucina di senza” dove ciò che mancava veniva sostituito da alimenti di fantasia o da qualche alternativa, come ad esempio la frittata senza uova, cioccolato senza cacao, una cucina povera ma che riusciva a soddisfare anche le persone che avevano meno possibilità economiche, una cucina povera, non era un’etichetta ma una mancanza , spesso si utilizzavano l’ingegno e la sopravvivenza. “Prima viene lo stomaco poi la morale” una citazione di Bertolt Brecht, quella dei partigiani sembrava essere una “fame allegra”, un vuoto di stomaco che riusciva ad essere riempito dai valori di uguaglianza e riscatto. Dividendo il poco cibo a disposizione, si andava costruendo piano piano una nuova società, fatta di intellettuali, operai, uomini, donne , che mangiavano insieme , senza distinzioni o pregiudizi di genere o di ceto. Nel tempo della Resistenza, erano presenti degli aneddoti citati anche nel libro “Partigiani a tavola”, come per esempio un primo piatto a Gattico, in provincia di Reggio Emilia dove nel 1943 la famiglia Cervi per festeggiare la caduta del regime , portò in piazza 380 chili di maccheroni al burro, un’enorme “pastasciutta” che si ripete ogni 25 aprile. Oppure "le lasagne della ricostruzione gustate da Teresa Noce di ritorno dai campi della morte”, fino ai 35.000 bambini nutriti dalle donne emiliane nel duro inverno del ’45. La carenza di cibo si riscontrava anche nei messaggi scambiati tra le diverse brigate partigiane, il cibo era diventato meno importante delle munizioni, spesso la fame era presente anche in alcune canzoni, la condivisione era il momento principale per socializzare, confrontarsi, la parola “compagno” deriva da uno dei gesti più elementari , ossia la condivisione del pane. Alcune delle ricette più importanti di questo periodo erano Il dolce della Liberazione aveva gli aromi di whisky e tabacco, per evocare l’arrivo degli Americani, mentre l’antipasto in marcia era la tipica merenda dei combattenti, quel pane e salame da mangiare mentre si camminava, erano presenti inoltre l’insalata delle bande liguri oppure i cappelletti bastonati, chiamati così perché durante il Ventennio gli squadristi facevano irruzione nelle case per bastonare chi celebrava il primo maggio gustando i cappelletti. La data della Liberazione viene spesso associata ad un qualcosa che riguardi l’Indipendenza, alla liberazione di un luogo, di un popolo. Ciò in realtà interessò la maggior parte dei Paesi del mondo, anche se noi conosciamo molto bene solo quella Italiana poichè è festa nazionale. Nello stesso giorno, ma con quasi trenta anni dalla Liberazione Italiana, il 25 aprile 1974 anche il Portogallo fu liberato con la Rivoluzione dei Garofani, ovvero un colpo di stato militare. Esso fu attuato dall’ala progressista delle forze armate, la quale si rifiutava dei soprusi e della violenza da parte di Antonio Salazar. Nello stesso anno, quindi 1945, anche Paesi come Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia ottennero la loro indipendenza. Invece circa due anni prima, nel 1943 sempre in Italia, accadde la liberazione dei Sammarinesi con la caduta del Partito Fascista Sammarinese. Esso cadde in seguito allo sfondamento della linea gotica dell’ottava armata britannica.

Ma in realtà una tra le più sentite è la liberazione del Ruanda. Il genocidio dei tutsi del Ruanda fu uno dei più sanguinosi episodi della storia dell'umanità del XX secolo. Secondo le stime di Human Rights Watch, dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, in Ruanda vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati) almeno 500.000 persone; le stime sul numero delle vittime sono tuttavia cresciute fino a raggiungere cifre dell'ordine di circa 800.000 o 1.000.000 di persone. Il genocidio, ufficialmente, viene considerato concluso alla fine dell'Opération Turquoise, una missione umanitaria voluta e intrapresa dai francesi, sotto egida dell'ONU.

Dolce della liberazione (mousse al whisky e cioccolato con gelato al tabacco).


INGREDIENTI:

400 ml di latte

100 ml di panna

175 g di zucchero

1 g di tabacco

3 g di farina di Guar

180 g di cioccolato fondente 75-80%

50 g di burro

3 uova

3 tuorli

1 bicchierino di Whisky torbato

Sale

Fave di cacao


PROCEDIMENTO:

Preparare il gelato scaldando il latte con la panna, lo zucchero, il tabacco e la farina Guar. Filtrare il tutto e, una volta raffreddato, incorporarlo insieme ad un tuorlo d’uovo. Far congelare la crema. Nel frattempo, tagliare a pezzetti il burro e il cioccolato, successivamente scaldare a bagnomaria. Sbattere i restanti tuorli con 50 g di zucchero e il whisky, creando così una crema uniforme e versare a filo il cioccolato fuso. A parte, montare bene gli albumi a neve, aggiungendo un pizzico di sale e incorporarli al composto ( prestando attenzione a non far smontare le uova). Lasciar riposare la mousse in frigorifero per almeno una notte. E’ possibile poi ricoprire la torta con fave di cacao sbriciolate e con una pallina di gelato al tabacco.


Traini Beatrice,

Ciprietti Camilla,

Gatti Francesca