La resistenza italiana è stata un’esperienza più internazionale di quanto pensiamo. Non solo ci sono stati esempi di lotta anti-fascista nei paesi del continente africano occupati dal regime, ma si ha memoria anche di combattenti non italiani che si sono battuti per la libertà nel nostro paese.
Molti “Africani d’Italia” decisero di unirsi alla guerra partigiana in Italia dopo l’armistizio nel 1943. Molti trovarono accoglienza nel battaglione Mario: una banda che operava sulle colline dell’alto maceratese. Il comandante, Mario Depangher, era nato a Capodistria. Dopo la caduta di Mussolini inizia ad organizzarsi e a creare un gruppo di antifascisti armati. La compagnia Mario era caratterizzata dalle diverse provenienze dei suoi combattenti: britannici, fuggiti dai campi fascisti, russi, jugoslavi, e anche etiopi, somali e eritrei. Il maggior generale John Cowtan definì l’organizzazione “a very mixed bunch” (un gruppo molto mischiato).
Il luogo non è casuale. Nelle Marche, infatti, c’erano molti campi di prigionia fascisti che avevano prigionieri di molte etnie. Tre partigiani africani, inoltre, Abbagirù Abbauagi, Scifarrà Abbadicà e Addisà Agà, percorsero 30 km per raggiungere il monte San Vicino, dove operava il battaglione Mario. Da dove fuggirono? Da Villa Spada, un luogo dove alloggiavano gli africani, precedentemente un luogo di internamento per donne “di dubbia condotta morale e politica”, nel quale gli ospiti vivevano in uno stato di semilibertà.
Il gruppo fu uno dei più attivi nell’entroterra maceratese. Molti di loro morirono negli scontri armati nel tentativo di liberazione. Tra questi è importante ricordare Abbablagù Abbamagal, detto “Carlo”, che perse la vita il 24 Novembre 1943 a Frontale di Apiro. Lui, insieme ad altri suoi compagni, fu catturato da uomini della Wehrmacht. “Carletto” si fece avanti e fu colpito da una raffica di mitra.
Noi non dimentichiamo che la lotta partigiana è stata un’esperienza multietnica e internazionalista.
Morgana Chiarini
Emanuela Tomassini