A regola d'arte 

Giuditta, una donna nuova

L’episodio biblico di Giuditta e Oloferne ha ispirato molte opere della storia dell’arte dal Medioevo fino al Novecento. Il tema si rifà ad un episodio biblico dell’Antico Testamento riportato nel Libro di Giuditta dove si racconta che durante un assedio della sua città, Betulia, da parte degli assiri del re Nabucodònosor, la giovane donna si recò splendidamente abbigliata presso il generale delle truppe assire, Oloferne che se ne invaghì. Dunque, fingendo di volersi allearsi con il nemico si intrattenne in un banchetto con il generale nel quale il generale si ubriacò. Giuditta approfittando della situazione lo decapitò mentre dormiva e portò la testa in città. Grazie allo scompiglio creato, le truppe riuscirono a sconfiggere gli Assiri. Il personaggio di Giuditta, lodata come donna coraggiosa che ha portato il suo popola alla salvezza, è riportato già nel Duecento in alcuni codici miniati; Giuditta è rappresentata sempre nel momento della decapitazione o subito dopo con il bottino di guerra tra le mani. 

Successivamente, con il Rinascimento si ha una nuova visione della protagonista che è caratterizzata dalla fierezza, come testimonia il bronzo di Donatello, nella quale la donna tiene alta la spada e ha lo sguardo fisso nel vuoto mentre Oloferne si abbandona al suo destino. Botticelli rappresenta invece “Il ritorno di Giuditta da Betulia”, qui l’eroina biblica è in compagnia della serva ed è espressione del debole che agisce coraggiosamente per una causa comune. Da Mantegna, Michelangelo e Tiziano, l’eroina acquisterà maggiore significato a partire dalla drammaticità di Caravaggio e soprattutto di Artemisia Gentileschi. Il maestro del Barocco rappresenta, la determinazione della giovane mentre sta decapitando il generale, in una scena teatrale enfatizzata dalla bocca spalancata e dal sangue di Oloferne. Artemisia cattura con estrema brutalità il momento in cui la donna affonda la spada nella gola di Oloferne, il quale non ha il tempo di reagire ma spalanca gli occhi spaventato. Sul volto di Giuditta si presentano due aspetti contrastanti: lo sforzo del gesto e la soddisfazione. 

GIUDITTA I DI KLIMT

Gustav Klimt massimo esponente della Secessione di Vienna ritrasse Giuditta in due opere, nella quale trasformò l’eroina biblica nell’immagine delle femme fatale, in grado di distruggere l’uomo con la seduzione, una donna nuova e sicura di sé. Dunque, Giuditta I di Klimt è ben diversa dall’iconografia tradizionale: lo sguardo prima perso nel vuoto, ora è provocatore e si rivolge con decisione allo spettatore dell’opera. La donna forte e determinata ci osserva dall’alto con uno sguardo ironico e sensuale di sfida, ha gli occhi semichiusi e l’incarnato pallido risalta la bocca che sorride in modo beffardo. La donna tiene in mano la testa di Oloferne che è appena visibile in basso a destra. Giuditta rappresentata con un forte realismo si fonde con il prezioso sfondo oro che testimonia l’influenza dei mosaici bizantini per Klimt e segna l’inizio del cosiddetto “periodo d’oro”. Il fondo aureo segna il contrasto tra tridimensionalità della figura e bidimensionalità sia del fondo che delle decorazioni. Klimt torna a rappresentare il personaggio biblico in una seconda versione che tuttavia differisce nel titolo, Giulitta II o Salomè. Klimt associa quindi le due figure femminili che tuttavia hanno le loro differenze: mentre Giuditta è considerata un’eroina che operò per la salvezza del proprio popolo, Salomè è una crudele nemica che uccide Giovanni Battista, vittima dei suoi desideri. Klimt inaugura una nuova donna, dominatrice e spietata che trascina per i capelli la figura femminile, in basso. Il volto emerge pallido, in contrasto i capelli, esso è caratterizzato da uno sguardo duro, terribile ma allo stesso tempo sofisticato. La donna è rappresentata nelle sue contraddizioni e questo scaturisce un insieme di sensazioni contrastanti: seduzione, attrazione ma anche repulsione e orrore.


Benedetta Chiappini