Interamnae populus

Speranze e desideri di rinascita nella Teramo del '900

Il Seminario Aprutino, in una cartolina di fine ‘800.


Quando si parla di rinascita, si parla di un tema davvero molto articolato. Si arriva alla rinascita quando nella strada per giungere ad essa, si sono intrapresi una moltitudine di tentativi, e non sempre è possibile costruirne una robusta conformazione. A Teramo, nel passato, tentativi di rinascita sono stati intrapresi. In particolare, a partire dal primo dopoguerra, le varie amministrazioni che si sono susseguite in città hanno tentato di rendere Teramo un crocevia industriale, e per farlo hanno sacrificato opere millenarie, monumenti, arte, e cultura, e hanno messo in ginocchio tutto ciò che era stato cucito dalle generazioni precedenti con molta fatica. Con il presente articolo, voglio ripercorrere alcuni dei pezzi di Storia più importanti andati in frantumi, durante i tentativi di rendere la cittadina tra i due fiumi una sorgente economica e industriale del Centro Italia. Tutto parte dal periodo del Ventennio fascista, ovvero nell’arco di Tempo che va dal 1920 al 1940, in cui il capo del governo italiano e del partito Nazionale fascista, Benito Mussolini, cercò di rendere la penisola completamente autonoma dal punto di vista economico, creando una sorta di sistema fondato sull’autarchia, autosufficienza economica. In tale periodo, il centro storico di Teramo subì un vero e proprio sventramento dai punti di vista artistico e culturale, imitato successivamente da altre amministrazioni. Vediamo quali sono state le perdite più dolorose per l’arte cittadina:


IL PIANO DI ISOLAMENTO DELLA CATTEDRALE DI SANTA MARIA ASSUNTA.


Nel 1929, furono avviati su concessione del vescovo Mons. Antonio Micozzi, i lavori al fine di isolare la cattedrale. Cioè? E’ opportuno fare un passo indietro. Nell’anno 1155, fece irruzione in città con le sue guarnigioni, il conte Normanno Norberto di Loretello, che appiccò incendi in tutta la città e scatenò il panico, pur di impossessarsi del pieno potere cittadino. Mirò alla Cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, nel quartiere di San Leonardo, nell’odierna piazza Sant’Anna, della quale pochi resti sono giunti fino a noi. Nelle immediate vicinanze dell’Antica cattedrale, si trova la torre “Bruciata”, ancora oggi presente proprio dirimpetto alla chiesa di Sant’Anna dei Pompetti. La Torre “Bruciata” è conosciuta con tale nome, proprio a ricordo dell’incendio appiccato per mano del Normanno di Loretello. Il luogo era da secoli la residenza dei vescovi. Nel tempo dei grandi incendi normanni, il vescovo in carica era Guidone II, che spaventato dall’accaduto, per evitare che ciò potesse verificarsi  nel futuro, e per preservare il reliquiario di San Berardo vescovo, ordinò la costruzione di una nuova cattedrale, sita al centro geometrico della città, ossia l’odierna cattedrale di Santa Maria Assunta. Nel luogo dove doveva essere eretta la cattedrale, persistevano i resti di un imponente anfiteatro di età Augustea, da non confondere con il teatro romano, che è situato nelle immediate vicinanze. Dell’anfiteatro si conservano i resti di alcune mura, visibili da Via Vincenzo Irelli, al di fuori del Seminario diocesano. Il complesso dell’anfiteatro venne quindi distrutto in gran parte, e su di esso venne eretta la magnifica Cattedrale, conclusa nel 1176, e che ha visto come impegnati nei lavori, Diodato da Roma, Antonio da Lodi, che si occupò della costruzione del campanile, Nicola da Guardiagrele e il Venenziano Iacobello del Fiore. Nel XVIII secolo, ovvero nel 1700, intorno alla cattedrale furono edificate delle palazzine barocco-rinascimentali, che erano abitate dai canonici facenti parte del Capitolo Aprutino. Diverse trasformazioni allo stile architettonico della cattedrale, furono attuate per gli ordini del vescovo Niccolo’ Degli Arcioni di Arezzo, intorno al 1330. Sino ad un’ottantina di anni fa, la cattedrale, il Duomo, mostrava delle caratteristiche completamente differenti da come osserviamo oggi. L’interno della Cattedrale era esclusivamente in stile barocco, e gli interventi degli anni ‘30 hanno riportato alla luce il corpo gotico-romanico del luogo. Presentava molte più cappelle, tra cui quella di proprietà della famiglia Delfico, non più esistente, dove fu seppellito l’illustre marchese don Melchiorre Delfico II, che ha dato il nome al nostro Liceo. Quindi, nel 1929, su delibera del podestà Vincenzo Savini, le case dei canonici che facevano del duomo, una sorta di cittadella, furono abbattute per sempre.


Ecco come si presentava il lato ad Est del Duomo, con la ex casa canonica, ove è nata la poetessa Giannina Milli, l’arco settecentesco di Monsignore, abbattuto nel 1961, per problemi logistici per i sistemi di trasporto.

Così si presentava la vista del duomo, intorno al 1920, dall’attuale piazza Martiri della Libertà (ex piazza Vittorio Emanuele, Napoleone, delli Bovi, di Sopra). Le palazzine che ostruivano l’attuale facciata secondaria del Duomo, erano le case canoniche, edificate nel XVIII secolo.


Ho scelto l’esempio dell’isolamento della Cattedrale, poiché è difficile rendersi conto come il desiderio di rinascita abbia deturpato l’ambiente urbano, modificandolo per sempre.

Altre opere andate perdute, sono senza dubbio il teatro comunale, all’inizio del Corso San Giorgio, edificato nel 1868 per opera dell’architetto Nicola Mezzucelli, era un teatro molto ampio, con diverse sale, che presentavano i più sfarzosi lampadari della città, in cristalli di Boemia, palchetti a volontà, platee spaziosissime e con un ingresso sorprendente, che sbalordiva chi vi arrivava. Fu distrutto per l’apertura dei grandi magazzini. Per non parlare del prezioso convento settecentesco delle monache benedettine di San Matteo, con annessa chiesetta in stile barocco, sito in Corso San Giorgio. ove oggi è situato il palazzo del provveditorato provinciale, e che, nell’Ottocento aveva ospitato i locali del Real Collegio e del Real Liceo, istituto, che oggi è proprio il nostro Liceo. Il convento e la chiesa vennero abbattuti il 28 ottobre 1940, poiché doveva arrivara Mussolini a Teramo e doveva affacciarsi dal palazzo della Prefettura, e per poter ammirare le sue parole, serviva di fronte uno spazio più ampio. Non da meno  fu la distruzione della fontana delle Piccinne in via del Burro (attuale via Carducci), e degli annessi Orti della famiglia Delfico, ossia giardini pubblici meravigliosi non più esistenti.

La chiesa e il convento settecentesco delle Benedettine di San Matteo.

L’interno della sala principale del teatro comunale di Teramo, andato perduto.

La fontana delle Piccinne, in via Carducci, opera del teramano Luigi Cavacchioli, andata perduta per la costruzione di una banca.

Francesco di Giuliantonio