Controinformazione

Isteriche senza una causa

Per recenti fatti di cronaca, il discorso pubblico si è concentrato sulla rabbia. La rabbia vista come radice di tutti i mali, scusa per delitti, malattia che spesso viene ignorata se il soggetto è un uomo. Anche la rabbia delle donne è stata messa sotto esame: le femministe cattive, i loro cortei troppo distruttivi e rumorosi. 

Non è affatto la prima volta, però, che l’ira viene distinta tra due generi. Mentre il maschile è sano se prova rabbia, in quanto fa parte dell’idea tradizionale dell’uomo, accecato dal testosterone e perciò impossibilitato a provare sentimenti che non siano esplosivi, il femminile, docile e mansueto, riconosce come estranea l’ira, perciò una sorta di devianza dal normale. Non serve andare troppo indietro nel tempo per notare che le donne sono sempre state demonizzate per i loro sentimenti “estremi”, che estremi, però, non sono. Si potrebbe partire dalle possessioni demoniache e gli esorcismi infiniti ai quali erano costrette giovani donne alle quali non era data nessuna possibilità di cura o comprensione. 

Forse però è più utile concentrarsi sulla storia recente, soprattutto sull’Italia pre 1978, pre legge 180, prima della rivoluzione di Basaglia. Una diagnosi di isteria significava una condanna a un internamento permanente o quasi in un manicomio, che non ha nulla a che vedere con un luogo di cura, ma era semplicemente un surrogato per una prigione. La legge numero 36 del 1904 indicava il ricovero coatto di «persone alienate pericolose a sé e agli altri e di pubblico scandalo». Il pubblico scandalo per alcune donne comportava anche una relazione adultera, o un senso del pudore meno accentuato del normale. Non erano massaie brave abbastanza, erano ribelli o non volevano marito. Queste erano le scuse con le quali le donne venivano rinchiuse in manicomio. 

Dopo la chiusura dei manicomi dettata dalla Legge Basaglia, i pazienti che erano stati rinchiusi per decenni in quelle mura, per la prima volta raccontano la loro vita all’esterno e all’interno del manicomio. Da parte degli psichiatri c’è sempre stata una volontà marginale nel comprendere le cause del disagio femminile. Alcuni medici, anche rivoluzionari come Philippe Pinel, sono stati veloci a liquidare i sintomi di quella malattia tipicamente femminile, l’isteria, come “nevrosi genitale femminile”. Diventa chiaro, quindi, come alcuni errori di diagnosi o frettolosità nell’analisi dei dati possano confluire con una volontà di reprimere tutto ciò che veniva considerato anormale. 

Nel manicomio dell’Italia fascista venivano rinchiuse tutte quelle donne che non riuscivano a portare a termine il compito di madre, l’unico secondo Mussolini possibile. Loquace. Instabile. Incoerente. Stravagante. Capricciosa. Eccitata. Insolente. Indocile. Bugiarda. Impertinente. Cattiva. Prepotente. Ninfomane. Impulsiva. Nervosa. Erotica. Allucinata. Irrequieta. Ciarliera. Irriverente. Petulante. Maldicente. Irosa. Piacente. Smorfiosa. Irritabile. Clamorosa. Minacciosa. Rossa in viso. Esibizionista. Menzognera. Dedita all’ozio. Civettuola. Questa la sintomatologia che poteva portare al ricovero. Molte le donne che semplicemente esprimevano un disagio verso la società venivano diagnosticate come pericolose e messe da parte, lontano dalla società, dove nessuno poteva vederle. Senza nemmeno parlare di tutte le affette da depressione post partum, donne che avevano vissuto sulla loro pelle i traumi della guerra, tutte raggruppate in un’unica denominazione di “matte”. A loro è stata negata la compassione e la comprensione. Sono state additate, anzi, per non adempiere al loro compito di madri, spose, figlie. 

Streghe, esagerate, o isteriche, il disagio femminile è sempre stato condannato, anche in modo violento. Con la consapevolezza di ciò è possibile muoversi nel mondo con meno odio nei confronti dei propri sentimenti. Certe volte, soprattutto di fronte a eventi tragici, è giusto arrabbiarsi, è sano non essere calme.

Emanuela Tomassini