Alumna interpretatur 

“Maggiolata” di Giosuè Carducci. Spiegazione e recensione.

Il noto poeta Giosuè Carducci si serve del mese di maggio per comporre un intenso inno alla primavera: “Maggiolata”. Il titolo della poesia significa, non a casa, “Cantata di Maggio”. Il fantastico idillio che si va a dipingere, viene poi infranto da un presentimento funesto. Maggio è il mese delle rose e delle poesie, dell’amore e della rinascita ed è, piuttosto, uno stato d’animo. La lirica è contenuta nella raccolta “Rime nuove” (Zanichelli, Bologna, 1887). La primavera regna sovrana nel componimento. Nei tempi antichi si celebrava il principio del mese con il “Calendimaggio”, la festa dedicata alle giovani fanciulle in età da marito che festeggiava la rinnovata fecondità della natura e l’inizio di un tempo propizio. Questa tradizione si è affievolita nel corso del tempo e ad essa si è sovrapposta la “Festa dei Lavoratori”. Qui Carducci festeggia il risveglio festoso della natura ma non manca neppure di sottolineare i lati oscuri che la nuova stagione porta, inevitabilmente, con sé. Nella poesia, la parola si fa simbolo di un risveglio quasi collettivo: la luce calda del mese di maggio sembra infatti avvolgere, in un’aura di beatitudine, i fiori nei campi così come i giochi dei bambini e gli occhi delle donne. C’è un accostamento magnifico tra i due emisferi, quello celeste e quello terrestre, che vengono come a sfiorarsi, trovano un punto di contatto. Tutto è splendore e l’universo si fa specchio di se stesso. L’incanto viene interrotto da quella che è la contrapposizione creata dal poeta. Il mese di Maggio ha lati positivi così come lati negativi. Il calore più tiepido del sole fa sì, risvegliare i fiori e gli uccelli nei nidi, ma desta anche le serpi dal loro letargo invernale, fa spuntare le ortiche infestanti nei campi. Dopo aver cantato, infatti, della bella stagione, Carducci si concentra sul proprio cuore, in continuo subbuglio, in un modo tale da distaccare l’ultima strofa da tutte le altre. Il mese di maggio risveglia in lui anche questa terribile inquietudine umana, una sorta di sete di amore inappagata. Nella dimensione interiore l’animo del poeta appare infestato da serpi - una metafora che sottintende i cattivi pensieri - e da presagi funesti. Le serpi e il gufo si fanno dunque allegoria di queste sensazioni.

Maggio risveglia i nidi,

maggio risveglia i cuori; 

porta le ortiche e i fiori,

 i serpi e l’usignol.

Schiamazzano i fanciulli in terra,

e in ciel gli augelli;

le donne han nei capelli rose,

ne gli occhi il sol.

Fra colli, prati e monti,

di fior tutto è una trama:

canta, germoglia ed ama

l’acqua, la terra, il ciel.

E a me germoglia in cuore

di spine un bel boschetto;

tre vipere ho nel petto

e un gufo entro il cervel.


Recensione: Questo magnifico inno rappresenta egregiamente la stagione della primavera che fiorisce al massimo mostrando tutto il suo splendore. È la prima volta che leggo “Maggiolata” e, devo essere sincera, mi è dispiaciuto non averlo fatto prima! È davvero interessante come viene presentato il mese di maggio il cui inizio non ha cessato di essere percepito come un momento di gioia condivisa, una ricorrenza popolare che omaggia l’abbondanza, l’amore e la fortuna. Nella poesia, si sente come tutto il mondo è in fermento, travolto da una forza superiore, come il desiderio. I bambini sulla terra urlano e cantano proprio come gli uccelli nel cielo. Sotto il sole di maggio ogni cosa fiorisce, in cielo come in terra: le piante germogliano, e l’uomo ama. La cosa che però mi ha più sorpreso è il fatto che Carducci abbia, da un lato, espresso un’immensa gioia mentre, dall’altro, un’angoscia immonda: la bellezza nel momento del suo massimo fulgore sembra spaccarsi in due, come un frutto. Il poeta rende particolarmente evidente ciò nel chiasmo inserito nella prima strofa, dove si trovano posti in perfetto parallelismo tra loro le ortiche e i fiori, i serpi e l’usignol. Personalmente, ho davvero apprezzato l’ultima strofa della poesia: essa sembra distaccarsi da tutte le altre, come una nota stonata, stridente in una composizione perfetta. Il poeta, infatti, dopo aver cantato l’idillio festante del mondo esterno, si concentra sul proprio cuore, in perenne subbuglio. I versi finali esprimono al meglio la sua interiorità, descrivendone il cuore che sembra tendere sempre a un anelito insaziabile di felicità senza mai soddisfarlo mai del tutto.

Giorgia Di Massimo