Interamniae Populus

La notte

NELLA TERAMO DI DUE SECOLI FA, I FORESTIERI CHE ARRIVAVANO IN CITTA’, IN VESTE DI MERCANTI, NEGOZIANTI, UOMINI DI CULTURA, CONTADINI CHE GIUNGEVANO PER SVAGARSI, DOVE RICEVEVANO VITTO E ALLOGGIO, DOVE PASSAVANO LA NOTTE?

Per rispondere alla domanda, si deve osservare un fenomeno che è totalmente scomparso nelle città Italiane. La presenza di cantine e locande. L’immaginario collettivo ha portato a paragonare gli attuali “Bar”, caffetterie, pubs, paninoteche, anonime pizzerie, con le cantine e locande di un tempo. Paragone del tutto errato. La cantina, l’osteria, rappresentavano per il ceto medio più umile (per l’operaio, il piccolo impiegato, l’artigiano), un necessario punto di incontro e di aggregazione umana dopo una giornata di lavoro. Era il piacere, la consolazione di ritrovarsi insieme agli amici a far quattro chiacchiere in una tranquilla evasione dallo

spirito davanti ad un buon bicchiere di vino con la pagnottella e lo spezzatino, oppure, magari, soltanto, con mezzo litro ed il piattino di lupini o di fave dette “ngregge”. La locanda era come una cantina con delle camere da letto, nelle quali alloggiava un numero consistente di forestieri, e come per le cantine, il frenetico viavai di gente comune, non consentiva al cantiniere o al locandiere di assicurare una dignitosa pulizia e benessere del luogo. Le locande erano tutt’altro che comode, i letti erano duri e di legno, le camere erano fredde e maleodoranti, mancavano del tutto dei servizi igienici, e per riscaldare le coperte, come in tutte le famiglie, ci si serviva dell’arnese che a Teramo viene chiamato”lu prédd”, il “prete”, scaldaletto in rame, molto pericoloso per le bruciature che poteva procurare.

L’albergo, invece, che nella maggior parte dei casi oggi chiamiamo “hotel”, all’epoca era visto come un luogo riservato a pochi, a gente facoltosa, politici, marchesi, baroni, che potevano permettersi di soggiornare in tale lussuosa struttura, dotata (per ciò che poteva essere garantito all’epoca) di tutte le comodità ed i servizi.

A Teramo, fino ad una settantina di anni fa, erano presenti ancora molte cantine, locande, in cui passare la notte, ma gli alberghi eleganti di un tempo furono presto sostituiti con i moderni “Hotel”. In tempi più remoti, addirittura Ludovico Ariosto, in un suo viaggio a Roma, parlò molto bene di una locanda detta “Del Montone”, che sembra fosse all’epoca gestita da un locandiere di origine teramana. Le più antiche cantine documentate nel capoluogo Aprutino, attestate nel 1817, anno tremendo, in cui si diffuse una terribile epidemia di colera, che a Teramo uccise in un anno più di 2000 anime, sono la cantina di Regina Mancini, quella della “Verziera”, e quella di Domenico Cerulli, ma l’ancor più antico esercizio in funzione fin dalla fine del 1700, presente sotto al Palazzo Vescovile, era quello di don Federico Siniscalchi, pasticcere e cuoco di fama, famoso per le sue pizze dolci, bocconotti e panzarotti, amati persino dalle guarnigioni francesi che occupavano Teramo. Nel 1869, cinquant’anni dopo, si contavano a Teramo più di cento osterie, che ravvivavano ed allietavano tra le loro povere mura la vita di allora. Le più rinomate erano quelle di Di Blasio, fuori l’Arco di Porta Madonna, di Antonio Baldi “il Toscano”, in via del Moro (oggi via Forti), e la Taverna della Sgarrona. Oltre alle 100 cantine documentate, si devono contare anche le numerose cantine private, molte volte di proprietà delle famiglie ricche di allora, come Savini, Ciotti, Pompetti, Ponno, Delfico, Cerulli, Schips Roccatani, De Michetti, Mancini, Marcozzi, Spinozzi, Urbani, Ferraioli, Rozzi, Manetta, Montani, Thaulero, Palma, Castelli, che inoltre, dai loro terreni con decine e decine di “masserie”, traevano una abbondante produzione vinicola. Nel secolo scorso, altre cantine, si può dire le ultime “sopravvissute”, erano quelle famose soprattutto per lo spezzatino, la trippa al pomodoro, come Tamburri, Filuccio, Tabusso,Paparrone, Flaviano “lo zoppo”, Smerilli, Splendora Cesti, le “Sette Vergini”, il “Tareschino” di Ferdinando Pompa, il “Pappagallo”, Gaetanella Bromoni… Il profumo inebriante dell’agnello al forno del cantiniere Cesarino D’Angelo inondava di sé tutta via Delfico e penetrava anche nel Tribunale, allora situato proprio dove oggi sorge il Museo Archeologico, nella strada dove c’è la Biblioteca Delfico, e rendeva più miti le sentenze e le arringhe degli avvocati. Di tutte le 100 cantine di due secoli fa, non se ne conserva alcun ricordo, la cantina, l’osteria, legate per secoli alla vita di Teramo, non sono riuscite a sopravvivere. Sono morte travolte dal boom dei fast-food, dai pubs, soffocate dalle squallide paninoteche, dai bar, e da anonime pizzerie. La cantina ha sempre caratterizzato nei secoli passati il fulcro della vita Teramana, mantenendo vive le tradizioni e gli aromi di un’armonia ormai purtroppo superata. La vita notturna teramana, oggi, è caratterizzata esclusivamente dalla movida frenetica, quasi “pericolosa” per i giovani e per la città, che invece di animare i quartieri, li fa perdere nel degrado, nella sporcizia e nella dispersione di noi giovani, ma senza osservare il passato, non si possono avere prospettive per il

futuro; chissà, se un domani, le tradizioni di un tempo riaccenderanno i cuori dei Teramani, si spera in una necessaria rinascita.

Per quanto riguarda le locande, la più celebre era la locanda di proprietà di Francesca Scarpone, in corso Porta Reale (oggi De Michetti), all’angolo tra il corso e la via che porta alla Madonna del Carmine. La povera locandiera Francesca, assieme al figlio adottivo Martino Bonomo, fu anche vittima di un terribile omicidio commesso da un avventore contadino da Forcella, frazione di Teramo, avvenuto il 17 gennaio 1881. Gli alberghi eleganti della Teramo di due secoli fa, li ritroviamo soprattutto in quello ad esempio gestito dalla figura di don Eugenio Squartini, albergatore di fama regionale, che, nel 1868, aprì in via Delfico, davanti al Tribunale, l’Albergo-ristorante del “Pellegrino”. Squartini dimostrò, nel corso della sua attività, un perfetto e solido possesso del mestiere. Gli alberghi del “Pellegrino” in via Delfico, e del “Giardino” in piazza della Cittadella (oggi Martiri Pennesi), nelle vicinanze del Palazzo Comunale, erano rinomati per la smisurata eleganza, lampadari di cristallo, carrozze “navette”, camere spaziose, moderni servizi igienici e comodità di ogni tipo, oltre che ovviamente per l’offerta culinaria vastissima che offrivano, tanto da ospitare pranzi elettorali, feste da ballo, cenoni di capodanno e pranzi e cene di ogni genere, nei giorni di festività e feriali. 


Francesco Di Giuliantonio